mercoledì 18 maggio 2016

C. Daly KING : LA MALEDIZIONE DELL’ARPA (The Episode of the Vanishing Harp,1935) – trad. Dario Pratesi – I Bassotti, Polillo, N.54, 2008


Quando uscì, non lo presi. Il motivo è semplice: è un racconto, seppure lungo, e 8,90 euro
a parere mio non giustificavano quella spesa, tanto più che allora un Classico del Giallo costava la metà (ora non più). Tuttavia la ragione vera era un’altra: speravo che prima o poi l’intera collezione dei racconti di Mr. Tarrant sarebbe stata disponibile ad un prezzo inferiore, cioè nella Collana de I Classici del Giallo Mondadori, in cui allora gli inediti del Mystery uscivano non di rado.
Poi scomparve dalle librerie, e io, anche se avessi fatto un passo indietro e avessi nutrito la velleità di acquistarlo, non avrei potuto; e così è stato fino ad ora.
Perchè comprarlo ora, allora? Per due motivi: innanzitutto perchè mi si è offerta la possibilità di prendere parecchi volumi che mi erano sfuggiti alcuni e altri li avevo un po’ messi da parte preferendo degli altri,  per una svendita operata da una Libreria di Firenze; e poi perchè, nonostante una presa di posizione – a cui ho contribuito io stesso dando una mano sul Blog del Giallo Mondadori – di Mauro Boncompagni, che alle richieste circa la scomparsa nei proclami di inzio anno della pubblicazione dell’antologia di Daly King, ha risposto con un atto di fede nelle promesse passate di Forte, io non credo più a questa possibilità.
Nonostante dovunque si registri una renaissance nei confronti della letteratura poliziesca della Golden Age, dagli USA dei romanzi pubblicati da Crippen & Landru e John Pugmire, all’Inghilterra della recente vittoria di uno scrittore e critico come Martin Edwards che ha affrontato di nuovo la Golden Age, dopo che già John Curran con Agatha Christie e Curtis Evans ( statunitense) ancor prima con Connington e Rhode avevano posto l’accento sul rinnovato interesse dei lettori e degli sudiosi sul fenomeno Golden Age, in Italia si è restii ancora a condividere questo motus. Soprattutto in casa Mondadori. Soprattutto nelle collane da edicola.
Oramai mystery se ne vedono sempre più col lanternino : questo mese c’è un Freeman inedito (dovrò chiedere di nuovo ad Alberto Cottini che acquisti una copia per me e me lo spedisca, giacchè dalle mie parti, Bari, i Classici non arrivano più ), ma oramai quando vedi un Mystery uscire in Mondadori non c’è l’entusiasmo di una volta ma una specie di disincanto.. E’ per questo, che non credendo che esca più la traduzione italiana integrale di The Complete Curious Mr. Tarrant (o almeno in fondo in fondo auspicandolo ma non credendovi molto), ho afferrato al volo almeno l’occasione di leggere uno dei racconti di Daly King (un altro, pure pubblicato da Polillo, era stato raccolto nell’antologia “I Delitti della Camera Chiusa”: L’episodio del chiodo e del requiem)
Tarrant, che è un investigatore molto particolare, che ricorda molto Philo Vance (non a caso Daly King è un vandiniano della prima ora), e infatti si interessa di archeologia, psicanalisi (guarda caso come lo stesso Daly King che ne era un affermato studioso), pittura, fisica, e altri piaceri intellettuali, e che vive di rendita, presta gratis i propri servigi a chi possa solleticargli la curiosità sottoponendogli quegli enigmi così astrusi e così pazzeschiche nessuno riuscirebbe a risolvere. A patto che tuttavia lui, l’investigatore, sia libero di fare quello che voglia pur di arrivare alla soluzione. Del resto il fatto di non essere pagato è conditio sine qua non per cui Tarrant si ritenga scevro da qualsiasi contratto e da qualsiasi imposizione. Lavora secondo i propri metodi, che non sono quelli della polizia, che non sopporta, nonostante finisca spesso per agevolare con le sue collaborazioni (anche Philo Vance critica il metodo della polizia: per es. in The Benson Murder Case).
Qui il narratore, che parla in prima persona e presenta Tarrant in terza, rimanendo nell’ombra (come nei romanzi di Van Dine, guarda un po’…) introduce Daben Donatelli, suo compagno più grande di due anni di College, favolosamente ricco, e sposato con Molla, una donna bellissima e ricca e di origini irlandesi. Daben possiede un’arpa antichissima, parecchio simile alle arpe “nanga” egizie, la cui storia affonda nella leggenda quasi e che è legata alle vicende del clan di cui è discendente Daben. A tal punto che qualcuno nel XII secolo aveva buttato giù una profezia legata al destino dell’arpa, in base a cui quando di nuovo il matrimonio che si era tenuto al tempo tra un antenato di Darben e la sua sposa si fosse ripetuto, e l’arpa fosse scomparsa per poi apparire e di nuovo scomparire, la casata dei Daben si sarebbe estinta per sempre.
Ora il fatto saliente è che l’arpa è scomparsa. Da un bunker in cemento armato, in cui è posta la biblioteca di casa, fatto costruire all’interno della villa in cui vivono Daben e sua moglie (discendente della moglie dell’avo di Daben), cui si accede per tramite di un pannello segreto, l’ubicazione del cui meccanismo di apertura è noto solo a Darben stesso, e in cui non vi sono finestre, ma solo è presente un impianto per il condizionamento dell’aria, le cui aperure sono tali che non potrebbe passarvi neanche un topo.
Tarrant accetta di recarsi alla villa di Daben, ma quando arriva, neanche il tempo di prendere coscienza dei luoghi, e…l’arpa viene trovata, nella gioia di tutti, compreso il padrone di casa. Alla sua villa non si trovano solo lui e la moglie, ma il segretario Stuart (quando c’è un uomo ricco o una donna ricca, c’è sempre il segretario), Brinkerstall un finanziere tutore della moglie di Daben, il dottor Turpington e sua moglie, e il personale di servizio. Per un puro caso, mentre sta per scendere a cena, Tarrant capta sul suo piano un colloquio tra Molla e Stuart, da cui capisce che tra i due c’è del tenero,
La presenza di Turpington e di sua moglie è legittimato dal fatto che Molla è preda di crisi nervose: la sparizione dell’arpa connessa con la maledizione espressa dalla profezia, per lei che è molto legata alle tradizioni di famiglia è divenuta ulteriore forma di frustrazione psicologica ed emotiva, e per questo Turpington, che è un amico di famiglia, l’ha invitata ad accompagnare lui e sua moglie in crociera, per “staccare” dall’atmosfera che si vive in quelal villa.
Oltre questo…nulla che possa spiegare la ricomparsa dell’arpa, inspiegabile, come tale era stata la scomparsa. Chi mai sarebbe riuscito a far scomparire un’arpa, cioè un oggetto voluminoso, di legno, simile ad una specie di cetra, ma dalla forma a goccia, da una stanza impenetrabile?
Tarrant entra con Daben nella stanza e la esamina a fondo, ma non trova nulla: solo libri, e modelli di imbarcazioni, nella cornice in alto, sopra gli scaffali della libreria. Esamina le pareti, esamina il tappeto, esamina gli scaffali, ma non trova nulla.
Intanto la vita va avanti nella villa tra cene e partite a bridge. Ma proprio una sera che c’è stata un partita e Tarrant ha visto il pannello davanti a lui aprirsi e chiudersi e poi aprirsi e chiudersi quando Daben è passato avendo sotto le braccia un modellino di barca che deve riparare, sul più bello, quando Molla vuole vedere ancora una volta l’arpa al suo posto…l’arpa non c’è più. Inutile guardare dappertutto e riesaminare scaffali e quant’altro: l’arpa non compare. Tarrant giunge persino a vedere se vi siano impronte, sulla teca di cristallo che dovrebbe contenerla, non trovandone neanche una.
Dopo un viaggio a New York, e dopo che si è barricato una notte nella biblioteca, temendo che qualcuno attenterà alla sua vita, se è vero quel che pensa, l’impossibile avviene: a mezzanotte inoltrata Tarrant perde i sensi e chi entra silenziosamente si accerta che lui sia morto. Quando però Daben entra di mattina e si accorge che Tarrant è esanime, corre sopra a chiamare il medico; ma quando tornano precipitosamente, trovano Tarrant vivo e vegeto che impugna una pistola, che impone ai due di raccogliere i presenti, e alla loro presenza  individua il colpevole, rivela come l’arpa sia scomparsa e ricomparsa, e infine concede una via “di fuga” al quasi omicida, ponendogli come alternativa all’arresto, il suicidio col veleno.
Notevole racconto, si impone subito per la struttura narrativa che non è “da racconto” classico: quando pensiamo ad un racconto “anni trenta”, pensiamo a qualcosa che per forza di cose deve rinunciare ad una introduzione, ad una descrizione approfondita dei personaggi e delle loro avversioni tale da introdurre ad un delitto, ma deve introdurre subito, senza preamboli approfonditi, al delitto. Beh, questo nel racconto di Tarrant non c’è, perchè è un romanzo in miniatura: ha una introduzione in cui il narratore (dicevamo in prima persona) introduce il personaggio chiave, Mr. Tarrant, descrivendolo; descrive colui che si rivolge all’investigatore, il suo milieu e la ragione pratica per cui lo fa, cioè l’arpa; descrive l’arpa ed il momento storico a cui si riferisce, che a sua volta deve poi legittimare la profezia su cui si basa la maledizione; infine passa allla  descrizione dei personaggi  e dei luoghi in cui si svolge l’azione, e all’azione vera e propria.
L’azione che è il cloux del racconto, lo assimila al genere della Camera Chiusa. Non è però la Camera Chiusa che troviamo nella maggior parte della produzione, cioè in cui in un camera chiusa o in uno spazio delimitato (i puristi americani si oppongono a questa seconda possibilità parlando di Delitto Impossibile: neve, sabbia, polvere, isola in mare aperto) avviene un delitto, bensì è solo la sparizione di qualcosa che tecnicamente è impossibile che scompaia (e in questo caso ricompare per scomparire di nuovo) da uno spazio chiuso senza che qualcuno se ne accorga. Carr vi ricorse nelle ultime opere con Merrivale (The Cavalier’s Cup per es.) e in alcuni racconti o radiodrammi: per es. quello in cui una persona viene pugnalata a morte in una piscina, mediante un pugnale che svanisce, come invisibile parrebbe che fosse l’assassino (The Dragon in the Pool, 1944). Anche altri autori vi sono ricorsi: per es. la sparizione impossibile di una spada, in The Bishop’s Sword di Norman Berrow. Per certi versi, la sparizione dell’arpa, la ricomparsa e la nuova sparizione, sono molto simili al pugnale che è scomparso da una camera senza lasciare traccia: è evidente che se non è uscito, deve essere lì. Ma dove? L’abilità di King è proprio lì, piuttosto che nella scoperta del colpevole che è più semplice. Oltretutto, c’è un dato riconoscibile che assimila il racconto proprio al suo creatore: il movente è da ricercarsi in una personalità distorta, la cui affezione è spiegata in quanto  patologia psichiatrica. In questo dato, riscontriamo un’ulteriore vicinanza della copia col suo archetipo, che è Van Dine: al di là dell’evidente caratterizzazione dell’investigatore privato che sa tutto (Mr Tarrant è molto vicino a Philo vance), e alla presenza del narratore amico che narra in prima persona ma rimane sempre nell’ombra, un’ulteriore prova che Daly King fosse un vandiniano, in questo racconto, è dato dalla personalità dell’assassino (perchè non ha esitato a uccidere Tarrant) di cui l’investigatore trova un indizio leggendo un libro, proprio come in The Greene Murder Case: lì leggendo Handbuch für Untersuchungsrichter di Gross, qui Emozioni nelle persone normali, di A.M. Marston. E come in quel caso Philo Vance concede all’assassino la possibilità di uccidersi, così fa Tarrant qui.

P. De Palma

10 commenti:

  1. Bello, a me è piaciuto molto, tanto che mi ha spinto a cercare tutti gli altri romanzi di Daly King pubblicati da noi. Di sicuro l'autore è un vandiniano (lo amo per questo).
    E' vero, a Bari i classici non arrivano più, e nemmeno a Taranto. Perchè non provi con gli ebook? Anche io sono di vecchia scuola e, come tale, affezionato al cartaceo, ma in alcuni casi meglio un ebook che niente (a parte il fatto che molti si trovano gratis in rete; lo so che non si fa, ma questo me lo sono scaricato col mulo).
    Sono pessimista anche io sulla possibilità di vedere pubblicata da Mondadori la raccolta dei racconti di Mr Tarrant, al di là delle dichiarazioni di facciata di Boncompagni, che non ha colpe al riguardo e purtroppo nemmeno poteri decisionali.

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  3. Quella del libro di Curt? Puoi trovare delucidazioni su quel libro andando a leggere l'intervista che gli feci in americano ma tradotta in italiano sul mio blog storico, tre anni fa:

    http://lamortesaleggere.myblog.it/2013/07/29/intervista-a-curtis-evans-autore-del-saggio-masters-of-humdr/

    Ciao

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  4. mi riferivo al titolo del presente post

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  5. Giova ti ringrazio della tua gentilezza.
    Mi ricordo di un episodio accaduto anni fa, quando inaugurai l'altro Blog. Ci fu chi una volta mi contestò il fatto che tutti o quasi i romanzi che presentavo non si trovassero più. E io gli risposi, che il Blog era il mio, che io presentavo i libri che mi erano piaciuti e non era colpa mia se non erano più sul mercato, che il blog era uno specialistico, che gli articoli erano lunghi perchè tento di fare una critica letteraria del genere, e che se proprio non gli andava giù ciò, non era obbligato a venire a leggere quello che scrivevo. Insomma..hai capito. Quindi mi fa un enorme piacere che trovi gente a cui piacciono gli argomenti che presento.

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  6. E che se scrivessero altre persone mi farebbe un piacere ancora maggiore: più genete si conosce, più i pensieri e le opinioni circolano, più la cultura si diffonde. Tenersi dentro tutta la scienza (come faceva qualcuno che conoscevo anni fa) non serve ad alcuno.

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  7. Ha poi riprovato con Il Giallo per quanto riguarda la pubblicazione della raccolta completa dei racconti? Un po' di stile vandiniano ogni tanto non guasta. E poi i soggetti son proprio particolari, lo dico anche riguardo all'altro racconto con Tarramt che conosco, il chiodo e il requiem. Ne esistono altri sparsi in chissà quale pubblicazioni?

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  8. NO. E' troppo presto. Ne abbiamo parlato due mesi fa sul Blog,ma è troppo presto per rivangare. Del resto non c'è per il momento nessuna risposta e lo stesso Mauro non ha ancora saputo alcunchè da Forte, e quindi non potrebbe rispondere. Vediamo di far passare un po' d'acqua sotto i ponti e poi ritorniamo a parlare.

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