venerdì 22 novembre 2024

Morte a passo di Valzer – Minisceneggiato in 3 puntate, tratto da Fire, Burn! di J.D.Carr – Sceneggiatura: Vieri Razzini, Regia: Giovanni Fago, RAI 2, 1981

 

 

 

Dal romanzo Fire, Burn! di J.D.Carr, RAI 2 trasse, nell’ottobre del 1979, lo sceneggiato in tre puntate, “Morte a passo di Valzer”, mandato in onda  nel 1981.

Nell’ambito di sceneggiati tratti da romanzi gialli, si può dire che quello tratto da Fire, Burn!, costituisca un caso si può dire unico. Il perché è presto detto: mentre tutti gli altri sono stati conformati nel tempo a romanzi già editi in italiano – e non parlo solo dei Carr (La dama dei veleni, tratta da The Burning Court; Tre colpi di fucile, tratto da Till Death Do Us Part; L’Occhio di Giuda tratto da The Judas Window), ma anche dei Maigret di Gino Cervi, o del  Philo Vance di Albertazzi (qui, addirittura proprio lui, nell’introduzione al Caso Benson , aveva in mano uno degli Omnibus Mondadori in cui furono pubblicate le avventure di Philo Vance)– Fire, Burn!  prima del 1979 non godeva di una traduzione italiana e quindi si deve apprezzare come la sceneggiatura di Vieri Razzini fosse stata approntata sull’originale inglese.  

Il che significa che Vieri Razzini (o chi per lui) conosceva da prima il testo carriano, e quindi la conoscenza di testi non ortodossi da parte di uno dei più grandi critici italiani, particolarmente versato proprio al poliziesco: chi non ricorda (e sono sicuro che molti dei miei lettori sono giovani e quindi non possono ricordare) le sue presentazioni  e i cicli da lui curati basati anche sulle avventure di Sherlock Holmes o di Charlie Chan? Igor Longo, me lo ricordo bene, stravedeva per Vieri Razzini e criticava il fatto che, alla RAI, fosse stato messo da parte. Proprio qualche giorno fa, parlandone privatamente con Mauro Boncompagni, lui mi ha detto: “Ricordo che allora chiesi a Orsi perché non pubblicassero la trad. italiana. L’ottimo Gian chiese il libro all’agente, me lo passò per la lettura (ricordo che era la prima edizione americana), io feci una recensione e la Francavilla lo tradusse (allora io non traducevo). Bei tempi, eh?”.

Lo sceneggiato, salvo alcune personalizzazioni  cui accenneremo, è fedele all’originale.

Innanzitutto, l’ambientazione è curata fino nei minimi particolari; e anche la recitazione, e la descrizione delle scene non lascia adito a dubbi.  Persino la caratterizzazione della figura di Volcano  con l’occhio di vetro, anche se Volcano nel romanzo è calvo mentre qui è ricciuto, e l’occhio di vetro nel romanzo è il destro mentre qui è il sinistro.

 

 vlcsnap-2016-04-17-20h50m11s573


Tuttavia vi sono cose che non esistono nel libro originale di Carr. Innanzitutto la Camera Chiusa.

Nel romanzo di Carr non c’è nessuna Camera Chiusa, ma nello sceneggiato sì.

Viene posta alla fine della seconda puntata, ultima scena, e quindi con essa comincia la terza puntata.  La vittima sarebbe quel Freddie Derbitt che qualcuno pensava potesse essere l’amante segreto di Margaret Renfrew. La sceneggiatura è evidente per quale motivo inserisca questa variazione: per accrescere l’interesse del pubblico e motivarlo a vedere la terza parte. La Camera Chiusa è una classica: porta e finestra chiuse dall’interno, nessun passaggio segreto ,eppure la vittima ha un foro sulla fronte. vlcsnap-2016-04-17-21h05m58s718 

Se la Camera Chiusa nel romanzo originale non c’è significa che lo sceneggiatore deve averla presa da qualche altra fonte, se non inventata. Io credo che l’avesse presa da un altro sceneggiato di qualche anno prima: per il tipo di soluzione, e quindi per come la vittima venga uccisa, la Camera Chiusa mi ha ricordato istantaneamente quella usata per uccidere Rex, uno dei fratelli della famiglia Greene, nell’omonimo romanzo e nello sceneggiato RAI interpretato da Albertazzi. E’ probabile che fosse stata presa da lì, penso io. Inoltre anche lì la morte -di Rex in quel caso -concludeva la puntata.

vlcsnap-2016-04-17-21h09m49s497

Un’altra variazione è data dall’inizio e dalla fine dello sceneggiato: mentre il romanzo comincia con Cheviot che sta recandosi a Scotland Yard in taxi, lo sceneggiato presenta un prologo con un delitto del tutto inventato: Lord Davenport sul par di un campo da golf sta per imbucare la pallina e con lui stanno due amici e sua moglie. All’improvviso il lord cade schiantato al suolo: una pallottola lo ha colpito al cranio, senza che nessuno abbia sentito lo sparo. Ovvio pensare ad un’arma munita di silenziatore, ma per colpirlo da lunga distanza non sarebbe stato facile – perché tutt’attorno non ci sono punti da cui sparare – e per di più l’esame balistico ha dimostrato che è stato colpito con una traiettoria dal basso in alto. Insomma un delitto impossibile.

 

 vlcsnap-2016-04-17-21h12m49s183 

La cui soluzione verrà scoperta da Cheviot nel corso del suo salto nel passato: infatti la soluzione del delitto antico potrà essere usata per spiegare anche il delitto contemporaneo. Non a caso, le ultime scene della terza ed ultima puntata, concernono la cattura dell’assassino del Lord e la spiegazione di come egli abbia potuto ucciderlo: è evidente, giacchè compaiono solo quattro persone compresa la vittima, che l’assassino debba essere uno degli altri tre.

Ma perché si pensò di introdurre un episodio assolutamente originale ed inventato in questo mini sceneggiato? Un’idea l’avrei. La scena iniziale è simile a quella di un altro sceneggiato che aveva avuto un enorme successo anni prima, tratto da un lavoro di Durbridge: Giocando a golf una mattina (Game for a Murder). Anche lì si verifica un delitto sul par di un campo da golf: chi sta giocando, viene ucciso. E’ come se gli inglesi fossero associati dal pubblico italiano al gioco del golf. Del resto nel tempo, numerosi sono stati i romanzi polizieschi che hanno avuto come teatro di azione un campo di golf: un esempio per tutti?  Herbert Adams. In Italia di Adams sono apparsi molti romanzi negli anni Trenta, nella mitica serie de I Romanzi della Sfinge, di Salani Editore. Una delle serie varate da Adams era appunto incentrata su un giocatore di golf, Roger Bennion.

Altra variazione ancora, cioè un particolare che non esiste nel romanzo ed è stato aggiunto da Razzini è l’orologio da panciotto che Cheviot si trova addosso quando rinviene nel taxi e che è stato acquistato da lui nel 1829, nel corso della sua avventura nel passato. Questo particolare, sicuramente affascinante, con cui si conclude lo sceneggiato è un altro escamotage per finire in bellezza, donando anzi accentuando l’aspetto fantastico dell’opera. Carr ne sarebbe stato deliziato.vlcsnap-2016-04-18-11h51m00s151

Altra variazione inventata è quella dell’immagine di Flora Gray. Cheviot, nel taxi, sta leggendo un paragrafo in un libro di storia trovato nella biblioteca di Lord Davenport, dedicato ai personaggi del regno di Giorgio IV e trova la foto di Lady  Flora Gray. Mentre la sta guardando, ecco che perde coscienza e si ritrova sbalzato nel 1829. Tutto questo nel romanzo non esiste. Perché è inserita? Avrò io una deformazione personale nata dalla mia conclamata cinefilia e dall’amore degli sceneggiati d’epoca, avrò io la tendenza a richiamarmi e richiamare la memoria altrui a dei particolari che ai più sfuggono, ma questo fissare una foto e ritrovarsi sbalzato nel passato, mi sembra tanto, troppo simile a quello che accade al protagonista in The Burning Court, quando in treno l’immagine della celebre avvelenatrice, la Marchesa di Brinvilliers sembra troppo simile a quella di una donna del presente. vlcsnap-2016-04-17-21h49m59s315Questo richiamo, che non mi sembra casuale, è avvalorato dal fatto che nell’epilogo, quando Cheviot viene svegliato nel taxi che ha avuto un incidente per la nebbia, si ritrova accanto la moglie, il cui volto è identico a quello di Flora Gray. Mentre nel romanzo, la rassomiglianza tra le due Flora viene ad essere indicata negli ultimi due-tre righi del romanzo.

Poi vi sono delle variazioni che qui e là modificano qualcosa, senza avere un riflesso importante: innanzitutto la scazzottata. Quando Cheviot accusa Volcano di truffare e raggirare i giocatori mediante una roulette truccata, dal parapiglia generato dalla rottura del tavolo da gioco e dalle molle che escono fuori e dai sibili di aria che si sentono, testimoniando il trucco ad aria compressa che inclinava il piano con la pallina in modo che andasse a rotolare dove si voleva che rotolasse, si genera una scazzottata. Il romanzo ne accenna in due righi e basta.vlcsnap-2016-04-17-20h53m22s025 Ovviamente invece lo sceneggiato vi indugia, perché questa è una tipica scena da film. Come non ricordare i tanti spaghetti western all’italiana dove scene di questo tipo erano di casa? Mi sembra quasi un omaggio a Gianni Garko che era stato uno degli attori più impegnati in quel genere di films. C’è addirittura il volo di un tale che va a sfasciare un mobile, che ci rimanda con la memoria ai films con Terence Hill e Bud Spencer.vlcsnap-2016-04-17-21h00m02s382

Poi c’è la sparizione del registro del 1829, quello in cui erano annotati gli acquisti di Volcano in cambio di fiches, che nel romanzo non sparisce affatto, anzi viene ritrovato con la perquisizione seguita all’arresto di Volcano.

Infine, mentre lo sceneggiato è incentrato esclusivamente sulla vicenda personale di Cheviot e sugli sviluppi delittuosi e sentimentali, il romanzo è uno spaccato intenso ed appassionante dell’epoca. C’è persino una ininfluente rivolta per l’abolizione del dazio sul grano, primo assaggio delle riforme che vennero varate negli anni successivi .

 

Pietro De Palma

mercoledì 13 novembre 2024

Whitman Chambers : I morti non lasciano impronte digitali (Dead Men Leave no Fingerprints, 1935) – trad. Dario Pratesi – I Bassotti N°104, Polillo, 2011

 

 I MORTI NON LASCIANO IMPRONTE DIGITALI

 

Elwyn Whitman Chambers (1896-1968), nato a Stockton, in California, scrisse diciotto romanzi polizieschi ambientati nell’area di San Francisco, il primo dei quali fu ,nel 1928, The Coast of Intrigue. Fu un inizio tiepido, giacchè solo dopo l’uscita di The Navy Murders (1932), scritto assieme a Mary Strother Chambers, iniziò a scrivere a getto e fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale diede alle stampe altri tredici romanzi. A partire dal 1946 si dedicò prevalentemente al cinema, tornando alla scrittura solo nel 1953: firmò però altri soli tre romanzi, in quanto si occupò di collaborazioni a sceneggiature televisive, fino alla morte avvenuta a Los Angeles.

“I morti non lasciano impronte digitali” (Dead Men Leave no Fingerprints, 1935) presenta come soggetto inquirente non un poliziotto come il Michael Lord di Charles Daly King o un investigatore privato alla maniera di Poirot o Philo Vance, ma uno che si avvicina più invece al Bill Crane di Latimer e al Sam Spade di Dashiel Hammett come modi di comportarsi, e che al tempo stesso risolve un’indagine di stampo classico.

Quindi un Giallo Classico, un Mystery, con movenze da Hard-Boiled.

Stanton Lake è un investigatore privato che ha un’agenzia che condivide con l’amico Abe Bloom. Un bel giorno capita una bella bionda, classico tipo di femmina fatale, tale Hilda Haan, famosa attrice danese, che, di nascosto ai mass-media, e contando sull’appoggio di un’amica che le fa da controfigura e serve a distogliere la stampa, è fuggita con Theodore Raybourne. Hilda chiede a Lake di aiutarla proprio contro Theodore, perché troppo tardi ha compreso come egli non la ami e sia attratto solo dai suoi soldi; in più egli ha in mano della carte compromettenti che, se rivelate, la getterebbero in pasto alla stampa e la sua vita privata e di conseguenza anche la sua popolarità subirebbero uno sconvolgimento.

Lake, d’accordo col suo socio, tenta allora di insinuarsi nella casa in cui volente o nolente Hilda è costretta a rimanere, con uno stratagemma: finge di aver avuto un attacco di cuore mentre nuotava proprio davanti alla dimora dei Raybourne, e che uno che era anche lui in mare per caso (Abe Boom) sia riuscito a salvarlo. I Raybourne sono una potente dinastia, ed il vecchio Raybourne Rufus, pur a dispetto del crollo di parte del suo impero a causa di una lottizzazione sballata, è tuttavia ancora ben saldo. Lake, soccorso, viene accolto nella casa, tra gli sguardi interessati e diffidenti se non sospettosi degli altri presenti: Maurine, la giovane moglie del vecchio Rufus; i coniugi Farley e Rae Amerton, una coppia di amici sensitivi; la figlia Inez con il dottor Pageot suo fidanzato; ed infine il maggiordomo cinese, Fong Woo.

Ben presto Lake deve rivelarsi allorchè qualcuno uccide proprio Theodore Raybourne con un pesante attizzatorio: la ragione sta nel fatto che dopo che Foo Wong ha dato l’allarme d’abbasso, e Lake è entrato nella camera di Raybourne trovandolo col cranio fracassato, lì accanto è proprio Hilda Lane che ha in mano dei ritagli di giornale, le carte compromettenti che deteneva la vittima, e ora sta cercando di distruggere gettandole nel fuoco. Dopo una furiosa lotta, riesce a mettere KO il detective e a distruggere le carte compromettenti. Tuttavia lui, che è legato da un rapporto di lavoro con la bella Lane, deve ora salvarla dall’imputazione di omicidio, cosa che fa subito cercando di smontare la sua presenza lì in quella camera, davanti al vecchio Rufus, riuscendoci in parte: deve però, ora, fugare tutti i dubbi trovando il vero assassino.

Innanzitutto deve identificare le impronte digitali trovate sull’attizzatoio: il vecchio Rufus è ben convinto che qualsiasi fosse l’assassino, la morte di sua figlio dovrebbe essere vendicata, consegnando l’omicida alla giustizia. Anche se ciò costasse l’incriminazione ad uno degli appartenenti alla famiglia o dei presenti.

Tutti sono costretti a mettere a disposizione le proprie impronte digitali, e così, alla fine, le impronte vengono confrontate. Colpo di scena, quando, però, dopo che esse non vengono attribuite a nessuno dei presenti nella casa (e quindi neanche a Hilda), esse lo sono a John Royal, compagno di avventure e di speculazioni del vecchio Raybourne, che tuttavia ha esagerato con le malversazioni, finendo a San Quintino! E’ possibile che sia fuggito dal carcere e che ora voglia vendicarsi dell’amico che lo ha accusato in tribunale? No, perché Royal è morto un anno prima e proprio il vecchio Rufus ha curato che salma, imbalsamata, venisse sepolta. E allora come si spiegano quelle impronte?

Il vice dello sceriffo Catalin, il droghiere che la comunità di quelle parti ha eletto a fare lo sceriffo e che non sa come muoversi, è Lenny McManus un conoscente di Lake, che da molti anni fa il vice-sceriffo. Proprio Lenny, Stanton e la bella Hilda una notte armati di badili, vanno a dissotterrare la bara di Royal per verificare che sia proprio lui; ma, arrivati sul posto, dopo aver scavato, scoprono che la bara è stata profanata ed il cadavere non c’è più.

Possibile che John Royal sia vivo e che il cadavere fosse di qualcun altro a cui il galeotto si fosse sostituito, prendendone e cedendo la sua identità? La cosa sarebbe possibile, ma cozza con la convinzione di Lake che l’assassino sia invece qualcuno della casa: infatti, nel momento in cui è stato ucciso Theodor c’erano tutti in casa e altissima sarebbe stata la possibilità che un estraneo venisse scoperto. Come ha fatto Royal?

Ora si mette in relazione con la scomparsa del carcerato, un’aggressione subita da Lake precedentemente: qualcuno l’ha aggredito in biblioteca e poi se l’è svignata. Viene scoperto un rifugio segreto, occultato nella parete, utilizzato in passato come armeria, che gli amici di Rufus conoscevano, tra cui Royal. E’ possibile che dopo l’omicidio si sia nascosto lì e solo dopo sia fuggito?

Tuttavia ben presto il sedicente John Royal si rifà vivo. Infatti, Stanton Lake, non avendo risposta dalla bella Maurine, chiusa in camera, che non scende a colazione, con la collaborazione di altri, abbatte la porta della sua camera da letto e la trova prona sul letto, con la faccia bluastra e una delle sue calze annodata al suo collo tanto strettamente da quasi non vedersi che il suo nodo, nella carne enfiata. Il fatto strano è tuttavia che quella camera da letto non ha altre uscite che la porta, chiusa dal di dietro, e la finestra, pure chiusa dall’interno: come ha fatto l’assassino ad uscire?

Stanton Lake riesce però a trovare una botola, nello stanzino dei vestiti, chiedendosi cosa ci faccia lì una sedia: issatosi Lenny, senza toccare il pannello, e penetrato nella soffitta, ben presto trova un’altra botola, scendendo nella camera del dottor Pageot: possibile che il fidanzato della figlia di Raybourne abbia ucciso Maurine? E perché? Ben presto si scopre che i due avevano una tresca, vivevano una storiella di sesso: infatti la bella Maurine è stata trovata con addosso il negligè più trasparente dei negligè trasparenti. Probabilmente stava aspettando il suo amante, che infatti ammette di esservi andato, ma solo per trovarla morta.

Lake, per l’idea che si è fatta, tende a dar credito alla confessione di Pageot, nient’altro che uno squallido cacciatore di dote: però, senza trovare il modo come l’assassino sia uscito, non potrà dimostrare l’estraneità dell’avventuriero.

E intanto, dopo che un cadavere imbalsamato è stato trovato in mare, mezzo mangiato dai crostacei, e dopo che Abe è stato inviato da Lake a procurarsi la scheda dentaria per accertarsi che quel cadavere sia o no quello di Royal, un terzo omicidio avviene in quella dimora: viene trovato ucciso, con un pugnale infisso nel cuore, il vecchio Raybourne. E ancora una volta, Lake si troverà di fronte l’ombra di John Royal, perché ancora una volta le sue impronte si trovano sul manico del pugnale.

Ma chi è John Royal? E’ vivo o morto? E se è morto, quelle impronte come possono essere lì, sul pugnale e sull’attizzatoio?

Lake risolverà il mistero e scagionerà sia Pageot che Hilda Lane, nel frattempo innamoratasi dell’investigatore.

Memorabile il finale: Hilda lo prega di non abbandonarla, ma Stanton che pure sa di essere debole nei suoi confronti, non vuole però perdere la propria soggettività e diventare solo “il marito di Hilda Lane”. E per questo scende dall’auto, e si avvia verso il treno, senza guardarsi dietro. Duro e puro.

Bellissimo romanzo, conserva una tensione immutata per tutta la sua durata, che viene mantenuta molto alta, in virtù di una trama estremamente scoppiettante e mai monotona: tantissimi avvenimenti sconvolgono l’indagine e fino alla fine non si riesce a capire chi possa essere l’omicida, se John Royal o altro, e come allora le sue impronte digitali siano finite sia sull’attizzatoio che sul manico del pugnale.

Carina anche la Camera Chiusa, la cui soluzione pur essendo una variazione di metodo già contemplato da Carr, è purtuttavia molto intrigante per il fatto che per scoprirsi, si debba guardare dal di fuori e non dal di dentro, e dal di fuori non sia facile farlo, perché si sta fuori da una finestra senza balcone, alta almeno sei metri dal viale sottostante.

L’investigatore potrebbe essere un clone di Sam Spade, duro, talora anche sprezzante, che ricorre alle maniere forti, per esempio pestando Pageot per indurlo a parlare dopo la morte di Maurine, debole con le donne, ma al tempo stesso orgoglioso della propria individualità; e Hilda Lane, è la cosiddetta Femme fatale, pronta a far perdere la testa ad un uomo, ma anche a perderla lei, quando lui invece che bramarla la rifiuta; e Inez Raybourne, l’ereditiera, è la cosiddetta donna indifesa, preda delle attenzioni di gente attratta dai soldi, che simula di essere innamorata di lei ma poi invece, di nascosto da lei, ha una storia di sesso con la matrigna della ragazza.

Il maggiordomo cinese è un classico, come un classico è anche la sostituzione di un corpo con un altro (non l’aveva per la prima volta sperimentato Edmond Dantes?); e anche il marito anziano, fatto becco dalla moglie giovane che se l’intende con altro, che a sua volta fà becco la fidanzata molto fragile; e anche la finta medium, che irretisce i creduloni.

Il cadavere che sparisce, potrebbe aver influenzato anche il Latimer di The Lady in the Morgue (che è del 1936, cioè posteriore di un anno rispetto al romanzo di Chambers), e No Coffin for the Corpse di Clayton Rawson (il disseppellimento). Ma a sua volta potrebbe aver preso qualcosa, sempre che si potesse provarlo, da The Greek Coffin Mystery di Ellery Queen (1934) in cui viene disseppellita una bara in cui dovrebbe esserci un corpo imbalsamato; oppure da Into Thin Air (1929) di Horatio Winslow and Leslie W. Quirk , in cui viene disseppellito un corpo per vedere se sia presente o no un oggetto.

Insomma un gran bel romanzo, che si legge appassionatamente.

Pietro De Palma