martedì 6 settembre 2016

Paul Halter : Il demone del Dartmoor (Le diable de Dartmoor, 1993) – trad. Igor Longo – Il Giallo Mondadori N.3098.

Si può dire, senza sbagliare, che la primissima produzione di  Paul Halter sia stata la migliore. Questo non significa che i romanzi degli anni ’90 e della prima decade del XXI secolo siano stati poca cosa (anzi, in alcuni casi, il prodotto finito è stato qualitativamente assai interessante!), ma è altrettanto indubitabile che i primi 7-8 romanzi (eccezion fatta per La malediction de Barberousse, opera a parer mio ancora acerba) siano stati i migliori della sua produzione. Tutti, in un caso o nell’altro, offrono, nessuno escluso, grandi atmosfere e problemi deduttivi di primo piano. Inoltre, con l’eccezione del primissimo romanzo già citato, ambientato in Francia, tutti gli altri (almeno quelli della serie con il Dottor Twist) presentano ambientazioni in Inghilterra.
Non fa eccezione, Le demon de Dartmoor, del 1993.

Una presenza malefica si dice infesti i paraggi del villaggio di Stapleford nella landa desolata del Dartmoor nel Devon: qualcuno crede di aver visto un cavaliere senza testa, in groppa ad un cavallo, anche lui decapitato, galoppare nei pressi della roccia a forma di animale che sovrasta il torrente che bagna il villaggio. Fatto sta che tre ragazze,Eliza Gold, Constance Kent, e Annie Crook fanno tutte una brutta fine: salgono sul promontorio di granito del Wish Tor, ridendo come se stessero colloquiando con qualcuno (che non si vede però!) e poi cadono giù nel torrente tumultuoso come se vi fossero state buttate, vendo ritrovati i loro corpi ( i primi due, non il terzo, che si suppone abbia fatto la stessa fine) più a valle, imprigionati tra gli scogli , nel torrente, massacrati dalla forza della corrente che ne ha sbattuto i corpi più volte provocando fratture multiple e ferite.

Per 6 anni non accade più nulla, anzi si pensa che nulla accadrà più; e la vita riprende sonnacchiosa nel villaggio. Ma un bel giorno, Nigel Manson, attore in vista, compra il castello di Trentice, un maniero in rovina che ristruttura completamente, tranne l’ala sinistra del castello, laddove nel passato ha avuto luogo una morte misteriosa.

La moglie di Nigel, Helen, non vi vorrebbe andare, anche perché sospetta che, Nathalie Marvel, attrice e collega del marito in una fortunata piece teatrale, “L’uomo invisibile”, sia  la sua amante, e che la sua presenza nella loro dimora potrebbe coincidere col tradimento di Nigel.

Se tutto comincia male, poi finisce peggio: infatti Nigel ,fissato di fotografia e possessore di vari corpi macchina, vanitoso e amante delle pose più strane, vorrebbe posare sul davanzale della finsestra, in una posa molto pericolosa. Il davanzale è quello della finestra al secondo piano, nel salone del maniero, che dà sul prato circostante:  nel salone, con lui, sono sia la moglie Helen, vecino al camino, sia il dottor Thomas Grant, medico di Stapleford, seduto in poltrona, alle sue spalle. Nessun altro. Troppo lontani, o impossibilitati ad avere parte in quello che accade sul davanzale, almeno a sentire Franch Holloway, agente teatrale di Nathalie e in passato suo amante, che entra nel salone in pratica un attimo dopo che Nigel cade dal davanzale, con le mani in avanti, come se fosse stato spinto giù, mentre Nathalie lo riprende dabbasso con la macchina fotografica.

L’essere invisibile che ha ucciso le tre ragazze ha ucciso anche lui?

Fatto sta che altre cose inspiegabili accadono dopo: un’ombra rossa che cammina per le strade del villaggio, che riesce a spaventare persino Basil Hawkins, giardiniere, amico di Victor Sitwell, professore di filosofia al liceo di Tavistock; una foto che sparisce dalla locanda dove una sera vanno a sbronzarsi Frank e Victor e altra gente, in cui sarebbe rappresentato qualcuno che avrebbe spaventato Nigel, la sera prima che fosse ucciso (perché Twist immagina che non vi sia uno spirito dietro la sua morte, ma un assassino astuto); il tentativo di uccidere lo stesso Victor, che possiede un’altra duplicazione di tale foto. Qualcuno persino afferma di aver riconosciuto in Nigel, uno dei due bei giovani che anni prima era andati a bisbocciare nella locanda, laddove avevano richiamato l’interesse proprio delle tre ragazze, poi scomparse: possibile che egli fosse l’amante di cui le ragazze qualcuno pensa si fossero innamorate, e che per qualche oscuro motivo le avesse uccise? In quel caso si tratterebbe, per la sua morte, non di assassinio ma quasi di giustizia capitale: un giustiziere venuto dall’al di là? Oppure ci troviamo dinanzi ad una ipotesi campata in aria e Nigel è stato ucciso per dell’altro, magari per quello che egli avrebbe visto nella foto scomparsa?

Sarà ancora una volta Alan Twist a dare un volto al misterioso omicida e a spiegare le morti impossibili delle tre ragazze e di Nigel, accadute tutte e quattro sotto lo sguardo di testimoni attendibili, senza che si sia potuto vedere il loro assassino.

Ancora una volta Paul, in questo romanzo, manifesta il suo amore verso Carr: vi sono infatti molti accenni al suo autore preferito.

Innanzitutto il delitto impossibile davanti a testimoni: Nigel che muore cadendo dalla finestra del salone del castello, richiama immediatamente alla mente un celebre romanzo di Carr, il più breve dei suoi: The Case of the Constant Suicides, 1941 (Gideon fell ed il Caso dei Suicidi), in cui  un uomo cade dalla finestra di una torre, la cui porta era sprangata dall’interno. Secondo me, il romanzo di Paul, ne è una variazione molto affascinante; poi, quando a pagina 75 (16^ capitolo) parla di “L’uomo che spiegava i miracoli” appellando così l’Ispettore Hurst (ma The Man Who Explained Miracles è non solo l’altro titolo del racconto All In A Maze, del 1956, a firma Carter Dickson, ultima avventura di Merrivale, ma anche la famosissima biografia di Carr scritta da Douglas Greene). E infine vi sono delle altre cosette, che secondo me avvicinano questo romanzo a Carr: potrebbe essere una citazione di Carr, il passo finale del 19° capitolo, a pag. 94: “..i riflessi giallastri nei suoi occhi di una strana fissità rivelarono per un istante che non si trattava di una persona normale…”. A me questo passo ha richiamato immediatamente per associazione, lo sguardo dell’assassino di Death-Watch, nascosto tra i tetti. Ma questa potrebbe essere solo una mia fissazione. Invece credo che di più rilevante vi sia un’altra citazione da Carr, anzi da Carter Dickson, che richiama subito alla mente, la caduta dal promontorio delle ragazze: infatti a me ha fatto venire alla mente, She Died A Lady, del 1943, in cui due innamorati cadono dall’alto di una scogliera, nel sottostante oceano (ma nonostante le orme siano solo le loro, è un omicidio: una delle più belle Camere Chiuse di Carr ed uno dei suoi capolavori!). E ancora.. “L’Uomo Invisibile”: il titolo della commedia interpretata sul palcoscenico da Nigel e Nathalie, a me richiama oltre che il romanzo di fantascienza del 1881 di Herbert George Wells, anche una raccolta di racconti di Carr dal titolo The New Invisibile Man (col Colonnello March).

Tuttavia sarebbe sbagliato dire che Halter abbia creato il suo romanzo partendo da Carr: No! Io credo invece che Paul abbia in qualche modo sfruttato qualche cosa di Carr (magari anche inconsciamente), creando tuttavia un’opera originale, direi una delle sue più affascinanti.

Innanzitutto i due romanzieri hanno un’idea diversa delle loro storie: mentre Carr crea delle intense e drammatiche storie, Halter compone delle fiabe “nere”. Oddio, talora crea anche lui delle storie intensamente drammatiche e talora anche grandguignolesche come nei romanzi del ciclo Bencolin di Carr! Il più delle volte, però, Halter crea delle fiabe, con falsi elementi soprannaturali: qui, l’atmosfera è magica, perchè magiche sono le descrizioni dei luoghi (un simile procedimento può esser visto in L’arbre aux doigts tordus o La malediction de Barberousse), così come sono presenti i riferimenti soprannaturali (un uomo invisibile, un cavaliere senza testa, un mazzo di carte diaboliche, un cavallo volante). Inoltre Carr crea delle storie adatte agli adulti, in cui mancano quasi drasticamente soggetti molto giovani, perché la storia viene narrata con gli occhi di un adulto, a differenza di Halter dove invece questi soggetti sono spesso presenti (La malédiction de Barberousse, Le diable de Dartmoor, Spiral) perché la storia è narrata con gli occhi di un ragazzo: per questo, per Halter, il romanzo poliziesco è quello che si dice “una favola per adulti”. Riporto un passo significativo dell’ intervista da me fatta a Paul, circa otto mesi fa, e che ha avuto un’eco abbastanza significativa anche all’estero:

“..Il grosso problema per un romanzo poliziesco, è che la magia del mistero cessa di operare alla fine, quando tutto è spiegato in dettaglio. Abbiamo bisogno di trovare un escamotage per cui il fascino continui a funzionare sempre. L’esempio migliore resta a mio avviso la fine di The Bourning Court di Carr. In altre parole, trovare qualcosa per accreditare il fantastico dopo la spiegazione finale. Come definizione del romanzo poliziesco, Pierre Véry parlava di “favola per adulti” e io sottoscrivo senza riserve questa dichiarazione. Per i bambini piccoli che siamo stati, quelle storie di streghe, di fate e di draghi sono state una vera e propria scuola di preparazione al romanzo poliziesco! E inconsciamente, penso di cercare di trovare questi primi brividi scrivendo le mie storie. Il tema della fiaba è sempre celata al di sotto. Ne “L’homme qui aimait les nuages” 5 , è ancora evidente. L’eroina sembra essere una fata, mentre il colpevole è il “vento”.
Inoltre mentre nel caso dei romanzi di Carr il colpevole quasi mai è una vittima del destino e quasi sempre è un essere che magari ha ucciso spinto dalla necessità, o per fredda e calcolata abilità, ma non per follia pura, nei romanzi di Halter (e anche in Le diable de Dartmoor) fa capolino il tema insistente della follia:
“Sì, mi piace il tema della follia. Ciò consente di presentare modelli vari e sorprendente. Interessanti anche i problemi psicologici legati ai bambini (evitando il sacrosanto stupro dello zio!). Direi che i miei criminali sono spesso “ossessionati” da una passione, una fobia, ecc. Per essere più precisi, avrei dovuto dettagliare ognuna delle mie storie, ma vorrei lasciare al lettore la cura di scoprirlo di persona.”

Un’altra differenza tra Carr e Halter riguarda la costruzione del plot: mentre Carr riserva importanza sia al Come che al Chi, Halter si preoccupa principalmente di spiegare il come un fatto sia avvenuto: non a caso, eccetto La quatriéme porte e Le brouillard rouge, e qualche altro romanzo dei primissimi, come La mort vous invite o La lettre qui tue, non è così arduo inquadrare il colpevole, cosa che avviene invece nel caso di Carr. Questo perché Halter eredita la tradizione del romanzo ad enigma francese in cui ha la prevalenza l’enigma rispetto all’individuazione del colpevole.
Ancora un’altra differenza tra i due concerne i dettagli della storia: mentre in Carr, e in genere nel caso dei romanzieri anglosassoni degli anni ’30 (E.Queen, Van Dine, C.D.King, etc..), i dettagli, i particolari hanno un’importanza rilevante e sono estremamente complessi nella loro spiegazione, e ciascuno concorre per sé alla soluzione finale, in Halter questo non sempre avviene, in quanto la microstruttura del romanzo non gli interessa quanto la macrostruttura: gli interessa il problema in sé per sé e non invece le sue estrinsecazioni.  Se in La Quatriéme Porte la difficoltà presenta un livello di complessità altissimo, quasi di virtuosismo puro, nei tanti altri suoi romanzi, la difficoltà è solo apparente. Non a caso il colpevole, in una storia di Halter, se si è capito come egli la pensa, e quali sono i suoi modi di procedere (che spesso vengono ripetuti nei romanzi), non è arduo da individuare, a differenza che in Carr. Carr ha però la capacità di spiegare fino nei minimi dettagli la soluzione di un certo fatto, anche dopo aver allungato la trama del romanzo. E in questo si differenzia da altri romanzieri a lui coevi. Per es. da Talbot, che in Rim of the Pit crea una somma di situazioni impossibili a tal punto da far fatica poi, nella soluzione finale, a spiegarle realisticamente, arrampicandosi spesso sugli specchi. Ecco perché Halter, a mio modo di vedere assai intelligentemente, sapendo di non stare sullo stesso livello di Carr, non cerca di emularlo fallendo nel tentativo, ma a sua differenza e di altri romanzieri spaccacervelli (E.Queen soprattutto), crea degli edifici narrativi molto affascinanti, ma semplici da spiegare, perché privi di complessità effettive e astrusità (tranne che in qualche opera delle prime): la cosa si traduce anche nella lunghezza dei suoi romanzi, che spesso si attesta sulle 200 pagine o anche meno, a differenza dei romanzi carriani.

Nel romanzo vi sono tuttavia anche altre cose interessanti, che attengono alle citazioni presentate. Per esempio quella all’inizio del capitolo 8, a pag. 37, ci presenta Frank, in una squallida camera d’albergo, che si rivolge alla sua amante Nathalie e le dice:

“Couvrez ce sein que je ne saurais voir” .

Il periodo completo sarebbe : Couvrez ce sein que je ne saurais voir. Par de pareils objets les âmes sont blessées, et cela fait venir de coupables pensées.” (Tartufo, atto  III, scena II, versi 860-862). Cioè : “ Copritevi questo seno affinché io non lo veda. Da tali cose le anime son ferite, e questo fa venire dei pensieri peccaminosi”. I due (Nathalie e Frank) sono amanti e la nudità di lei è il prologo ad un amplesso. Tuttavia egli si rivolge a lei, citanso un passo dal Tartufo di Moliére: Tartufo vuole sedurre Elmira, con le sue massime moraleggianti, espresse in maniera che, neanche troppo velatamente, ella capisca però come lui voglia possederla. In sostanza, l’avance di Tartufo/Frank è l’anima dell’ipocrisia, della duplicità, della dicotomia tra essere ed apparire: infatti anche Frank, come Tartufo, è un ipocrita, che si manifesta in un certo modo per conquistare il prossimo, cioè le attricette e le soubrette in cerca di successo (come Nathalie).

Tuttavia il passo, per me, potrebbe rappresentare l’anima di tutto il romanzo, e non sarebbe affatto casuale che Paul l’avesse inserito: un romanzo sulla doppiezza e sulla falsità. Infatti se si analizza il comportamento dei vari personaggi del romanzo, si vedrà che parecchi fra essi, è come se recitassero una parte, e quindi in sostanza sono degli ipocriti: falsa è Nathalie, falso è Frank, falso è Nigel, falsa è Helen, falso è Victor, falsa è Annie, e potrebbe essere anche falso (anche se ha tutte le ragioni per esserlo) Basil. E posto prima dell’omicidio di Nigel e dopo la scomparsa delle ragazze, l’avance è come se suggerisse al lettore di diffidare di tutto quello che Paul Halter dice attraverso i suoi personaggi (in un certo senso anche egli sarebbe doppio).

Insomma..un altro bellissimo romanzo di Paul Halter.

Pietro De Palma

2 commenti:

  1. Uno dei piu' belli di Halter, a mio parere. Il problema del delitto impossibile è intrigante e la soluzione geniale nella sua semplicita', l'atmosfera ricreata sicuramente meglio che in altre opere. Piccola nota a margine: se è vero che nella sua produzione "La quarta porta" è probabilmente inarrivabile, a livello di puro divertimento logico "la camera del pazzo" non è da meno, come non ritengo assolutamente inferiore "nebbia rossa", che anzi secondo a me a livello di atmosfera e tensione narrativa è l'apice della sua produzione

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  2. Oh sì indubbiamente. L'ho detto tante volte: Nebbia rossa è uno dei suoi capolavori, per atmosfera, e anche per il fatto, geniale, che incominci come finisca. Solo che all'inizio non si capisce mentre alla fine capisci, e capisci...rabbrividendo. E' forse il romanzo migliore per atmosfera che abbia confezionato, in cui la storia ti si avviluppa attorno e non ti lascia respirare. E' come se anche tu camminassi, come le vittime e l'assassino, nella nebbia di Londra

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