lunedì 8 maggio 2017

Bill Pronzini : Prova di colpevolezza (Proof of Guilt, 1973) in Delitti Impossibili vol.1 (di tre volumi), da "The Art of Impossible" (anche intitolato come Murder Impossible: An Extravaganza of Miraculous Murders Fantastic Felonies & Incredible Criminals) di Jack Adrian e Robert Adey, 1990 - Garden Editoriale, 1993



Non andavo al centro di Bari, a vedere negozi e piluccare libri e dischi da almeno due mesi: problemi di sciatalgia che mi hanno afflitto quest’inverno. Ero già passato da Feltrinelli dove avevo già acquistato gli ultimi due volumi de I Bassotti di Polillo, quando sono passato davanti al negozietto di una mia conoscente che vende libri e dischi di seconda mano: qualche volta trovo anche qualche cosa buona. In passato avevo trovato delle chicche, è vero, ma nulla come ieri: sei tra raccolte Ellery Queen presenta, Oscar del giallo che non avevo, e..udite udite, il n.1 della raccolta Delitti Impossibili della Garden. I  nn. 2 e 3 già li avevo e con quello trovato ieri, finalmente completo la mitica raccolta di Bob Adey di Delitti Impossibili ( The Art of Impossible) , che la Garden si aggiudicò molti anni fa.
Dei racconti presenti, per il momento parlerò solo di Proof of Guilt, di Bill Pronzini, una Camera Chiusa veramente originale e brillante con un finale…senza parole, pubblicata su EQMM del giugno 1973, rimandando al futuro l'analisi di altri.
Narra la storia, in prima persona, un agente di polizia: parla di come tempo prima, mentre era in Centrale assieme al suo compagno Jack Sherrard, era arrivata la telefonata di un certo Charles Heam, segretario dell’ avvocato Adam Chillingham, che chiedeva aiuto: aveva intrappolato nella stanza del suo principale, anche il  suo assassino, chiudendolo a chiave dall’esterno.
I due precipitatisi a casa, trovano effettivamente, nella stanza chiusa a chiave dall’esterno da Charles, il corpo senza vita dell’avvocato, sparato al collo da un proiettile di piccolo calibro (22 o 25). Interrogato l’uomo,  George Dillon, imperturbabile, seduto su una poltroncina, che non fa il minimo sforzo per sottrarsi ai due, ed è anzi contento che sia arrivata la polizia, egli professa la sua innocenza: afferma che mentre era seduto alla scrivania a discutere di affari comuni, era stato colpito al collo da un proiettile, allorchè egli aveva aperto la finestra, visto che faceva molto caldo. Le parole però non trovano facile accoglimento perché mancano tutte le possibilità affinchè esse possano essere provate: in base ad esse Chillingham sarebbe stato ucciso da un proiettile sparato evidentemente dall’esterno; eppure la finestra è a picco, essendo in grattacielo e mancando balconi o altro; dal più vicino palazzo vi sono almeno cento metri d’aria; non vi sono altre finestre vicino a quella incriminata, tanto più che quella stanza ha una finestra e la porta, e il palazzo più vicino, a cento metri di distanza, è pure parecchio più spostato sulla destra, per cui il proiettile per indovinare la finestra e il collo della vittima avrebbe dovuto seguire una traiettoria con un angolo molto acuto; infine, un proiettile di calibro piccolo, 22 o 25, non avrebbe avuto la forza necessaria per poter arrivare a bersaglio dopo cento metri.
E’ evidente quindi che Dillon sia il sospettato N°1; tanto più che il segretario dell’avvocato afferma di aver sentito prima che scoprisse il corpo, un colpo molto attutito. Il bello tuttavia è che non si trova, in quella stanza, né una pistola, né tantomeno un silenziatore. E senza pistola, nessuna giuria condannerebbe Dillon, anche se è incontrovertibile che solo lui può averlo ucciso.
Viene perquisita la stanza: nulla. Tolte le suppellettili si tastano i muri, si scruta il pavimento: nulla. Si pensa allora che l’arma possa essere stata buttata: ma già certamente, sarà proprio così. Perché nessuno ci ha pensato? L’assassino si è affacciato e ha buttato la pistola. Già, ma la pistola la non si trova giù né allargando il raggio d’azione. Risultato? Non  è stata buttata nessuna pistola, e del resto sul prato sottostante un segno ci sarebbe se una pistola fosse stata lasciata cadere sedici piani sopra! E non c’è neanche alcun posto sulla superficie liscia verticale del grattacielo, vicino alla finestra, sopra o sotto, in cui nascondere la pistola. A meno che ce ne fosse una, ovviamente. Ma se il proiettile c’è, ci dovrebbe essere anche un bossolo, e per di più una pistola! Solo che né bossolo né pistola si trovano.
Dillon viene condotto in una stanza ed interrogato. Risponde pazientemente a tutte le domande e ripete sempre la stessa cosa: che l’avvocato aveva aperto la finestra per fare entrare aria e un attimo dopo era stramazzato a terra colpito dalla pallottola, e che non si era sentita alcuna detonazione. Questo particolare era l’unica cosa in contrasto col racconto del segretario, che ricordava di aver sentito una detonazione seppure attutita, mentre lui la negava. Per il resto…
Chi era Dillon? Quali motivi lo avevano portato in quello studio legale?
Dillon raccontò la sua storia. Suo padre era molto ricco, ma con lui i rapporti erano stati sempre pessimi. Parecchi anni prima, non riuscendo a sopportare il padre, aveva cominciato a viaggiare, e in giro per il mondo aveva svolto innumerevoli attività. Il padre dal canto suo lo aveva minacciato che se non si fosse ravveduto, lo avrebbe escluso dall’eredità, ripartendola in somme da devolvere ad istituzioni di beneficenza. Detto? Fatto. Ma a lui dei soldi del padre non interessava un fico, e che fossero state devolute ad istituzioni di beneficenza poteva anche andare bene. A patto però che lo fossero state. In realtà trecentoquarantamila dollari non erano andati a finire all’Associazione per la Ricerca Medica, per la semplice ragione che questa associazione non esisteva: Chillingham in sostanza, essendo esecutore testamentario e legale del padre, si era impadronito di quei soldi indebitamente. E ora lui, Dillon, avendolo scoperto, aveva contattato Chillingham per mettere le cose in chiaro.
A questo punto è chiaro che Chillinghanm aveva pure il movente: e che movente! E lo ha rivelato placidamente: quindi, a meno che non sia proprio lui, deve sentirsi in una botte di ferro.  Perché una cosa è certa: senza pistola, né bossolo, nessuna giuria lo incriminerebbe mai.
I due si convincono che nel passato di Dillon forse c’è la chiave per decriptare il presente e passano al setaccio il suo passato e i suoi vari lavori, riuscendo a trovare un buco di quattro anni, durante i quali Dillon deve pure essere andato da qualche parte ed aver svolto un’attività ma su questo lui non si sbottona: è l’unica cosa di cui è reticente e non si riesce a fargli dire cosa fosse.
Tuttavia la polizia spera che alla lunga possa tradirsi e così lo arrestando e lo sottopongono a detenzione, sottoponendolo a lunghi interrogatori sperando che si tradisca, ma quello proprio non si tradisce. E alla fine la polizia, benchè riluttante, è costretta a rilasciarlo e ad archiviare il caso. Tuttavia prima che ciò fosse deciso, i due agenti incaricati dell’indagine, avevano fatto delle foto al sospettato e le avevano mandate negli angoli più remoti degli States, convinti che forse qualcuno avrebbe riconosciuto George Dillon e così loro avrebbero avuto la situazione del tutto chiara.
Alcuni mesi dopo arriva una notizia, quando ormai il caso è chiuso: un agente ha spedito loro un poster, perché qualcuno ha riconosciuto nella foto di Dillon il volto di qualcuno che aveva visto un giorno. E dopo aver visto il poster. Il poster di un fenomeno da baraccone, i due poliziotti capiscono come Dillon abbia ucciso Chillingham e come abbia fatto sparire l’arma. Solo che è troppo tardi.
Dico solo che il finale è veramente sensazionale: la rivelazione arriva all’ultima parola del racconto, come in ogni capolavoro che si rispetti. E la rivelazione è davvero stupefacente: mette alla prova qualunque studioso di Camere Chiuse, perché Pronzini ha ideato veramente qualcosa di unico.
Però una cosa bisogna dirla: il bossolo non c’è mai stato. 
Conclusione.. 
No, non lo posso dire, altrimenti l’arcano è rotto.
Inoltre, per quale ragione il segretario aveva sentito una detonazione attutita e la segretaria no?
Neanche un silenziatore c’era. E soprattutto…la pallottola, estratta dal collo della vittima, non era rigata. Significa che  l’arma è una…
Il racconto è teso,  essenziale; la scrittura è senza fronzoli, semplice, lineare. Illustra un problema, unico nel suo genere, parto di una mente fantasiosa, la cui soluzione è davvero unica, anche se ha un unico neo: la polizia non fa nessun tentativo per appurare se lui abbia sparato, come dice di aver fatto il segretario mentre lui nega, utilizzando la prova del guanto di paraffina. Strano! 
Tuttavia Pronzini, dimostra di avere dei punti in comune coi grandi del passato, in passato con Carr. Non a caso qual’era il massimo in Carr? Una cosa che svaniva nell’aria, in una stanza perfettamente chiusa: poteva essere l’assassino, come l’arma, una pietra preziosa o anche un testamento. Ora in Pronzini è proprio questo l’elemento in comune : l’elemento che sparisce, “Vanishing into the air”. In molti altri racconti sparisce un oggetto: The Terrarium Principle" (1981), "Booktaker" (1982), "Ace in the Hole" (1986) e "Cache and Carry" (1988); in altri spariscono esseri umani: Vanishing Act" (1975), "The Arrowmont Prison Mystery" (1976), "Dead Man's Slough" (1980), "No Room at the Inn" (1988), "Devil's Brew" (2006). Pur non volendo rivelare la soluzione, ora, e aspettando piuttosto che ci provino i lettori, ovviamente non barando, devo dire che io prima di leggerla, avevo pensato a qualcosa tipo l’escamotage di uno 007 di Fleming: The Man with the Golden Gun ( la pistola che Scaramanga usa, formata da un accendino, una penna, un astuccio di sigarette e un gemello ); avevo pensato al contrario, cioè ad una pistola capace di essere montata e smontata. Ora anche se quest’idea non è stata poi confermata, non era però tanto lontana dalla soluzione, perché Dillon in sostanza, compiendo una determinata azione, smonta l’arma che poi sparisce. Quindi in sostanza Pronzini ricorre ad una zipgun.
Come una zipgun possa sparire prodigiosamente, poi è la caratteristica di questo racconto. A ben vedere però il trucco è stato usato molte volte anche nella realtà, solo che il mezzo atto a smontare è assolutamente unico.
Da leggere.

P.De Palma

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