Non andavo al centro di Bari, a vedere negozi e
piluccare libri e dischi da almeno due mesi: problemi di sciatalgia che mi
hanno afflitto quest’inverno. Ero già passato da Feltrinelli dove avevo già
acquistato gli ultimi due volumi de I Bassotti di Polillo, quando sono passato
davanti al negozietto di una mia conoscente che vende libri e dischi di seconda
mano: qualche volta trovo anche qualche cosa buona. In passato avevo trovato
delle chicche, è vero, ma nulla come ieri: sei tra raccolte Ellery Queen presenta,
Oscar del giallo che non avevo, e..udite udite, il n.1 della raccolta Delitti
Impossibili della Garden. I nn. 2 e 3
già li avevo e con quello trovato ieri, finalmente completo la mitica raccolta
di Bob Adey di Delitti Impossibili ( The Art of Impossible) , che la Garden si aggiudicò
molti anni fa.
Dei racconti presenti, per il momento parlerò solo
di Proof of Guilt, di Bill Pronzini,
una Camera Chiusa veramente originale e brillante con un finale…senza parole,
pubblicata su EQMM del giugno 1973, rimandando al futuro l'analisi di altri.
Narra la storia, in prima persona, un agente di
polizia: parla di come tempo prima, mentre era in Centrale assieme al suo
compagno Jack Sherrard, era arrivata la telefonata di un certo Charles Heam,
segretario dell’ avvocato Adam Chillingham, che chiedeva aiuto: aveva
intrappolato nella stanza del suo principale, anche il suo assassino, chiudendolo a chiave
dall’esterno.
I due precipitatisi a casa, trovano effettivamente,
nella stanza chiusa a chiave dall’esterno da Charles, il corpo senza vita
dell’avvocato, sparato al collo da un proiettile di piccolo calibro (22 o 25).
Interrogato l’uomo, George Dillon,
imperturbabile, seduto su una poltroncina, che non fa il minimo sforzo per
sottrarsi ai due, ed è anzi contento che sia arrivata la polizia, egli professa
la sua innocenza: afferma che mentre era seduto alla scrivania a discutere di
affari comuni, era stato colpito al collo da un proiettile, allorchè egli aveva
aperto la finestra, visto che faceva molto caldo. Le parole però non trovano
facile accoglimento perché mancano tutte le possibilità affinchè esse possano
essere provate: in base ad esse Chillingham sarebbe stato ucciso da un
proiettile sparato evidentemente dall’esterno; eppure la finestra è a picco,
essendo in grattacielo e mancando balconi o altro; dal più vicino palazzo vi
sono almeno cento metri d’aria; non vi sono altre finestre vicino a quella
incriminata, tanto più che quella stanza ha una finestra e la porta, e il
palazzo più vicino, a cento metri di distanza, è pure parecchio più spostato
sulla destra, per cui il proiettile per indovinare la finestra e il collo della
vittima avrebbe dovuto seguire una traiettoria con un angolo molto acuto;
infine, un proiettile di calibro piccolo, 22 o 25, non avrebbe avuto la forza
necessaria per poter arrivare a bersaglio dopo cento metri.
E’ evidente quindi che Dillon sia il sospettato N°1;
tanto più che il segretario dell’avvocato afferma di aver sentito prima che
scoprisse il corpo, un colpo molto attutito. Il bello tuttavia è che non si
trova, in quella stanza, né una pistola, né tantomeno un silenziatore. E senza
pistola, nessuna giuria condannerebbe Dillon, anche se è incontrovertibile che
solo lui può averlo ucciso.
Viene perquisita la stanza: nulla. Tolte le
suppellettili si tastano i muri, si scruta il pavimento: nulla. Si pensa allora
che l’arma possa essere stata buttata: ma già certamente, sarà proprio così. Perché
nessuno ci ha pensato? L’assassino si è affacciato e ha buttato la pistola.
Già, ma la pistola la non si trova giù né allargando il raggio d’azione.
Risultato? Non è stata buttata nessuna
pistola, e del resto sul prato sottostante un segno ci sarebbe se una pistola
fosse stata lasciata cadere sedici piani sopra! E non c’è neanche alcun posto
sulla superficie liscia verticale del grattacielo, vicino alla finestra, sopra
o sotto, in cui nascondere la pistola. A meno che ce ne fosse una, ovviamente.
Ma se il proiettile c’è, ci dovrebbe essere anche un bossolo, e per di più una
pistola! Solo che né bossolo né pistola si trovano.
Dillon viene condotto in una stanza ed interrogato.
Risponde pazientemente a tutte le domande e ripete sempre la stessa cosa: che l’avvocato
aveva aperto la finestra per fare entrare aria e un attimo dopo era stramazzato
a terra colpito dalla pallottola, e che non si era sentita alcuna detonazione.
Questo particolare era l’unica cosa in contrasto col racconto del segretario,
che ricordava di aver sentito una detonazione seppure attutita, mentre lui la
negava. Per il resto…
Chi era Dillon? Quali motivi lo avevano portato in
quello studio legale?
Dillon raccontò la sua storia. Suo padre era molto
ricco, ma con lui i rapporti erano stati sempre pessimi. Parecchi anni prima,
non riuscendo a sopportare il padre, aveva cominciato a viaggiare, e in giro
per il mondo aveva svolto innumerevoli attività. Il padre dal canto suo lo
aveva minacciato che se non si fosse ravveduto, lo avrebbe escluso dall’eredità,
ripartendola in somme da devolvere ad istituzioni di beneficenza. Detto? Fatto.
Ma a lui dei soldi del padre non interessava un fico, e che fossero state
devolute ad istituzioni di beneficenza poteva anche andare bene. A patto però
che lo fossero state. In realtà trecentoquarantamila dollari non erano andati a
finire all’Associazione per la Ricerca Medica, per la semplice ragione che
questa associazione non esisteva: Chillingham in sostanza, essendo esecutore
testamentario e legale del padre, si era impadronito di quei soldi
indebitamente. E ora lui, Dillon, avendolo scoperto, aveva contattato
Chillingham per mettere le cose in chiaro.
A questo punto è chiaro che Chillinghanm aveva pure
il movente: e che movente! E lo ha rivelato placidamente: quindi, a meno che
non sia proprio lui, deve sentirsi in una botte di ferro. Perché una cosa è certa: senza pistola, né bossolo,
nessuna giuria lo incriminerebbe mai.
I due si convincono che nel passato di Dillon forse
c’è la chiave per decriptare il presente e passano al setaccio il suo passato e
i suoi vari lavori, riuscendo a trovare un buco di quattro anni, durante i quali
Dillon deve pure essere andato da qualche parte ed aver svolto un’attività ma
su questo lui non si sbottona: è l’unica cosa di cui è reticente e non si
riesce a fargli dire cosa fosse.
Tuttavia la polizia spera che alla lunga possa
tradirsi e così lo arrestando e lo sottopongono a detenzione, sottoponendolo a
lunghi interrogatori sperando che si tradisca, ma quello proprio non si tradisce.
E alla fine la polizia, benchè riluttante, è costretta a rilasciarlo e ad archiviare
il caso. Tuttavia prima che ciò fosse deciso, i due agenti incaricati dell’indagine,
avevano fatto delle foto al sospettato e le avevano mandate negli angoli più
remoti degli States, convinti che forse qualcuno avrebbe riconosciuto George
Dillon e così loro avrebbero avuto la situazione del tutto chiara.
Alcuni mesi dopo arriva una notizia, quando ormai il
caso è chiuso: un agente ha spedito loro un poster, perché qualcuno ha
riconosciuto nella foto di Dillon il volto di qualcuno che aveva visto un
giorno. E dopo aver visto il poster. Il poster di un fenomeno da baraccone, i
due poliziotti capiscono come Dillon abbia ucciso Chillingham e come abbia
fatto sparire l’arma. Solo che è troppo tardi.
Dico solo che il finale è veramente sensazionale: la
rivelazione arriva all’ultima parola del racconto, come in ogni capolavoro che
si rispetti. E la rivelazione è davvero stupefacente: mette alla prova
qualunque studioso di Camere Chiuse, perché Pronzini ha ideato veramente
qualcosa di unico.
Però una cosa bisogna dirla: il bossolo non c’è mai
stato.
Conclusione..
No, non lo posso dire, altrimenti l’arcano è rotto.
Conclusione..
No, non lo posso dire, altrimenti l’arcano è rotto.
Inoltre, per quale ragione il segretario aveva
sentito una detonazione attutita e la segretaria no?
Neanche un silenziatore c’era. E soprattutto…la
pallottola, estratta dal collo della vittima, non era rigata. Significa che l’arma è una…
Il racconto è teso,
essenziale; la scrittura è senza fronzoli, semplice, lineare. Illustra
un problema, unico nel suo genere, parto di una mente fantasiosa, la cui
soluzione è davvero unica, anche se ha un unico neo: la polizia non fa nessun tentativo per appurare se lui abbia sparato, come dice di aver fatto il segretario mentre lui nega, utilizzando la prova del guanto di paraffina. Strano!
Tuttavia Pronzini, dimostra di avere dei punti in
comune coi grandi del passato, in passato con Carr. Non a caso qual’era il
massimo in Carr? Una cosa che svaniva nell’aria, in una stanza perfettamente
chiusa: poteva essere l’assassino, come l’arma, una pietra preziosa o anche un
testamento. Ora in Pronzini è proprio questo l’elemento in comune : l’elemento
che sparisce, “Vanishing into the air”. In molti altri racconti sparisce un
oggetto: The Terrarium Principle"
(1981), "Booktaker" (1982), "Ace in the Hole" (1986) e
"Cache and Carry" (1988); in altri spariscono esseri umani: Vanishing Act" (1975), "The
Arrowmont Prison Mystery" (1976), "Dead Man's Slough" (1980),
"No Room at the Inn" (1988), "Devil's Brew" (2006). Pur
non volendo rivelare la soluzione, ora, e aspettando piuttosto che ci provino i
lettori, ovviamente non barando, devo dire che io prima di leggerla, avevo pensato a qualcosa tipo l’escamotage di uno 007 di Fleming: The
Man with the Golden Gun ( la
pistola che Scaramanga usa, formata da un accendino, una penna, un astuccio di
sigarette e un gemello ); avevo pensato al contrario, cioè ad una pistola capace
di essere montata e smontata. Ora anche se quest’idea non è stata poi
confermata, non era però tanto lontana dalla soluzione, perché Dillon in
sostanza, compiendo una determinata azione, smonta l’arma che poi sparisce.
Quindi in sostanza Pronzini ricorre ad una zipgun.
Come una zipgun possa
sparire prodigiosamente, poi è la caratteristica di questo racconto. A ben
vedere però il trucco è stato usato molte volte anche nella realtà, solo che il
mezzo atto a smontare è assolutamente unico.
Da leggere.
P.De Palma
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