Tra le forme letterarie, i racconti hanno sempre pagato dei tributi
ai romanzi: rappresentano quasi una produzione minore, delle storie da
scrivere senza impegnarsi particolarmente, in momenti di rilassatezza.
Almeno questa è la percezione che ne ha il lettore; invece..
Invece il racconto è un genere importante quanto il romanzo, non dirò
di più o di meno: ne ha una forma più concentrata, possedendo anche
delle caratteristiche ricorrenti in quest’ultimo: se vi è una
presentazione dei personaggi e della situazione in oggetto, esse devono
essere stringate, e lo sviluppo non molto esteso, per necessità di
condensazione in un numero di pagine più ristretto; ma tutto il resto..è
lo stesso. Anzi se vogliamo, il racconto ha la sua buona parte di
difficoltà, perché se nel romanzo taluni “allungano il brodo” con
descrizioni e narrazioni che poi nulla hanno a che fare con il nocciolo
della storia, nel racconto ciò non è possibile: si devono avere idee
chiare e si deve condurre la storia con un filo logico e una tensione,
che dalla prima pagina all’ultima, conduca il lettore a godere della
fine, senza sotterfugi, escamotages, rallentamenti, perdite di tempo (e
di pagine).
Se nella letteratura “impegnata” il racconto gode di una fortuna
inferiore al romanzo, in quella “di genere” e nel nostro caso in quella
“gialla”, possiamo dire che, almeno non in Italia, il Racconto Giallo ha
avuto una fortuna non inferiore a quella del Romanzo: perché tuttavia
in Italia il racconto non abbia avuto pari fortuna, questo è altro
discorso. La situazione però è questa: nel mondo sia anglosassone, che
l’ha fatta da padrone, e in quello più chiuso, del giallo franco-belga, i
racconti hanno avuto la loro buona fetta di pubblico e di popolarità.
Ancor oggi, molti autori contemporanei scrivono racconti, ma nel
passato, si sono avuti addirittura autori specializzati, per es. Edward
D. Hoch, autore anche di romanzi di fantascienza e di apocrifi
queeniani, ma soprattutto di oltre..900 racconti, divisi in più serie,
tra cui quelli che raccontano di Camere Chiuse e delitti impossibili,
sono i preponderanti. Ma anche Joseph Commings si è riservata la sua
buona fetta di fama, con le storie del senatore Banner. La messe
maggiore, tuttavia, si è avuta con i grandi autori sia di Giallo
classico che di Hard Boiled: Ross MacDonald, Ellery Queen, C.Daly King,
Agatha Christie, Dashiell Hammett, e moltissimi altri, tra cui John
Dickson Carr.; e proprio di Carr parleremo, a proposito dei suoi primi
quattro racconti con Henri Bencolin.
Potrebbe sembrare un discorso molto relativo, affrontare la tematica
dei racconti carriani puntando l’attenzione solo su 4 racconti, quando
la produzione totale ne conta oltre trenta. Ma questo breve saggio non
si propone di esaurire la tematica complessiva del racconto in Carr, ma
solo di creare un’inquadratura, che possa essere recepita da qualunque
lettore, circa la produzione carriana avente come soggetto principale
Henri Bencolin.
Innanzitutto i racconti in Carr hanno una
loro parte di importanza notevole: molto spesso servono da
sperimentazione di forme, e non è neanche improprio affermare che se è
vero che alcuni romanzi sono assoluti capolavori, per es. “Le Tre Bare” o
“L’Automa” o “Il terrore che mormora”, o “La Corte delle Streghe”, è
altrettanto vero che anche parecchi dei suoi racconti e radiodrammi sono
altrettanto dei capolavori (per es. The Crime in Nobody’s Room, in cui un delitto viene compiuto in un appartamento al secondo piano che non dovrebbe esistere; o il classico Radiodramma, Cabin B-13
con due sposi Richard e Anne Brewster che salgono sul piroscafo
Maurevania per la Luna di Miele, e poi nel prosieguo della storia
scompare una cabina, la B-13, e lo sposo con essa).Molto spesso, si può
dirlo senza aver timore di esser presi in castagna, i racconti in Carr
non sono altro che dei romanzi ( molto spesso con camere chiuse, delitti
impossibili, sparizioni inspiegabili, atmosfere sinistre)..concentrati.
Ecco perché è anche importanti esaminarli e cercare di trovare al loro
interno, elementi che ne giustifichino l’esistenza ed il giudizio
entusiastico della critica e dei lettori, cosa non frequente. Carr riunì
i suoi racconti in alcune serie: in una di esse, “The Door to Doom and Other Detections”(tradotta
in Italia con il titolo “La Porta sull’Abisso”,Altri Misteri,
Mondadori, 1986; e successivamente ne Il Supergiallo Mondadori n.21, del
2001), si trovano 4 racconti emblematici, appartenenti alla primissima
produzione carriana, con protagonista Henri Bencolin.Parliamo del
periodo in cui Carr risente del periodo di soggiorno in Francia: la
Francia e Parigi in particolare, sono luoghi immaginari, giunti fino a
noi immutati, con il loro carico di mistero e di fascino, così come lui
ne aveva letto nei romanzi di cappa e spada di cui si era nutrito ancora
giovane. E’ la Parigi di Honoré de Balzac, di Stendhal, di Victor Hugo,
non quella di Zola., coi suoi contrasti sociali, con i suoi processi.
Protagonista è Bencolin, il primo dei personaggi carriani, interprete di
cinque romanzi.Nell’ordine i racconti sono:
The Shadow of the Goat (1926), The Fourth Suspect (gennaio 1927),
The Ends of Justice (maggio 1927), The Murder in Number Four (1928); e un romanzo breve: Grand Guignol (1929).
Per quanto riguarda il romanzo breve, T.J.Yoshi, riporta nel suo “John
Dickson Carr: A Critical Study”, che “Grand Guignol”, fu un romanzo
breve, scritto e ultimato da Carr a Parigi; e che lo stesso, una volta
tornato Carr in patria, fu pubblicato sullo stesso giornale che aveva
pubblicato gli altri racconti, “The Haverfordian”, tra il marzo e
l’aprile del 1929: Grand Guignol non fu altro che la prima versione
semplificata di “It Walks By Night”, Il Mostro del Plenilunio. Nello
stesso 1929 Carr provvide a sviluppare il suo primo romanzo con Bencolin
(proprio utilizzando Grand Guignol), pubblicandolo nel 1930. E se ne
“Il Mostro del Plenilunio”, troviamo la descrizione di Bencolin, che
tutti ricordiamo: “..Studiai il viso, che era girato di tre quarti:
le palpebre abbassate, quell’espressione scherzosa e indulgente, le
sopracciglia arcuate, gli occhi scuri dalla luce velata. Dal naso
sottile e aquilino partivano due rughe profonde che scendevano fino ai
lati della bocca; un debole sorriso gli errava fra i baffi appena
accennati e il pizzo nero…i capelli neri di Bencolin cominciavano a
striarsi di grigio. Sopra il bianco della cravatta e della camicia, la
sua testa sembrava un dipinto del Rinascimento esposto alla luce fioca
della lampada …parlando, si limitava ad alzare le spalle e non alzava
mai il tono di voce. …i ciuffi aguzzi dei suoi capelli, il pizzetto
appuntito, gli occhi corrugati e il sorriso ambiguo erano noti..”,
proprio nel romanzo breve precedente, troviamo la definizione più
incisiva e fulminante del suo personaggio, una vera e propria
fotografia: “..Mephistopheles smoking a cigar( trad. Mefistofele che
fuma un sigaro)”.
Ma perché proprio Mefistofele? Ci viene aiuto uno dei quattro racconti, il secondo per la precisione, The Fourth Suspect. Quando Bencolin è alla presenza di Villon (allora è lui il Capo della Polizia), Carr ne inquadra la figura: “..Il
piccolo investigatore…aveva occhi gentili e piuttosto strabici..la
figura curva, la barba nera, il gran naso aquilino, l’alone di fumo di
sigari che lo accompagnava sempre..un cappello a cilindro inclinato
sulla testa in modo spavaldo e il mantello che gli ondeggiava dietro”.
Insomma un uomo non bello, ma un personaggio tuttavia, quello che noi
diremmo “un tipo”. Ma Carr, precedentemente a questa descrizione, ci
aveva detto, quasi a preparare la descrizione del fisico non certamente
da Adone, che Bencolin era un uomo: “..troppo sentimentale..lo si poteva veder sognare all’Opera…o ad offrire vino ad amici bohemienne”, e che molto spesso finiva a elargire soldi a pezzenti che lo conquistavano con le loro storie false.
Notiamo allora il perché il personaggio abbia affascinato e
conquistato i lettori (e le lettrici): non è bello, ma possiede un
fascino tenebroso, in virtù dell’abbigliamento, nonostante sia un
sentimentale; è colto (va ad assistere alla rappresentazione di Opere
Liriche e a sognare), socievole e generoso con chi sia squattrinato o
abbia (o dica di avere) dei guai. Il suo appellativo di Mefistofele, è
sicuramente connesso alla sua professione, a come egli si sappia
trasformare in un giudice spietato; ma anche indubitabilmente al suo
aspetto. Interessante è quanto dice Gil Bethune in “Deadly Hall”,
penultimo romanzo pubblicato da Carr: “..Momentarily Uncle Gil had
looked less like amiable,beardless Mephistopheles than like a Grand
Inquisitor preparing to order torture( trad.: “Per un momento lo
zio Gil, più che un amichevole e sbarbato Mefistofele, era sembrato un
Grande Inquisitore che si accinge a ordinare la tortura”, J.D.Carr – La
Casa – I Classici del Giallo Mondadori n.887, traduz. Maria Rosaria
Schisano, pag.209)”.A chi si riferisce? T.J.Yoshi crede che l’accenno a
Mefistofele, sia legato alla figura di Bencolin, e che il parallelismo
sia intenzionale visto che il tempo in cui si svolge la storia del
romanzo precede di alcuni giorni il primo grande caso di Bencolin
ricordato ne Il Mostro del Plenilunio: infatti la data che viene
inquadrata all’inizio di Deadly Hall,”La Casa”, è il 19 aprile 1927, mentre la storia di It Walks By Night,
“Il Mostro del Plenilunio”, comincia il 23 aprile 1927. Ma Yoshi si
ferma qui; invece io direi molto di più. Innanzitutto, l’aspetto: si fa
riferimento alla sua espressione mefistofelica (pag.166-260) anzi alle
sue sopracciglia (pagg.163-208). L’espressione riferita all’aspetto di
Gilbert Bethune: “per quanto i capelli neri fossero appena striati di grigio(pag.120)”
è molto simile, troppo secondo me per non essere una citazione o un
rimando, a quella contenuta nella descrizione famosa dell’aspetto di
Bencolin, contenuta in It Walks By Night, “Il Mostro del Plenilunio” (Classici del Giallo Mondadori Serie Oro, n.196, pag.12, traduz. Rossana De Michele): “…i capelli neri di Bencolin cominciavano a striarsi di grigio”:
è come se Carr avesse voluto tributare un omaggio ai suoi primi anni, a
Bencolin, che è stato il simbolo dei suoi primi successi. Entrambi i
cognomi dei due personaggi cominciano con “Be”, entrambi svolgono due
professioni sostanzialmente simili (Giudice Istruttore e Capo della
Polizia, Bencolin; Procuratore Distrettuale, Bethune); entrambi fumano
sigari; entrambi hanno sopracciglia mefistofeliche, cioè
arcuate;entrambi i romanzi sono ambientati a distanza di alcuni giorni
nel 1927; entrambi hanno un giovane che è come se fungesse da assistente
(il Watson della situazione): Jeff Marle per Bencolin, Jeffrey Caldwell
detto “Jeff”, per Bethune, e guarda caso come si vede due Jeff. Troppe
coincidenze per non essere invece delle citazioni volute. Carr voleva
dire che Deadly Hall è come un altro romanzo di Bencolin (situazioni,
tempi, e modalità diverse)?
E a Bencolin vien sempre da pensare, per l’ultimo suo romanzo, Hungry Goblin:infatti Carr, proprio in The Lost Gallows,
Carr nel breve volgere di poche pagine, come dice assai giustamente Don
D’Ammassa, aveva citato dei termini che poi sarebbero divenuti i
titoli di suoi lavori : “…Carr mentions three terms that would later figure in titles of novels – Punch and Judy, the Red Widow, and the Hungry Goblin”. Ma come cambia la rappresentazione e la figura di Bencolin, con la descrizione che ci viene data in It Walks By Night,
rispetto a quella precedente, offerta ne “Il Quarto Sospetto”! Lì lo
vediamo elegante (qui, non lo è per nulla), affettato, distinto (qui
non lo è), persona di un certo tenore anche sociale: Bencolin non è più
uno dei tanti 86 Prefetti, ma è “Juge d’Instruction”: giudice
istruttore, consigliere di Corte Suprema e capo della polizia.E’
cambiato: non è più così “umano”, è diventato più duro, anche spietato,
giudice implacabile con i malfattori: è la vita che l’ha reso tale!
Possiamo anche vedere qui una differenza sostanziale con le altre
figure di investigatori: Fell è un personaggio che non ha nulla a che
spartire con la polizia, mentre Merrivale pur facendo parte del
controspionaggio militare (ne è addirittura a capo), non è figura
assimilabile ad un poliziotto; mentre Bencolin, lo è. E se proprio “Il
Mostro del Plenilunio” rappresenta la grande entrata di Carr, sul
palcoscenico del delitto nel genere del romanzo, con quel virtuosismo
delle messinscene e delle caratterizzazioni da Grand Guignol, tipico dei
primi romanzi soprattutto del ciclo bencoliniano, è altrettanto
importante sottolineare la straordinaria importanza dei primissimi
racconti, quelli con Bencolin giovane, in quanto racchiudono già tutti i
caratteri e le caratterizzazioni del Carr successivo, quello dei grandi
successi. In particolare, possiamo senza dubbio affermare che molte
delle idee che verranno più successivamente sviluppate nei grandi
romanzi, si trovano già qui espletate.
Il primo in ordine di tempo dei racconti è The Shadow of the Goat,
“L’Ombra del Caprone”: fu scritto nel novembre-dicembre 1926. Vi
troviamo per la prima volta espressi, non uno ma tre dei caratteri più
ricorrenti e meglio identificativi di Carr : un uomo scompare da una
stanza ermeticamente chiusa, diremmo “vanishing into thin air”; un
delitto in una Camera Chiusa, un tentato omicidio impossibile, con
un’altra sparizione non spiegabile, se non con eventi soprannaturali.
C’è la scommessa, che prelude alla sparizione impossibile, cosa che
verrà ripresa in “The Three Coffins” (tra Grimaud e Pierre Fley), ma c’è
anche la prima sparizione: un uomo, Cyril Merton, rinchiuso in una
stanza con le pareti di pietra, senz’altre uscite che la porta,
sorvegliata a vista, che..svanisce senza lasciare traccia, allo scoccare
del tempo previsto; l’omicidio di un altro in una casa dove a detta di
tutti non è entrato nessuno, e vi sono due persone della servitù che
giurano che è proprio quello che è accaduto (e che non giurano il
falso): l’unica persona che avrebbe potuto essere lì, Garrick, il nipote
della vittima,non poteva starci perché impegnata a sorvegliare la porta
della camera dove c’era stata la sparizione di Merton: due fatti
incontestabilmente concatenati, ma inspiegabili. La cosa importante è
che Jules Fragneau viene ucciso. Infine, il nipote di Fragneau viene
assalito da qualcuno che lo ferisce, e chi lo ferisce è, per asserzione
di Bencolin, un morto. Tre fatti inspiegabili, risolti con ferrea
logica: ne risulta una soluzione assolutamente spettacolare.
Un’altra caratteristica di questo primo e sorprendente racconto con
Bencolin, che molti ritengono un autentico capolavoro (ed è facile
confermarlo, leggendolo), è l’atmosfera soprannaturale che si respira,
altra caratteristica dell’opera carriana (fantasmi, demoni, sparizioni
impossibili, atmosfere lugubri), che ci potrebbe ricordare un inglese
doc specializzato in quello, cioè Montagne Rhodes James, ma che invece è
propria, a detta di Douglas G. Greene, studioso che ha pubblicato la
biografia di Carr, di certi lavori di Anne KatherineGreen : per esempio,
egli ha sostenuto esserci persino delle somiglianze del plot nel
cariano racconto “The Gentleman From Paris” ed il racconto della Green,
The Leavenworth Case (1878), come pure tra il radiodramma “Cabin B-13” e
la “Room n.3” del 1909 della Green. E non sarà difficile ricordare
l’atmosfera de “Le tre bare”, quando prima Grimaud e i suoi amici
discorrono davanti al fuoco, e poi nel racconto lugubre e sinistro si
inserisce lo sconosciuto Pierre Fley, che minaccia Grimaud di far
intervenire al suo posto suo fratello. Tanto che alcuni si spingono ad
affermare che proprio questo racconto “contiene i germi di due dei suoi
migliori romanzi successivi, “Le tre Bare” e “Nove risposte per nove
problemi”.
E notiamo un altro particolare, che ricorre anche negli altri 3:
Bencolin non è solo. Assieme a lui vi è un altro protagonista , che nei
romanzi scompare, e il cui posto viene assunto, almeno per i primi
quattro da Jeff Marle: ossia Sir John Landevorne. Sì, proprio quel Sir
John Landervorne che comparirà di nuovo e per l’ultima volta, in quello
che è unanimemente considerato il Capolavoro della prima produzione
romanzesca del ciclo bencoliniano, ossia The Lost Gallows. Che
Sherlock Holmes sia diventato il prototipo e l’archetipo di tutti i
detective da allora in poi, lo testimonia tutta la serie di apocrifi
sherlockiani, che tuttora vengono sfornati, e i romanzi che da allora
investono tutto il mercato editoriale europeo e poi americano, con
detectives che hanno in Holmes il loro padre putativo: non è il caso qui
di esaminare i vari Shiel o Meirs, ma indubbiamente ciascuno di essi
inventa un personaggio che in qualcosa richiama Holmes. E’ d’altronde il
destino di chi inventa un genere: vedersi copiato o comunque preso ad
esempio da chi intenda ripercorrere anche “parva fortuna” la sua
parabola.Secondo me, la maggiore invenzione di Conan Doyle, quella che
misura il suo genio, è d’altra parte non tanto aver inventato
l’archetipo dell’investigatore moderno, che analizza qualsiasi fatto
misurandolo con la forza della sua logica, ma avergli contrapposto in un
dualismo d’effetto, un compagno meno acuto, ma che gli è indispensabile
molto spesso per ricavare la soluzione: è proprio Watson talora a dare
il la al suo compagno con delle osservazioni intuitive, non meditate,
che finirebbero lì per lì se non avessero chi invece riesce a
trasformarle miracolisticamente in soluzioni soddisfacenti. Del resto
l’invenzione del protagonista di serie A e di quello di serie B che
insieme formano una coppia è vecchia come il mondo: Mickey Mouse/Goofy,
Don Chisciotte/Sancho Panza, Zagor/Chico. Se non ci fosse stato Watson o
un’altra spalla, sicuramente Holmes non avrebbe avuto il successo
planetario: Watson rappresenta l’anima di Holmes, la sua coscienza,
l’umanità burbera di un medico, contrapposta alla intelligenza
superlativa, asettica e talora irritante del detective che tutto sa. E’
da questo momento che le coppie di investigatori si ricorderanno con
maggior benevolenza di quanto non accada per l’investigatore solitario:
non a caso i Gialli più belli o comunque quelli in cui Poirot emerge con
maggior forza son quelli in cui gli è contrapposto il romantico e
ingenuo Capitano Hastings che ad un certo punto scompare (forse anche
perché stava togliendo troppo a Poirot). Ma il caso Poirot/Hastings non è
isolato e parecchi autori di polizieschi nel primo periodo d’oro del
giallo hanno inventato una spalla al loro detective .A questa sfilza di
autori appartiene anche John Dickson Carr,ma non tanto con la coppia
Henri Bencolin/John Landevorne, quanto con quella Bencolin/Marle: già da
It Walks By Night, “Il mostro del plenilunio”, Landevorne (che
compare in tutti i primi 4 racconti con Bencolin) scompare, lasciando
il posto a Jeff Marle, il narratore, discepolo di Bencolin: un
personaggio quindi posto in una posizione diversa dal primo, più
subalterna.
John Landevorne appare per l’ultima volta in The Lost Gallows,
“L’Arte di Uccidere” (per non apparire più).Il fatto che Carr, sin dal
primo dei romanzi pubblicati con Bencolin, decida di farlo fuori,
testimonia per me il nuovo status professionale e sociale raggiunto da
Bencolin: “Juge d’Instruction”, mentre Landevorne, è in sostanza, ora,
un ex-funzionario di Scotland Yard, mentre prima: “…era forse
l’unico uomo in città che avesse l’autorità di dare ordini a Scotland
Jard: ed Henri Bencolin poteva essere soltanto uno degli ottantasei
prefetti di polizia della Francia, ma non era certo il meno importante
di essi ” (The Shadow of the Goat, “L’Ombra del Caprone”,
Supergiallo n.21, pag. 181); se si vede bene, Jeff Marle, che riveste la
parte del Watson della situazione, non è in posizione paritetica, quale
è quella che sostanzialmente si osserva per Landevorne nei primi
quattro racconti (anche se poi il vetro deus ex-machina è sempre
Bencolin) e per The Lost Gallows, ma pur essendo un conoscente
di Bencolin (Bencolin ed il fratello di Jeff erano amici) è comunque in
una posizione più defilata e comunque non condivide il centro del
palcoscenico. E’ lui, il celebre poliziotto francese sempre al centro
delle luci, è lui che detta l’azione investigatrice, non c’è nessuno che
possa provare a sottrargli le luci della ribalta . E nel tempo stesso è
come se Bencolin distruggendo l’immagine del suo compagno di una volta,
si sbarazzasse di una parte di sé, distruggesse parte del suo passato,
una parte di coscienza che non vuol più considerare; però già con The Four False Weapons ,“4 Armi False”, Jeff Marle scompare ( ma come dice giustamente Don d’Ammassa, parlando di Poison in Jest “Piazza pulita”, romanzo del 1932: “..It is, essentially, a Bencolin novel without Bencolin…Jeff Marle is the narrator”
) e gli altri due principi dell’investigazione carriana, Fell e
Merrivale, anche se hanno occasionali compagni di avventura, non ne
avranno mai uno fisso: un po’ quello che accade con Poirot dopo la
parentesi Hastings: è come se alcuni romanzieri del genere giallo,
avessero tentato si svincolarsi dalla pesante eredità di Doyle.
Tuttavia, per spiegare quanto accade in The Lost Gallows,
Carr dice che Landevorne era cambiato avendo perso un figlio
tragicamente (si era impiccato): giacchè in nessuno dei quattro racconti
della giovinezza di Bencolin, si allude a possibili date cui si
collegano, ossia non viene mai specificato l’arco temporale, da quello
che dice Carr in The Lost Gallows si potrebbe dedurre che siano
stati collocati in un tempo che si pone prima dello scoppio della Prima
Guerra Mondiale. Questo spiegherebbe anche come dalla fine del quarto
racconto, al primo romanzo, anche se in effetti nel tempo effettivo, non
passano che pochi mesi, in quello immaginario, potremmo dire
letterario, romanzesco, passino più di dieci anni: in cui Bencolin passa
dalla carica di Prefetto, uno dei tanti, a quella di Capo della
Polizia, consigliere di corte suprema, e giudice istruttore, spodestando
quel Villon che compare in due dei quattro racconti, nel secondo e nel
quarto.
Bencolin, a differenza di Merrivale e di Fell, lavora meglio quando
ha un avversario che si contrappone: in quello tradisce la sua origina
romantica: è come un cavaliere che reagisce all’affronto subito, e
reagisce tanto più veementemente quanto chi gli si oppone è grande e
astuto quanto lui. In The Fourth Suspect ,“Il Quarto sospetto”,
è il Conte Villon , il suo superiore, che chiede il suo aiuto pur
contestando il fatto che Bencolin possa trovare il bandolo della matassa
( lo detesta, per la straordinaria capacità di Bencolin di avere tutto
sotto controllo e di risolvere le matasse più complesse): la spia
LaGarde è stata uccisa, sotto gli occhi dello stesso Villon e
dell’agente del servizio segreto Riordan, che hanno sentito lo sparo :
hanno sfondato la porta,senza aver visto nessuno uscire da una stanza
ermeticamente chiusa, alla cui unica uscita erano presenti loro due.
LaGarde è vestito ancora alla maniera del ballo in maschera che si è
tenuto in casa sua, e sulla faccia vi è una maschera: su quel viso vi
sono tre fori: due per gli occhi (nella maschera) ed il terzo nella
fronte, da cui esce un rivolo di sangue sotto i loro occhi. Ancora una
volta una Camera chiusa assolutamente straordinaria, ancora una volta
risolta con maestria. Anche questo secondo racconto semina dei germi che
verranno sviluppati altrove: la vittima è vestita in maniera bizzarra
(Hogenauer, in The Magic Lantern Murders, “Delitto da
Burattini”, è trovato morto, col sorriso distorto in un ghigno per
avvelenamento da stricnina, e un Fez turco in testa; Penderel col
cilindro, un lungo cappotto, un abito da sera vetusto,una barba finta
nera che già sul mento gli si è staccata, un pugnale persiano piantato
nel petto ed “il manuale di ricette casalinghe della Signora Eltridge”,
in The Arabian Nights Murder, “Delitti da Mille ed una Notte”; Dwight Stanhope con indosso una maschera d’oro, come ne The Gilded Man,
“Il Lago d’Oro” ) con la parrucca bianca, gli arti a sghimbescio, una
maschera sul viso, ed una sigaretta fumante in mano; vi è ancora un
assassino “vanished into thin air”, e un assassinio molto simile al
secondo di Le tre bare: anche lì viene assassinato un uomo, e tre
testimoni (due passanti ed un poliziotto) giurano che nessuno si è
avvicinato alla vittima: conclusione? Delitto impossibile.
L’assassinio avviene sotto i loro occhi, ma entrambi giurano che
nessuno era lì esclusa ovviamente la vittima. Anche nel successivo Peacock Feather Murders (1937, anche The Ten Teacups)
“Il Mistero delle penne di pavone”, Vance Keating che “sta portando un
cappello che non è ovviamente della sua taglia” è entrato in un
appartamento sull’attico, chiudendosi la porta alle spalle, mentre sia
la finestra che l’unica porta, sono sorvegliate all’esterno dalla
polizia: viene assassinato con due proiettili, e la pistola, un antico
revolver, viene trovata sul pavimento, e dell’assassino nessuna traccia
.Per di più, questo, il racconto, è il primo dei suoi scritti in cui
elabora il tema dell’oggetto (l’arma, ma anche altro), che scompare dopo
un delitto, in una Camera Chiusa: il seme gettato qui, farà frutti
altrove: innanzitutto l’arma che scompare in Till Death Do Us Part, “Un Colpo di Fucile”; parecche mazzette di banconote, svanite in una stanza, in Hot Money, “Denaro che scotta” (racconto compreso nella raccolta The Department of Queer Complaints); il testamento che scompare da una stanza chiusa, la cui finestra ha pesanti inferriate e la porta è sorvegliata, in The Gentleman from Paris, “Il Gentiluomo di Parigi” (racconto tratto dalla raccolta “The Third Bullet and Other Stories”).Il terzo racconto è ancor più singolare. The End of Justice
“La fine della Giustizia”, ripropone il tema della sfida che Bencolin
accetta: questa volta è un uomo che rispetta, Follewes, che ha speso
tutti i suoi soldi in opere di beneficenza, ad essere stato condannato a
morte, per l’omicidio del cugino Darworth. L’omicidio presenta ancora
una Camera Chiusa: Fellowes è stato visto entrare a casa della vittima,
bussare alla porta, annunciarsi, essere fatto entrare, rinchiudere la
porta. Poi..viene trovato il fratello della vittima, noto spiritista,
ammanettato mai e piedi ad una poltrona e con un coltello piantato nel
cuore: nella stanza ovviamente non c’è nessuno! Fellowes pare che sia
scomparso, volatilizzato: tanto più che l’unica finestra è aperta sì, ma
sul bordo del davanzale e sul prato sottostante c’è una candida distesa
di neve, senza neanche una impronta, immacolata e perfetta. Come avrà
fatto il presunto omicida a fuggire, tanto più che non si è mosso di
casa? Chi era l’assassino? Bencolin riuscirà anche in questo caso a
risolvere il mistero, ma non riuscirà a salvare l’amico, che verrà
impiccato ingiustamente, pochi minuti prima che venga scoperto
l’assassino.
Questo racconto fornisce assieme al primo esaminato parecchie idee
per “Le tre bare”. Inoltre il tema della distesa coperta di neve in cui
non si vedono impronte oppure se ne vedono ma non appartengono alla
vittima sarà ripetuto con infinite variazioni dallo stesso Carr ( e da
altri suoi posteri): The Footprints in the Sky , “Un’Impronta
in Cielo”, del 1940, racconto in cui Carr come al solito non si
risparmia ed inventa una Camera Chiusa del genere più allargato, il
prato coperto di neve, con una soluzione veramente da lasciare a bocca
aperta; la distesa di neve di “Assassinio al Priorato” The White Priory Murders; la neve che vien giù e l’assenza di orme da parte dell’assassino di Grimaud in The Hollow Man (The Three Coffins), “Le Tre Bare”; c’è in Death and the Gilded Man “Il Lago d’Oro”;persino la variazione in cui al posto della neve c’è la sabbia: per es: The Witch of the Low Tide, “Un colpo di pistola”.
Un altro tema qui presente, quello del ventriloquismo, verrà
puntualmente riproposto col prosieguo della carriera di scrittore di
Carr: infatti nel 1935, nella serie con H.M. con la quale Carr si firma
per ragioni editoriali con lo pseudonimo Carter Dickson, vedrà la luce
il romanzo The Red Widow Murders, “I Delitti della Vedova
Rossa”, che vede Il Grande Vecchio alle prese con una delle sue Camere
Chiuse migliori e più intricate, in cui uno dei personaggi è
ventriloquo.Tuttavia, il racconto a me sembra alquanto sbilanciato come
soluzione: immaginare che Darworth trovato ammanettato alla poltrona,
pur avvezzo a sedute spiritiche falsate, abbia avuto la forza, pur dopo
che si sia incatenato le caviglie, di pugnalarsi al cuore, e dopo
ammanettarsi, mi sembra una colossale spacconata. In verità più da Fell
che da Bencolin: una di quelle arrampicate sugli specchi cui Carr si è
sempre dedicato, allorquando il plot per qualche ragione gli sfuggiva di
mano. Avrei potuto capire che la pugnalata se la fosse inferta nello
stomaco e poi fosse morto dissanguato, ma..immaginare di colpirsi al
cuore (e la morte è quasi istantanea) e poi avere la forza di
ammanettarsi, rivelerebbe nella vittima non un uomo ma un semidio. Una
cosa un po’ difficile a mandar giù.Infine c’è l’ultimo racconto, The Murder in Number Four, “Assassinio al numero quattro”.
E’ una Camera chiusa molto suggestiva: questa volta è in uno
scompartimento di un treno. Mercier, contrabbandiere di diamanti, viene
trovato strangolato in uno scompartimento, chiuso col catenaccio dal di
dentro, e con una finestra, con uno spazio tale da non far passare
neanche un nano, tale solo per prendere aria. La soluzione è ancora una
volta suggestiva, e del resto l’unica ad essere possibile, se non si
vuole ammettere il fatto che Mercier sia potuto essere strangolato da un
fantasma. L’indizio fondamentale che porta Bencolin ad identificare
l’assassino è un biglietto.
Tuttavia il racconto, anche se offre una soluzione spettacolare, è il
meno originale dei quattro: ha infatti una filiazione diretta in The Big Bow Mystery
di Israel Zangwill. E’ tuttavia da segnalare come in questo racconto,
Carr esplori per la prima volta la tecnica della risoluzione di un
problema, dissertando non tanto sulla tecnica della camera chiusa (cosa
che in un certo senso c’era già stata in The Big Bow Mystery di I.Zangwill e che si afferma alla grande prima con The Three Coffins nel 1935( la famosa dissertazione su la Camera Chiusa); poi con Death from a Top Hat, “Morte dal cappello a cilindro” di Clayton Rawson (1938) che la amplia; e infine una terza di Derek Smith in Whistle up the Devil (1953),
“Un fischio al Diavolo”), ma su come il detective possa e debba
lavorare per risolvere felicemente un caso poliziesco. Riporto la prima
parte della dissertazione, tra Sir John Landevorne e Bencolin che nel
corso del racconto, fieramente, dice : “..E io sono Bencolin, prefetto della Polizia in Parigi”;
ometto la seconda parte perché si fa riferimento palese alla
risoluzione del caso in questione (la traduzione è di Antonietta Maria
Francavilla): “—Che bella scacchiera, vero? — osservò dopo un poco (è Bencolin che parla ora: n.d.r.)
—Una partita a scacchi può essere un’impresa terribile e
affascinante quando bisogna giocarla a rovescio e con gli occhi
bendati. L’avversario comincia col re in posizione di scacco e tenta di
rimettere i pezzi nelle posizioni in cui si trovavano all’inizio. Ecco
perché non si possono applicare regole o leggi matematiche al delitto.
Il miglior giocatore di scacchi è quello che riesce a visualizzare la
scacchiera come lo sarà dopo la sua mossa. Il miglior investigatore è
quello che riesce a visualizzare la scacchiera com’era stata prima che
lui trovasse i pezzi disposti a casaccio. Deve possedere tanta
immaginazione da intuire le occasioni che il criminale ha avuto, e da
agire come il criminale avrebbe agito. E’ una grande, orrenda battaglia
tra due immaginazioni opposte. Nessuno è più portato di un investigatore
a fare un mucchio di pompose e macchinose chiacchiere su ragionamento,
deduzione e logica. Troppo spesso dice “ragione” quando in realtà
intende “immaginazione”. Io invece mi rifiuto di ammettere che una
pedanteria da due soldi come la ragione venga confusa con una qualità
assai più elevata.
Ma stia a sentire — obiettò sir John. Supponiamo di prendere a esempio il caso di stanotte. Lei ci ha fornito una ricostruzione
del delitto, d’accordo, e forse lo ha fatto grazie all’immaginazione.
Però, non ci ha spiegato come faceva a sapere che le cose erano andate
proprio in quel modo. È stata la ragione a dirglielo, no? E comunque,
come ha fatto a risolvere l’enigma dell’assassinio di Mercier?
Questo è proprio un esempio di quanto cercavo di spiegarle. Se
ne dicono tante dell’investigazione criminale che a volte un
investigatore si chiede perché la gente creda che lui agisca in un certo
modo. Gli scrittori di romanzi polizieschi vogliono che
l’investigazione sia una scienza, sottopongono le persone sospette alla
“macchina della verità” e gli propinano test freudiani… dimenticando che un innocente è sempre nervoso e si comporta da colpevole assai più del criminale stesso, perfino a livello di sistema neurovegetativo. Dimenticano che le loro macchine vengono usate da quella che è la meno obiettiva e la più irriducibile di tutte,.. la macchina umana. Quanto all’investigatore che si basa sulla
psicologia, quello va a pescare il tipo d’uomo che può avere commesso
il delitto, si aggira finché non trova il suo tizio e allora dice: “Ecco
l’assassino” che le prove gli diano ragione o no. Col suo permesso, questo è il mio giudizio: tutte balle. Non esiste uomo incapace di commettere un delitto in ogni circostanza; dire che un delitto audace è stato necessariamente
commesso da una persona audace, equivale a dire che uno scrittore
ubriacone non può scrivere che di bevande alcoliche, o che un pittore
ateo non è in grado dì dipingere un quadro di soggetto religioso.
Invece, spesso è il beone che scrive i migliori opuscoli in favore della
temperanza, è l’ateo che trova gli argomenti più convincenti per
propagandare la religione”.Uno scritto che definisce una volta per
tutte l’importanza di questi racconti, una vera summa di Bencolin, oltre
che miniera di situazioni e di stratagemmi che Carr userà poi nel
prosieguo della sua carriera di scrittore: tra le altre, mi piace
ricordare qui, che proprio in The Lost Gallows, il romanzo che
vede per l’ultima volta Landevorne assieme a Bencolin , che per certi
versi è uno dei romanzi polizieschi più romantici di Carr, di un
romanticismo molto cupo però, si evidenzia tutta la natura mefistofelica
di Bencolin, più di quanto forse accada in It walks By Night, spietata e sardonica, cosa che nei quattro racconti forse non si rivela quasi mai; anzi, alla fine del capitolo 5 di The Ends of Justice,
quando Bencolin chiede al vescovo Wolfe di ritardare il più possibile
l’esecuzione di Fellowes, perché lui e Landevorne lo possano salvare, e
il vescovo si rifiuta di collaborare, i due “..erano ritti l’uno di
fronte all’altro, l’uomo di chiesa e l’investigatore, e l’odio sorto tra
loro accendeva i due volti come una fiamma. – Vescovo Wolfe – scandì
Bencolin – Pilato era più misericordioso di lei”. Qui è utile
commentare come Bencolin appaia molto più umano del vescovo e molto meno
spietato e duro, e anche meno cinico di come apparirà nei romanzi
successivi : la Chiesa (anglicana perché l’azione si svolge a Londra),
nominata erede, ricaverebbe molti soldi, dalla morte di Fellowes e
proprio il vescovo Wolfe ha aiutato a risolvere il caso. Noto solo come
ancora una volta l’uso dei nomi è caratteristico: il vescovo si chiama
Wolfe, e in tedesco Wolf significa “lupo”. Non mi sembra una scelta
casuale, per un religioso che pur non essendosi macchiato del delitto,
vedendo che dall’arresto di Fellowes avrebbe ricavato molto, si è
offerto di aiutare la polizia ad arrestarlo. Nelle pagine finali di The Lost Gallows,
Bencolin ricorda a El Moulk che lo sta salvando dalla morte per
impiccagione, cui era stato destinato da ****, solo perché lo vuol
vedere salire il patibolo all’alba e vuol vedere come gli carezzi il
collo La Vedova Rossa, cioè la ghigliottina. E
nell’epilogo della storia, quando tutti sono ammutoliti dall’orrore,
Bencolin..canta allegro una canzoncina : Bencolin, giudice implacabile,
avrebbe voluto vedere ghigliottinato El Moulk che era stato alla causa
di un evento tragico, ma accetta la sorte del fato: Dio ha colpito il
malvagio, e ha fatto giustizia. E tutto può finire bene.
Pietro De Palma
venerdì 27 aprile 2018
venerdì 13 aprile 2018
William L. Fieldhouse : Il caso del colonnello assassinato (The Colonel Won't Attend, 1979) - trad. Italagent - Il Racconto Giallo, Raccolta estate n.6, Editoriale Corno, 1982
Dopo aver riallacciato i rapporti di amicizia da qualche mese su Facebook con Igor Longo, lui mi ha parlato tra le altre cose, di certi racconti inseriti in anonime antologie dell' Editrice Corno (una casa editrice famosa per aver pubblicato negli anni settanta gli albi della Marvel in Italia), talmente bistrattate da non essere minimamente considerate dagli addetti ai lavori. La ragione sta nelle molto approssimative copertine, nelle traduzioni quasi pessime, e negli anonimi scrittori, sicuramente un tentativo neanche tanto nascosto di pagare poco i diritti editoriali, e di traduzione. E' vero che attirava l'attenzione del lettore, un racconto fisso di Brett Halliday, con Mark Shayne, ma è anche vero che non erano racconti originali bensì firmati da ghostwriters, quindi potremmo definirli degli apocrifi. Era purtuttavia un'iniziativa editoriale, che in origine prese inizio a partire dalla seconda metà degli anni '50 in USA, e che poi si evolse: inizialmente la MSMM pubblicava opere originali di Bretth Halliday, ma poi a partire dal 1977, anno della sua morte, cominciò a varare l'esperimento dei racconti scritti da altri con stesso personaggio Shayne. In Italia, a cercare di bissare il successo americano ci provò l'editoriale Corno, chiamata un causa da Luciano Secchi, che, conosciuto sotto lo pseudonimo di Max Bunker (Alan Ford, Kriminal, Satanik, etc..), aveva ad un certo punto tentato l'avventura nel giallo con Agenzia investigativa Riccardo Finzi, cosa ache aveva avuto successo. Successivamente aveva convinto l'editore Corno, attivo anche lui nel mondo dei fumetti, e che era il suo editore, a tentare la carta dell'albo con racconti gialli (del MSMM). All'inizio la cosa andò veramente bene, anche per il prezzo assai conveniente; in seguito, la cosa cambiò :
https://nonquelmarlowe.wordpress.com/2016/04/29/secchi-e-corno-alla-conquista-del-giallo/.
Era purtuttavia un modo per strappare qualche soldino ai lettori - che negli anni '80 erano tanti in Italia - di gialli.
Igor mi ha parlato di uno di questi autori anonimi, certo William L. Fieldhouse, un autore circa il quale ho dovuto penare parecchio per ottenere notizie biografiche. Si sa solo che attualmente vive e lavora a Las Vegas, ed è uno dei massimi autori popolari in america di Action e letteratura western (quindi al limite dell'hardboiled). Potremmo definirlo il Di Marino degli americani. Alla fine degli anni settanta inizio ottanta aveva cominciato la propria carriera nel campo della letteratura poliziesca, scrivendo dei racconti in ambito militare, che ben presto erano stati pubblicati sul Mike Shayne Mystery Magazine. Se ne annoverano 13, almeno io ne ho contati tanti. In Italia vennero pubblicati da editoriale Corno, prima che si trasformasse in Garden.
Sulla raccolta estate n.6 del 1982, figurava tra gli altri, un suo racconto , The Colonel Won't Attend, pubblicato originalmente su M.S.M.M. January 1979.
Protagonista di questi racconti e anche del presente, è il Cap. Lansing, del CID, Criminal Investigation Department, un ex poliziotto arruolatosi in esercito e poi passato per tramite della Polizia Militare, alla branca investigativa che si occupa di decessi nelle forze armate. Viene incaricato del caso del Colonnello Grant, comandante della caserma di Bradford Barrachs, trovato ucciso, garrotato, nel suo letto, al primo piano della caserma. Nessuno ha sentito nulla. E' stato trovato di mattina, da un sottotenente e un capitano, allarmati del fatto che non avesse risposto al telefono, essendo in programma la visita di un alto papavero del Congresso.
Lansing, accompagnato in camera, nota come la porta della camera abbia lo stipite fracassato e scheggiato, come se qualcuno avesse tentato di aprire la porta con la forza. Però trova nel contempo sul davanzale della finestra due profonde intaccature.
Comincia i vari interrogatori e li concentra su quattro sospettati, gente che per un motivo o per l'altro, aveva risentimento nei confronti del colonnello: un sergente, dei Berretti verdi, coinvolto in una rissa con coreani in una bettola del Vietnam, dove c'era scappato il morto; un ex elicotterosta; un maggiore chirurgo cardiaco, con cui aveva avuto frequenti motivi di dissapore, essendosi rifiutato di avvallare il suo trasferimento; e uno specialista E5 che aveva colpito in passato il colonnello ed era stato sottoposto a corte marziale e degradato. Quattro uomini che avevano risentimento nei suoi confronti; di cui due mancini, il soldato scelto E5 e il Maggiore. Perchè? perchè dall'autopsia era emerso il modus operandi dell'assassino che aveva tirato maggiormente il cavo metallico dal lato sinistro. Mentre vanno avanti gli interrogatori, si sa che un altro militare, un soldato, Peter David Howard, era morto la sera prima, ucciso nello stesso modo, garrotato. E' evidente che un collegamento deve esserci. Che Lansing trova, inchiodando l'assassino e costringendolo a venire allo scoperto.
In un finale ad effetto, l'assassino cerca di garrotare Lansing, che tuttavia chiede al medico legale di fargli una falsa gessatura al collo, tale che l'assassino come opererà per garrotare anche lui, sarà preso in trappola.
Ci troviamo dinanzi ad una novella interessante e mi spiego: lo stile non è certo quello di un autore consumato che del giallo ha fatto la sua professione (è lontanissimo da Carr), punta più sull'immediatezza e su un modo narrativo da giornale, senza fronzoli, senza inutili rimandi letterari, fatto di essenziale e basta. E' ovvio che questo sia uno stile letterario che punti al colpo da fare sul lettore, alla rivelazione, a catturare l'interesse con una trama accattivante e con dialoghi ad effetto, più che concentrandosi sui particolari. Questo però nuoce al plot in certo senso, perchè se è vero che il ritmo è scorrevolissimo ed è quasi un racconto action, è anche vero che il lettore esperto di gialli rimane qua e là sorpreso: è come se la trama prima di essere pubblicata non fosse stata limata, sgrossata dalle imperfezioni. Faccio un esempio. La porta dell'appartamento di servizio risulta essere stata danneggiata e scheggiata come se chi avesse ucciso il colonnello fosse entrato da lì. E' evidente che non può essere così, perchè se davvero la cosa si fosse verificata avrebbe fatto un fracasso d'inferno in una caserma e avrebbe richiamato l'attenzione non solo della vittima ma anche di altri militari. Quindi è di per sè un depistaggio. La via vera di penetrazione nell'appartamento sarà altra. Lansing pone attenzione a due intaccature nel legno del davanzale della finestra. OK. Lui capisce subito come possano essere state fatte, perchè ha fatto la guerra (in Vietnam) e quindi ipotizza l'azione dell'assassino. Però qui casca l'asino: come ha fatto l'assassino ad entrare in camera? La finestra era aperta o chiusa? Ha rotto il vetro o non ce n'era bisogno? Per Fieldhouse la cosa ha poca importanza: è una finestra e basta, serve a far prendere luce e aria alla stanza. Il resto non conta. Per un giallista esperto e navigato, sono cose che invece contano. Lui è attratto dal plot in sè, non dai particolari. Sono tentato dal pensare che non gli interessasse nemmeno etichettare i suoi racconti come "al limite dell'impossibile", anche se qualcuno di essi finisce per esserlo. E' attratto dalle scene di azione, arti marziali. La scena finale è per certi versi quella a cui tende tutto il racconto, non tanto per la rivelazione dell'assassinio e il modus operandi, quanto per come Lansing riesca ad evitare che l'assassino arrivato silenziosamente alle sue spalle, tenti di garrotarlo, proteggendosi con un'escamotage fantastico, ideato dal suo amico medico segaossi, efficacissimo e di uso quotidiano.
La scrittura è molto molto simile a quella di Stefano Di Marino, quando scrive action e romanzi di spionaggio: c'è un'immediatezza giornalistica, un modo sbrigativo di scrivere che dona molta fluidità. Peccato che così si tralascino dei particolari che altrimenti - secondo me - avrebbero fatto la differenza.
E' comunque un autore da seguire, anche perchè Igor mi ha detto recentemente - e non metto mai in discussione quello che lui dice ex cathedra sul mystery - che come Commings sta a Carr, Fieldhouse sta a Hoch.
Pietro De Palma
https://nonquelmarlowe.wordpress.com/2016/04/29/secchi-e-corno-alla-conquista-del-giallo/.
Era purtuttavia un modo per strappare qualche soldino ai lettori - che negli anni '80 erano tanti in Italia - di gialli.
Igor mi ha parlato di uno di questi autori anonimi, certo William L. Fieldhouse, un autore circa il quale ho dovuto penare parecchio per ottenere notizie biografiche. Si sa solo che attualmente vive e lavora a Las Vegas, ed è uno dei massimi autori popolari in america di Action e letteratura western (quindi al limite dell'hardboiled). Potremmo definirlo il Di Marino degli americani. Alla fine degli anni settanta inizio ottanta aveva cominciato la propria carriera nel campo della letteratura poliziesca, scrivendo dei racconti in ambito militare, che ben presto erano stati pubblicati sul Mike Shayne Mystery Magazine. Se ne annoverano 13, almeno io ne ho contati tanti. In Italia vennero pubblicati da editoriale Corno, prima che si trasformasse in Garden.
Sulla raccolta estate n.6 del 1982, figurava tra gli altri, un suo racconto , The Colonel Won't Attend, pubblicato originalmente su M.S.M.M. January 1979.
Protagonista di questi racconti e anche del presente, è il Cap. Lansing, del CID, Criminal Investigation Department, un ex poliziotto arruolatosi in esercito e poi passato per tramite della Polizia Militare, alla branca investigativa che si occupa di decessi nelle forze armate. Viene incaricato del caso del Colonnello Grant, comandante della caserma di Bradford Barrachs, trovato ucciso, garrotato, nel suo letto, al primo piano della caserma. Nessuno ha sentito nulla. E' stato trovato di mattina, da un sottotenente e un capitano, allarmati del fatto che non avesse risposto al telefono, essendo in programma la visita di un alto papavero del Congresso.
Lansing, accompagnato in camera, nota come la porta della camera abbia lo stipite fracassato e scheggiato, come se qualcuno avesse tentato di aprire la porta con la forza. Però trova nel contempo sul davanzale della finestra due profonde intaccature.
Comincia i vari interrogatori e li concentra su quattro sospettati, gente che per un motivo o per l'altro, aveva risentimento nei confronti del colonnello: un sergente, dei Berretti verdi, coinvolto in una rissa con coreani in una bettola del Vietnam, dove c'era scappato il morto; un ex elicotterosta; un maggiore chirurgo cardiaco, con cui aveva avuto frequenti motivi di dissapore, essendosi rifiutato di avvallare il suo trasferimento; e uno specialista E5 che aveva colpito in passato il colonnello ed era stato sottoposto a corte marziale e degradato. Quattro uomini che avevano risentimento nei suoi confronti; di cui due mancini, il soldato scelto E5 e il Maggiore. Perchè? perchè dall'autopsia era emerso il modus operandi dell'assassino che aveva tirato maggiormente il cavo metallico dal lato sinistro. Mentre vanno avanti gli interrogatori, si sa che un altro militare, un soldato, Peter David Howard, era morto la sera prima, ucciso nello stesso modo, garrotato. E' evidente che un collegamento deve esserci. Che Lansing trova, inchiodando l'assassino e costringendolo a venire allo scoperto.
In un finale ad effetto, l'assassino cerca di garrotare Lansing, che tuttavia chiede al medico legale di fargli una falsa gessatura al collo, tale che l'assassino come opererà per garrotare anche lui, sarà preso in trappola.
Ci troviamo dinanzi ad una novella interessante e mi spiego: lo stile non è certo quello di un autore consumato che del giallo ha fatto la sua professione (è lontanissimo da Carr), punta più sull'immediatezza e su un modo narrativo da giornale, senza fronzoli, senza inutili rimandi letterari, fatto di essenziale e basta. E' ovvio che questo sia uno stile letterario che punti al colpo da fare sul lettore, alla rivelazione, a catturare l'interesse con una trama accattivante e con dialoghi ad effetto, più che concentrandosi sui particolari. Questo però nuoce al plot in certo senso, perchè se è vero che il ritmo è scorrevolissimo ed è quasi un racconto action, è anche vero che il lettore esperto di gialli rimane qua e là sorpreso: è come se la trama prima di essere pubblicata non fosse stata limata, sgrossata dalle imperfezioni. Faccio un esempio. La porta dell'appartamento di servizio risulta essere stata danneggiata e scheggiata come se chi avesse ucciso il colonnello fosse entrato da lì. E' evidente che non può essere così, perchè se davvero la cosa si fosse verificata avrebbe fatto un fracasso d'inferno in una caserma e avrebbe richiamato l'attenzione non solo della vittima ma anche di altri militari. Quindi è di per sè un depistaggio. La via vera di penetrazione nell'appartamento sarà altra. Lansing pone attenzione a due intaccature nel legno del davanzale della finestra. OK. Lui capisce subito come possano essere state fatte, perchè ha fatto la guerra (in Vietnam) e quindi ipotizza l'azione dell'assassino. Però qui casca l'asino: come ha fatto l'assassino ad entrare in camera? La finestra era aperta o chiusa? Ha rotto il vetro o non ce n'era bisogno? Per Fieldhouse la cosa ha poca importanza: è una finestra e basta, serve a far prendere luce e aria alla stanza. Il resto non conta. Per un giallista esperto e navigato, sono cose che invece contano. Lui è attratto dal plot in sè, non dai particolari. Sono tentato dal pensare che non gli interessasse nemmeno etichettare i suoi racconti come "al limite dell'impossibile", anche se qualcuno di essi finisce per esserlo. E' attratto dalle scene di azione, arti marziali. La scena finale è per certi versi quella a cui tende tutto il racconto, non tanto per la rivelazione dell'assassinio e il modus operandi, quanto per come Lansing riesca ad evitare che l'assassino arrivato silenziosamente alle sue spalle, tenti di garrotarlo, proteggendosi con un'escamotage fantastico, ideato dal suo amico medico segaossi, efficacissimo e di uso quotidiano.
La scrittura è molto molto simile a quella di Stefano Di Marino, quando scrive action e romanzi di spionaggio: c'è un'immediatezza giornalistica, un modo sbrigativo di scrivere che dona molta fluidità. Peccato che così si tralascino dei particolari che altrimenti - secondo me - avrebbero fatto la differenza.
E' comunque un autore da seguire, anche perchè Igor mi ha detto recentemente - e non metto mai in discussione quello che lui dice ex cathedra sul mystery - che come Commings sta a Carr, Fieldhouse sta a Hoch.
Pietro De Palma
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