lunedì 5 dicembre 2016

John Dickson Carr – Il Cantuccio della Strega (Hag’s Nook, 1933) – trad. A.M. Francavilla – I Classici del Giallo, Mondadori, N° 486 del 1985 – 1^ edizione; I Classici del Giallo, Mondadori, N° 1336 del 2013 – 2^ edizione.

IL GOTICO IN CARR

In che modo Carr ha rivisitato nei suoi romanzi le storie soprannaturali  e in che modo egli ha contribuito ad un genere  al quale da Lefanue a Joyce da Jan Potocki a Montague Rhodes, vari sono stati i romanzieri che hanno aggiunto il proprio tassello al quadro generale?
Và detto innanzitutto che la tendenza di Carr a rivisitare il genere è stata dovuta alle sue letture giovanili, ma anche – io direi – a delle peculiarità storiche: la tendenza tipica del primo novecento a riscoprire, anche nelle sue manifestazioni più esteriori, lo spiritismo. I più grandi spiritisti sono stati britannici, e lo stesso Conan Doyle fu un grande studioso del paranormale ( e per certi versi sapere questo contrasta col fatto che fu l’inventore del primo più grande detective che fa della deduzione e abduzione le proprie armi vincenti).
Pertanto, la presenza in maniera massiccia nell’opera di Carr, di elementi attinenti al paranormale, non mi lascia basito. Conseguentemente varie sono le nuances gotiche nelle sue opere: dai tratti orrorifici, tipici dei primi romanzi del ciclo bencoliniano (It Walks By Night, Castle Skull), al gotico di nome ma non di fatto in The Plague Court Murders, al gotico che sconfina nel fantastico (The Bourning Court o The Door To Doom), il cammino ha toccato più sponde, definendo col tempo un proprio ideale di mistero. Non direi come dice Sonaglia che “Se gli si può imputare un difetto, rispetto ai cugini specializzati nell’arte del mistero, è proprio quello di essere «asettico» in modo addirittura esagerato; i suoi personaggi, disinfettati dai turbamenti elementari, sono colmi di salute e buon senso «old England», e c’è un ottimismo di fondo al quale si sacrifica per necessità l’unica vittima rituale che, in questo caso, è l’assassino” (C. Sonaglia, Carr e il gotico, 1983, Il Giallo Mondadori  N° 1821), perché, se è vero che questa mancanza di sangue ristagna in gran parte dell’opera carriana, è anche vero che nelle prime opere, quelle del ciclo bencoliniano, si assiste ad un exploit di Grand Guignol. Piuttosto direi che il suo essere asettico, proponendo un mystery di influenza gotica senza sangue, è il risultato di un processo lento ma inarrestabile, che tende ad abbandonare il mondo dell’irrazionale e spostarsi sempre più marcatamente in quello del razionale, passando da una via già battuta da altri ad una tipicamente propria. E nella realizzazione di un proprio modello letterario, man mano che egli si allontana da un gotico di maniera, perde anche le proprie sponde letterarie. Così, se nei primissimi romanzi, l’atmosfera è quella delle opere del gotico cosiddetto “nero” (per es. Walpole), oppure nei suoi romanzi vari sono i suoi riferimenti all’opera di Poe (Poison In Jest  per esempio), nel momento in cui individua e persegue tenacemente una propria strada, perde del tutto i riferimenti letterari ai grandi suoi predecessori.
Così, tre stadi possiamo identificare, grosso modo, nel mondo del gotico carriano, corrispondenti a tre romanzi simbolo, perché capifila delle tre sue serie:
It Walk By Night : il gotico primo tipo con una marcata presenza di elementi orrorifici e di sangue;
Hag’s Nook : il gotico secondo tipo, in cui pur proponendosi manifestazioni tipiche del gotico (cripte, topi, prigioni, pozzi) il sangue non è più in primo piano;
The Plague Court Murders, in cui il gotico raggiunge la forma più stabile, proponendo quello che è il tratto più caratteristico della produzione carriana: il vedere e non vedere, “l’esistenza–non esistenza” del soprannaturale, cioè nel momento in cui si delinea una possibilità di soprannaturale, il suo superamento razionale.
Hag’s Nook, mancante da quasi trent’anni negli scaffali degli appassionati, è stato ripubblicato finalmente, qualche giorno fa, nella versione integrale dovuta a Maria Antonietta Francavilla.
E’ una storia che allude ad una maledizione: il primogenito di una certa famiglia, dopo aver passato la notte in una stanza della dimora degli avi, muore col collo spezzato.
La famiglia è quella degli Starbeth: un avo era stato il terribile e feroce comandante di una prigione costruita nei pressi del “Cantuccio della Strega”, una rupe dove si impiccavano le streghe: la rupe era a picco sulla vallata, per cui dalla forca costruita a picco, si facevano cadere le vittime appese al capestro di una lunga corda, cosicché spesso il colpo, acuito dalla caduta e dal peso della vittima, provocava una orribile decapitazione. Già il posto era molto conosciuto, perché la gente si accalcava nel passato per assistere a questi spettacoli orridi, ma poi aveva acquisito altra trista fama, perché nei pressi, per volere delle autorità, era stata fatta costruire una terribile prigione, dove la stessa manovalanza che fosse stata impiegata per costruirla, se fosse scampata alla fatica, alle frustate, alle condizioni inumane e alla morte, sarebbe stata reclusa per scontare il proprio fio. Tuttavia pochi scampavano a quel luogo terribile di detenzione, e coloro che cercavano di fuggirne spesso cadevano nel pozzo costruito nel luogo del Cantuccio della Strega, un pozzo che era pieno dell’acqua malsana dell’acquitrino che vi ristagnava, morendovi. Spesso nello stesso vi si buttavano i cadaveri dei condannati, per cui ben presto i miasmi, la decomposizione dei cadaveri e i numerosissimi ratti che infestavano la prigione, avevano provocato una epidemia di colera che avevano provocato la morte dello stesso Governatore. A lui si doveva la consuetudine di richiedere che il primogenito per ereditare, nel giorno del suo venticinquesimo compleanno, dovesse andare alla prigione di Chatterham, passare una notte nella stanza del Governatore, aprire una cassaforte,  leggere un certo documento e correre un certo rischio, senza poterne riferire al proprio figlio.
E Timothy Starbeth, è morto in modo assai strano: è stato trovato col collo spezzato e bagnato fradicio, come se qualcuno, che fosse emerso dal pozzo, l’avesse ucciso: il fantasma assassino e vendicatore di qualche condannato all’impiccagione, buttato in quel pozzo perché si decomponesse?
Ora Martin Starbeth deve adempiere al rito per entrare in possesso dell’eredità, ma ha paura. E ha dannatamente paura anche sua sorella, Dorothy, innamorata e ricambiata di Ted Rampole, giovane americano che è in quei posti perché Bob Melson, amico del Dottor Gideon Fell, gli ha dato una lettera di raccomandazione per l’amico, così che possa dare valido aiuto al giovane che deve specializzarsi all’università.
Così, tutti quanti si trovano assieme: Martin, Dorothy, Ted, Gideon Fell e il dottor Payne, il notaio legale degli Starbeth. E c’è anche il reverendo Thomas Saunders, che viene presentato a casa loro da Gideon e dalla moglie: non si sa per quale motivo, quasi fossero ostaggi dei fantasmi del passato e delle superstizioni, ma tutti temono che accada qualcosa. Così stabiliscono un certo piano: Martin andrà alla prigione, entrerà nella stanza, accenderà un fanale e siccome non ci sono altre uscite che quelle sorvegliate da lontano, e dentro si è fatta una ricognizione e si è potuto appurare che non ci sono passaggi segreti e quant’altro, si può esser sicuri che non avverrà nulla anche quando tornerà, perché la via per andare alla prigione è del tutto all’aperto e quindi può esser facilmente sorvegliata. Ma qualcosa va storto. Martin non torna, e così cercatolo, lo trovano morto, col collo spezzato, nel Cantuccio della Strega, vicino al parapetto del pozzo.
Subito si instaura l’interrogativo base: come è morto? Si stabilisce che è stato assassinato, ma…da chi? Questo è il punto: chi avrebbe potuto farlo, davanti agli occhi degli spettatori e farla franca?
Ben presto un curioso intervallo di dieci minuti (alcuni orologi della casa sono precisi ma uno si è tentato di farlo sistemare dieci minuti avanti e quello che ha dato l’ordine non eseguito, è stato Herbert, il cugino dei due Starbeth) diventa determinante per stabilire i tempi dell’omicidio. Tutti cercano Herbert, ma Herbert non si trova: è scappato. E’ lui l’assassino?
In un vorticare di eventi, Gideon Fell estrarrà dal cappello a cilindro non un coniglio, ma la soluzione, individuando l’assassino, fornendogli il movente e soprattutto smascherandone l’alibi a prova di bomba e la rispettabilità, non prima che sia stato ritrovato morto anche lo stesso Herbert.
Hag’s Nook, sottovalutato da molti, rispetto a più blasonati suoi posteriori, è nell’ambito dei romanzi carriani già un piccolo capolavoro: presenta una situazione impossibile, un’atmosfera apparentemente soprannaturale, ed un piccolo numero di pretendenti al ruolo di assassino.
Innanzitutto, in questo romanzo – anzi direi -  “anche in questo romanzo”, Carr rende un personale omaggio a Poe: infatti Carr, come aveva fatto in Poison in Jest (pubblicato un anno prima, nel 1932), dove il riferimento dichiarato era stato The cask of Amontillado, qui Carr immette tutti i caratteri più esteriori del gotico (stanze di tortura, topi, luoghi tetri e bui, particolari orridi) e in più elabora una situazione, quella della mappa del tesoro e della chiave per accedervi, che si  rifà espressamente a The gold-bug (Lo scarabeo d’oro) proprio di Poe, proprio per la natura della chiave, un crittogramma: se in Poe tuttavia, la chiave era di tipo logico matematico ( a numero uguale corrisponde lettera uguale, sulla base della frequenza di certe lettere nella lingua inglese) qui essa si basa su indovinelli e su acronimi, non su sciarade, come indicato nel romanzo (pag.151 versione originale, I Classici del Giallo Mondadori N.486 del 1985: “Il dottore arricciò i baffoni. – Ci siamo – annunciò – è una sciarada”): infatti, se fosse una sciarada, FENMEN ILIADE NORVEGIA DECESSO SASSO ITHURIEL GETSEMANI non dovrebbe contribuire a formare FIND SIG, perché le due parole FIND SIG si formano solo prendendo le iniziali di ciascuna delle parole prima riportate FENMEN ILIADE NORVEGIA DECESSO SASSO ITHURIEL GETSEMANI, cosa che è appunto un acronimo; l’espressione “E’ una sciarada”esclamata da Fell è quindi un mero errore: la sciarada infatti è l’unione di due parole a formarne un’altra di senso diverso da quello delle due parole unite: es. rosa + rio = rosario.
Possibile che Carr si fosse sbagliato? Tutto è possibile, ma io propendo a credere che l’errore fosse intenzionale, cioè che Fell non lo si deve prendere come l’oracolo, ma come un personaggio che talora prende, non volendo, degli abbagli colossali: fa parte della sua personalità. Ma non è che gli altri facciano pure una bella apparizione: infatti nessuno si accorge dell’errore!
Al di là di ciò, sottolineo come tutti i caratteri più orridi (le catene e i ceppi che penzolano dai muri, gli strumenti di tortura, i ratti enormi, l’oscurità, il pozzo con i suoi segreti) sono usati in questo romanzo non con la stessa vena usata per il primo di Bencolin: lì la cantina, in cui si sentivano dei rumori, nasconde nei suoi muri un cadavere decomposto; qui, in ambienti grevi di presagi, in cui ci si aspetterebbe di trovare qualche macabro resto a ben donde, nulla viene trovato. In altre parole, se l’ambientazione è la stessa, diversa è la sostanza, qui molto meno evidente: è come dicevo più sopra: man mano che Carr procede sul suo cammino, perde i caratteri propri del Gotico orrorifico tipo il Vathek o Il Castello di Otranto, per assumerne altri più propri, caratteri di facciata, che devono contribuire a creare un’atmosfera ma poi non devono distogliere dalla ricerca di una soluzione il più possibile razionale, in cui il soprannaturale perde la propria irrazionalità latente.
Ecco allora lo schema che verrà in tanti romanzi quasi sempre seguito:
Introduzione > descrizione di una situazione irrazionale delitto > spiegazione razionale > individuazione omicida > apologo
Solo in un caso, o meglio in pochissimi, Carr si discosterà: e sarà quando, accanto alla soluzione razionale che deve ricondurre il discorso alla credibilità, perché l’omicida possa essere individuato e non invece sfugga, sarà contemplata una possibile soluzione soprannaturale. Il movente di Carr quindi non è tanto l’avversamento di una situazione soprannaturale a favore di una razionale, per un qualche agnosticismo di fondo, quanto io credo la volontà di ricondurre la soluzione in un alveo contraddistinto dalla giustizia umana che non deve contrapporsi o sostituirsi o essere sostituita da quella divina, ma affiancarla nella punizione del reo. Una giustizia giusta, che per evitare di incriminare un innocente, deve necessariamente affidarsi ad un detective superiore, il quale però è sempre un uomo, capace quindi di prendere un abbaglio.
La grandezza di Fell è proprio questa: sapersi svincolare al momento opportuno delle proprie piccolezze (com’è per esempio pontificare, magari a sproposito: sciarada al posto di acronimo) e assurgere alla verità suprema. Non è un caso per esempio che in parecchi dei romanzi in cui compare e in cui si sviluppa una trama soprannaturale, Fell introduca il fatto, come qui del resto. La ragione è una sola: se Fell descrive l’evento, il lettore è portato in un primo tempo a dargli credito, e quindi la stessa situazione soprannaturale acquista credito e l’atmosfera ne beneficia. Quale sorpresa ne riceverà il lettore più tardi quando assisterà alla sconfitta del soprannaturale a favore del razionale, proprio per causa di Fell!
Accadrà quando Fell pontificherà ex-cathedra, elevandosi sulle proprie piccolezze umane, e affermerà una verità assolutamente incontrovertibile, sostenuta da prove inoppugnabili e da un ragionamento superiore.
E per farlo dovrà liberarsi dai preconcetti. Perché, come dice Sherlock Holmes, ne Il Segno dei Quattro, “When you have eliminated the impossible, whatever remains, however improbable, must be the truth” .
Bisogna anche dire che questo romanzo influenzerà altri autori: il tema della maledizione gravante sul primogenito che deve passare la notte in un certo ambiente e poi finisce assassinato in condizioni impossibili, influenzerà per esempio il Derek Smith di Whistle Up The Devil.

Pietro De Palma

2 commenti:

  1. Buongiorno Pietro
    Leggo sempre con curiosità quando si parla di una eccellenza come Carr.
    Ho letto di recente H.N. Dopo che avevo l'omnibus Delitti Impossibili di Fell in biblioteca dall'87.
    Va letto perché é il primo Fell e nin si può prescindere per gli appassionati del settore.
    Però,ahimè, la "sindrome Scubidoo" come la chiamo io, é palese. Pochissimi personaggi e l'assassino lo si immagina.

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    1. Ma leggere un Carr è sempre un piacere anche se è un'opera acerba come questa.
      Purtroppo a carr non è stata mai riservata da Mondadori lo stesso trattamento dovuto alla Christie, e sarebbe stato il caso! Il fatto è che probabilmente, nella Mondadori del tempo, Carr non era amato come la Christie, perchè Tedeschi aveva dei preconcetti nei suoi riguardi. Nè si pensò nella Mondadori di inizio anni '90, non ancora di proprietà Berlusconi, di accantonare in libreria tutta l'opera di Carr (i romanzi già tradotti e disponibili e quelli no, magari pensando anche a delle ritraduzioni). Ora è tutta roba non più disponibile o solo di volta in volta. E non è neanche il caso di parlare delle ritraduzioni, perchè figurati che non si riesce neanche a far tradurre altro. Quindi... Però da queste scelte non attuate al tempo è derivata una cosa importantissima: che per quello che è considerato da molti ( da me sicuramente, e anche da Mauro) il più grande scrittore di romanzi mystery che sia mai esistito, non c'è disponibile in Italia alcuno studio. E ovviamente nessuno pensa di tradurre in italiano il meraviglioso saggio di Greene. E questo perchè? Perchè per mettere a disposizione dei lettori in libreria un sagigo fondamentale come quello, sarebbe parimenti necessario che in libreria fossero disponibili tutti i romanzi e i racconti di Carr. Altrimenti di cosa si parlerebbe? Di aria fritta?

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