martedì 1 agosto 2017

Pierre Boileau: Il Quadro maledetto (Le repos de bacchus, 1938) - trad. Aldo Albani - I Grandi Gialli Pagotto N.10 del 31 ottobre 1950





Il terzo dei grandi romanzi di Pierre Boileau è il mai dimenticato (ma in Italia sì), Le Repos de Bacchus del 1938 (tradotto in Italia, come Il Quadro maledetto nei Grandi Gialli Pagotto nel 1950: da allora nessuna traduzione da parte di altri).
Riportato in tutte le grandi serie di romanzi con Camere Chiuse, il romanzo propone 3 crimini impossibili: in sostanza una Camera Chiusa propriamente detta e due eventi impossibili.
Il romanzo, nella serie di Boileau, viene prima di Six crimes sans assassin, e questo ha la sua importanza, come vedremo.
André Brunel, l’investigatore risolvi enigma, non appare subito, ma solo dopo che i tre crimini impossibili sono già avvenuti: come in tanti romanzi di Agatha Christie, Brunel ricostruisce nella sua mente le modalità intercorse dei tre crimini, sulla base degli indizi e dei resoconti fornitigli.
In sostanza tutto si basa sulla collezione modesta in quantità ma eccezionale in qualità, che Gilbert de Moncelles, conte di Chaumigny, possiede: in gran parte quadri di pittori italiani: Lotto, Mantegna, Vivarini, Moroni e altri, tra cui il pezzo forte, Il riposo di Bacco di Leonardo da Vinci, quadro di eccezionale fattura pagato da lui, per sottrarlo all’acquisizione da parte dello stato italiano, un milione   e mezzo di franchi.
Il Conte ha destinato questi quadri su una parete di una stanza, mentre sull’opposta si aprono tre finestre che danno luce alla stanza; sui lati corti ci sono: l’entrata su uno e un caminetto sull’altra.
La collezione è la passione del conte: ogni sera fa mettere la poltrona davanti ad un diverso quadro, per poterlo ammirare nelle sue sfumature. Ovviamente il suo quadro preferito è Il riposo di Bacco
Il conte, anche per legittimo orgoglio, ha sempre permesso ai visitatori di ammirare le sue opere, e la vita nel castello è regolata in modo che due dei servitori, Auguste e Manuel siano a disposizione dei visitatori: uno controlla il passaggio, l’altro fa da cicerone e accompagna il visitatore nella visita che dura 40 minuti.
Un bel giorno arriva un tale Bras Roulé al castello. Vuole vistare la galleria, ma il lettore sa già quale sia il suo scopo: è di genere truffaldino. Ma quando lui getta la maschera, vediamo che ancor più criminale: infatti Roulè, spostatosi nella visita alle tele, dietro a Manuel, lo colpisce con una piccola mazza di piombo, fracassandogli il cranio e ferendolo mortalmente. Poi si mette all’opera, e quando sedici minuti dopo, Manuel riesce a dare, pur ferito gravemente, l’allarme e Roulè viene accerchiato e catturato dai servitori del conte, come indica lo stesso Manuel prima di morire, al conte esterefatto, Il Riposo di Bacco è sparito. Lo cercano ogni dove, ma non lo trovano. Perfino qualcuno si spinge ad ipotizzare nascondigli segreti. Persino un funzionario di polizia, dopo che è accorsa, si spinge a ipotizzare dei doppi fondi in alcuni quadri più grandi tali che una tela di 50x70 possa essere stata nascosta in una di esse. Macchè: non si trova e basta!
A distanza di una settimana mentre il conte non si da pace, un altro fatto inspiegabile accade: un uomo assale un poliziotto che è stato messo di ronda di guardia al castello, nel parco, lo immobilizza e mentre egli è ben immobilizzato e legato come un salame, l’uomo va ne cortile del castello e dopo meno di un minuto riappare con un involto piatto avvolto in tela cerata, sicuramente il quadro. Anche in questo caso l’allarme viene dato prima di quanto il malfattore si aspetti e così, spinto dai gendarmi verso l’alto muro di cinta e verso il cancello dalle alte sbarre, egli non avrebbe alcuna possibilità di fuggire; senonchè di fronte agli sbalorditi agenti, il quadro appare miracolosamente in men che non si dica, dall’altra parte del cancello e così il fuggitivo, senza che egli sia stato visto scavalcare muro o cancello.
Dopo sei mesi si celebra il processo a carico del ladro e assassino Bras Roulé che si è sempre rifiutato categoricamente di parlare, ed egli viene condannato a morte. Una volta messogli la camicia di forza, incatenato e portato nel carrozzone carcerario, che lo condurrà nella prigione dove poi avverrà l’esecuzione, egli non arriverà mai a destinazione perché… il cellulare, condotto da uomini estremamente fidati, dopo il rituale colpo di clacson che annuncia al guardiano l’arrivo, dopo che egli si precipita dopo un minuto, ad aprire il cancello, il cellulare è scomparso. Come è stato possibile? In meno di un minuto non può scomparire nulla e ancor meno un grosso cellulare, con dieci celle, cinque per lato, con un agente armato, e l’autista, tutti e due di provata fede ed esperienza. Si pensa ad allucinazione del guardiano. Ma il colpo di clacson l’ha sentito anche il direttore del penitenziario, e per di più dopo indagine accurata della polizia, fino al ponte a schiena d’asino, che porta dalla lunga via che va dal palazzo di giustizia, alla prigione, tutti gli esercenti dei negozi lì vicino, e anche il piantone della caserma, affermano che un cellulare è passato, ad una determinata ora su cui tutti sono precisi e concordi, che esso per poco non ha fatto incidente con un’auto ma che poi esso ha continuato a procedere spedito verso la prigione, solo che..alla prigione non è mai arrivato.
Si giunge persino ad ipotizzare che una grande gru abbia potuto arpionare il mezzo, da una fabbrica posta esattamente di fronte alla prigione, e portarla dentro la fabbrica: ma poi i duecento operai se ne sarebbero pure accorti e allora…
Insomma nessuno riesce a trovare cellulare, uomini e il condannato a morte, né spiegare come sia potuto accadere.
A questo punto accade che Brunel torni a Parigi da un precedente viaggio, e il conte, non essendo la polizia riuscita a venire a capo del tutto, gli si rivolge. Fatto sta che proprio dopo che Brunel ha accettato di occuparsi della cosa, un tale uomo si presenti dal conte e dopo neanche tanti convenevoli gli dice di essere il capo della banda che compiuto i tre fati inspiegabili e come volevasi dimostrare gli offre di restituirgli la tela di Leonardo da Vinci a patto che il conte versi il riscatto di un milione di franchi, in un posto isolato della campagna, detto Il Calvario, per l’esistenza di una grande croce, il giorno dopo.
Sempre il giorno dopo, Brunel appena arrivato dal conte, prima che si sia fatto un’idea del tutto, viene fatto oggetto di un attentato: da un’auto in corsa, affiancatasi alla loro, parte uno sparo e Brunel viene gravemente ferito ad una ascella: solo per un caso non viene ucciso. La sera stessa, il conte dovrebbe versare il riscatto per riavere il suo Leonardo, e ancora sperava di poter non pagare se Brunel fosse riuscito a spiegare il tutto ma ora…
Eppure Brunel, con supremo atto di volontà, pur febbricitante, si fa rinchiudere nella galleria con una tela insignificante pressochè delle stesse misure di quella trafugata, e lì nei sedici minuti calcolati dal momento in cui Brunel si è chiuso nella galleria, come si chiuse nella galleria, Bras Roulé, avviene ancora una volta una sparizione impossibile: la tela scompare dal muro. Ancora una volta non si sa come essa sia potuta uscire: la porta era bloccata, le finestre sono nello stato come furono trovate sei mesi prima dopo la prima sparizione, bloccate dall’interno, e nel camino scoppiettante, la canna fumaria è troppo stretta. Eppure il quadro è scomparso e Brunel spiegherà come sia potuto accadere: una Camera Chiusa infernale.
E spiegherà anche il fatto inspiegabile del parco, e ancor di più la sparizione del cellulare.
E’ bene dirlo che Pierre Boileau prende in giro il lettore nei tre casi, perché, ovviamente, ci troviamo a tre abili messinscene: in tutti e tre i casi, si è attuata un abilissimo inganno, e almeno nei primi due fatti, sparizione del quadro, e sparizione dell’uomo da un posto e comparsa in altro (una sorta di bislocazione) il tutto è stato possibile con un’identico trucco: in sostanza il secondo mette Brunel nella condizione di ipotizzare il primo, più complesso. A volerla dire tutta, il trucco fa uso del raddoppio del suo elemento fondamentale.
Non avete capito. Sì lo so, ma svelare l’arcano non posso. Dico solo che Boileau inganna il lettore in maniera molto molto sottile. Non si tratta di nascondere un dato: no, i dati ci sono tutti. Boileau inganna il lettore, facendo uso della psicologia applicata: in sostanza chiunque al posto degli attori del dramma, una volta scoperta la sparizione del quadro, si sarebbe comportato alla stessa maniera. Anch’io beninteso, perché…
Nella soluzione c’è tutto il celebre enunciato sherlockiano: Quando hai eliminato l'impossibile, qualsiasi cosa resti, per quanto improbabile, deve essere la verita' (Il segno dei Quattro). Boileau amplifica e codifica il celebre enunciato, dividendolo in una triplice azione: Separare accuratamente il possibile dall’impossibile; escludere l’impossibile; concludere con gli elementi che rimangono (pag.72).
L’improbabile sherlockiano che è uguale all’elemento che rimane in Boileau, è il principio per cui tutti noi saremmo stati ingannati qualora ci fossimo trovati in simili condizioni.
La sottigliezza e la genialità della soluzione della Camera Chiusa (è la variante in cui scompare qualcosa da una stanza sigillata, come La coppa del cavaliere di Carter Dickson o La Spada del vescovo di Norman Berrow), contempla sia lo spazio ovviamente che il tempo quando il quadro viene ritrovato. Perché mai il ricattatore che fa rubare il quadro, invece di proporlo subito, fa passare sei mesi? Questo tempo dilatato, entra di forza nella soluzione, perché ha la sua importanza. E in questo caso spazio e tempo riguardano espressamente il furto e la ricomparsa sei mesi dopo. Se infatti il quadro venisse proposto l’indomani e dopo un tempo relativo, potrebbe accadere che ….

Pietro De Palma



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