giovedì 24 dicembre 2015

John Dickson Carr : Il Mostro del Plenilunio (It Walks By Night, 1930) – I Classici del Giallo Mondadori, N.196 del 1974

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Oggi è la volta di un romanzo famoso di John Dickson Carr, It Walks By Night , “Il Mostro del Plenilunio”, cui sono legato da filo doppio: con esso Carr cominciò la sua carriera di scrittore di romanzi; acquistando una copia dei Classici del Giallo Serie Oro di questo romanzo, io ho cominciato la mia carriera di lettore appassionato di Carr.
It Walks By Night, fu pubblicato nel 1930. Fu la prima opera di Carr di un certo spessore, il primo romanzo. Precedentemente Carr aveva scritto e pubblicato dei suoi racconti, in cui aveva già sperimentato alcuni dei  temi che avrebbe sviluppato in tutte le sue opere successive. In particolare uno di questi quattro racconti, costituì la base che successivamente lo stesso Carr avrebbe ampliato creando il suo primo romanzo. Cito un breve estratto di un mio breve saggio, il primo, pubblicato sul Blog Mondadori:  Per quanto riguarda il romanzo breve, T.J.Yoshi, riporta nel suo “John Dickson Carr: A Critical Study”, che “Grand Guignol”, fu un romanzo breve, scritto e ultimato da Carr a Parigi; e che lo stesso, una volta tornato Carr in patria, fu pubblicato sullo stesso giornale che aveva pubblicato gli altri racconti, “The Haverfordian”, tra il marzo e l’aprile del 1929: Grand Guignol non fu altro che la prima versione semplificata di “It Walks By Night”, Il Mostro del Plenilunio. Nello stesso 1929 Carr provvide a sviluppare il suo primo romanzo con Bencolin (proprio utilizzando Grand Guignol), pubblicandolo nel 1930 ( Pietro De Palma: La prima produzione di John Dickson Carr: i quattro racconti di Bencolin
La trama è particolarmente complessa, ed è un tripudio di situazioni macabre, impossibili, e orrorifiche, quasi che Carr vi avesse messo dentro tutto ciò che amava, non immaginando il successo che avrebbe avuto, perché potesse essere associata a lui: insomma, un romanzo degli eccessi.il_mostro_plenilunio.jpg
Alexandre Laurent è quello che ora definiremmo uno psicopatico, uno che uccide per provar piacere alla vista del sangue. Al dottor  Grafenstein che lo ha esaminato, dopo il suo arresto seguito al suo tentativo di omicidio ai danni della sua giovane moglie Louise, Laurent aveva detto di aver sentito l’impulso di uccidere la moglie proprio perché l’amava: era affetto da iperestesia, collegata ad un bisogno erotico: si eccitava in maniera anomala pensando a situazioni oscene. Insomma…un maniaco sessuale. E’ questo che Louise ha sposato, solo che se n’è accorta troppo tardi. Fatto sta che Laurent viene internato in una casa psichiatrica privata, dato che è di famiglia ricca, ma da lì fugge. Si rifugia dal dottor Rothswold, un medico noto tra i criminali, perché si dice possa cambiare i connotati delle persone con operazioni di chirurgia plastica. Fatto sta che un giorno, di notte,  un poliziotto vede un tale che esce fischiettando dalla villa-ambulatorio del chirurgo, portando due valigie, e che lo saluta allegramente. Poche ore dopo, allertata dalle segnalazioni di vicini che parlano di strepiti di gatti, la polizia irrompe nella villa e non vi trova né Laurent né tantomeno il dottore, ma solo..la testa di Rothswold dentro uno dei suoi catini, su uno scaffale: del corpo nessuna traccia. Forse in quelle due valigie che portava Laurent?
Ora Laurent è scomparso, ma un bel giorno ricompare allorché il Duca di Saligny, un appartenente al bel mondo parigino, ricco, famoso e anche sportivo indefesso, e grande tennista (a pag. 6 del romanzo originale si legge : “It was always, The Duc of Saligny, is expected to give Lacoste a strong fight in the seminfinals at Wimbledon tomorrow”), decide di impalmare Louise. E minaccia il duca di farsi da parte, per non cadere vittima della sua vendetta.


Saligny non vi presta attenzione e sposa Louise, la ex moglie di Laurent.. Fatto sta che a quel punto si verifica un fatto che avrà ripercussioni nel finale della storia: la sposa, alla presenza di Bencolin, Giudice Istruttore e Capo della Polizia, e dei suoi testimoni, tra cui Jeff Marle, il narratore, e lo stesso dottor Grafenstein, rivela che Laurent le è apparso a casa dell’avvocato Kilard durante una festa, nel bagno di casa, mentre impugnava una cazzuola da muratore. Nell’altra camera c’erano Saligny ed un suo amico carissimo, Edouard Vautrelle, che poi Bencolin scoprirà essere un nome fasullo, adottato per nascondere la vera identità: infatti è un impostore, che si atteggia ad esule russo, fuggito in seguito alla rivoluzione bolscevica, un maggiore del decimo cavalleria cosacca dell’esercito imperiale dello Tzar Nicola II, senza esserlo. Come poteva Laurent scomparire in un attimo da una stanza, senza che altri lo vedessero, penetrare ed uscire da una casa in modo assolutamente straordinario? Il fatto è questo: Laurent si è vantato in passato proprio di fare questo. Possibile? Grafenstein pensa che la signora abbia avuto un’allucinazione, ma vi è una prova, asserisce Louise: una cazzuola da muratore, che prima dell’apparizione, in quel bagno non c’era. E perché mai del resto, una cazzuola si sarebbe dovuta trovare in un bagno?
Ma accade il primo delitto. Da Fenelli’s, un ristorante con tavoli da gioco, musica, ballo e quant’altro, viene ritrovato il duca ucciso, decapitato, in una saletta da gioco: il duca vi è entrato, e ovviamente siccome nessuno ha visto nulla, l’assassino doveva essere già appostato lì. Il problema è uno: come ha fatto ad uscire? Le uscite erano sorvegliate a vista da Bencolin stesso e da uno dei suoi uomini più fidati, François. E l’unica finestra dista più di dieci metri dalla strada. Impossibile. Nessuno sarebbe potuto fuggire, ma in fin dei conti si è volatilizzato. Come ha fatto?
La moglie non era lì vicino ed il suo amico Vautrelle, di cui per un momento si sospetta il coinvolgimento, viene in pratica scagionato proprio da François, con cui stava chiacchierando probabilmente mentre il Duca veniva decapitato; per di più anche lui testimonia che da quella uscita, dove era appostato il poliziotto, nessuno è uscito. A sconcertare è l’ora della morte: infatti, ci si è accorti dell’omicidio, perché qualcuno ha suonato un campanello nel fumoir per chiamare un cameriere; che poi, scoperto l’assassinio, ha dato l’allarme. Per quale motivo, quindi è stato suonato il campanello? E se è stato suonato, e la cosa è certa, può essere che sia stato suonato non da dentro ma da un qualche altro posto qualunque? Ma compare un nuovo personaggio: proprio da Jeff Marle, viene scoperta, completamente nuda, una donna bellissima, al buio, in una stanza esattamente sopra quella in cui è avvenuto l’omicidio: è Sharon Grey, amica di Raoul, e di lui segretamente innamorata, ma anche ufficialmente amante di Vautrelle: proprio lei, conferma a Bencolin alcuni suoi indizi: qualcuno le è apparso al buio, poco prima, dicendole che Raoul non sarebbe più venuto perché aveva “un appuntamento coi vermi”: aveva le mani sporche di sangue. Lei parla della calma glaciale della vedova, e quella dell’abilità di Laurent di trasformarsi in una persona che lei e Saligny avrebbero potuto conoscere: in pratica, reindirizza le indagini nei confronti di Vautrelle. Che però, anch’egli viene ucciso. Nella villa di Sharon Grey a Versailles. Da Laurent? O da qualcun altro?
Intanto qualcuno è rientrato nella notte dell’omicidio di Saligny in casa sua perché il maggiordomo ha sentito dei rumori: dallo scrittorio dello studio son stati sottratti documenti, ma non il milione di franchi che era nella cassaforte. E dal mazzo di chiavi, manca solo la chiave della cella dei vini, in cantina. Qui, accanto ad una parete sgombra da vini, viene scoperta della calce e per terra una cazzuola da muratore: con pochi colpi di piccone viene sfondato il muro, e da lì emerge l’occhio vitreo del volto di un uomo. Il corpo nella cantina è però così decomposto da poter essere stato ucciso solo almeno tre settimane prima del ritrovamento: chi è?
Bencolin ha capito chi possa essere, e quindi poco dopo saprà inchiodare l’omicida. Che ha ucciso Saligny e Vautrelle ma non quell’altro uomo. Tre omicidi, due assassini. Un finale memorabile.
Il romanzo di Carr è un’opera acerba senza dubbio, ma anche – dicevamo –un romanzo degli eccessi.
Innanzitutto è un romanzo gotico. E si sa, tutto o quasi il ciclo di Bencolin ha atmosfere gotiche. Ma qui l’atmosfera macabra è opprimente, e genera una tensione palpabile. Che se realmente insostenibile, risulta poi alla fine in qualche modo falsa: come dice il proverbio “il troppo stroppia”. Carr usa tutti i trucchetti del mestiere, come se fosse uno scrittore di lungo corso: i vari avvenimenti di solito si  verificano di sera, i delitti avvengono al chiarore delle candele o a quello della luna; morti nascosti dietro muri, sparizioni e macabro a volontà. Chi ci richiama? Poe. Che è citato nel romanzo. E poi emulato in uno dei suoi racconti più famosi, La Botte di Amontillado.
Poe maestro di atmosfere, di terrore, di paura, di tensione; Carr maestro di atmosfere, di terrore, di paura, di tensione, ma anche di originalità, sapiente miscelatore di gotico, col fantastico e col raziocinio al suo massimo splendore. Anche se qui, le atmosfere sono troppo orrorifiche.
Già il primo capitolo ci introduce a queste atmosfere: si chiama “Il patrono dei becchini”. Comincia con la descrizione di una creatura fantastica in cui si sarebbe potuto trasformare chiunque, donna o uomo, nella Parigi medievale: un licantropo. Il testo è contenuto in un libro di proprietà di Alexandre Laurent, un pazzo che Bencolin deve fermare prima che ne vada di mezzo il Duca di Saligny. Ma è utile far notare che Carr introduce un licantropo, per parlare invece di Laurent. Ed è in una Parigi rischiarata dai lampioni, così simile alla Londra di Jack the Ripper, che una creatura infernale, della notte, colpisce, e si identifica in Laurent. Le descrizioni orrorifiche abbondano, ma io controcorrente, invece di citare quelle che citano tutti, indico due che mi hanno particolarmente colpito. Perché non solo sono espressione del gotico, ma anche di un’altra delle caratteristiche di Carr : saper miscelare gli elementi in maniera tale da generare tensione e da accrescerla senza mai strafare.

Fine 1^ parte


Pietro De Palma

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