Cominciamo
oggi una breve rassegna dei racconti con delitto impossibile di Edmund Crispin.
Preciso che tutti i racconti esaminati non sono trovabili in italiano e sono
altresì rinvenibili in varie antologie originali dell’autore. Il fatto è che in
Italia i racconti non hanno mai attecchito come altrove (questa è la
motivazione addotta al fatto che tranne rarissimi casi, antologie di racconti
di un determinato autore, non son state approntate) e allora i vari direttori
editoriali, in primis quelli mondadoriani, hanno quasi sempre preferito non
pubblicarle. Per Crispin idem: quando vennero pubblicati tutti i suoi romanzi,
l’editor di allora, mi raccontarono, ebbe sì la possibilità di acquistare i
diritti anche per i racconti di Crispin, ma ritenne che essi non avrebbero
avuto il successo dei romanzi. E quindi…
Il
racconto con cui cominciamo questa rassegna è Black for a Funeral,
tratto dall’antologia Beware of the Trains.
L’antologia, pubblicata nel 1953, presenta una serie di racconti con Gervase Fen, estremamente brevi alcuni, il cui fine dichiarato è “the reader is given all the clues needed to enable him to anticipate the solution by the exercise of his logic and common sense”. All’antologia sono ascritti 14 racconti, che come precisava l’autore in una nota a fine volume, tranne uno solo, erano tutti apparsi per la prima volta in un giornale. Di questi 14, tre almeno sono racconti impossibili: quello che dà il nome alla raccolta, Beware of the Trains, Black for a Funeral, e The Name on the Window.
L’antologia, pubblicata nel 1953, presenta una serie di racconti con Gervase Fen, estremamente brevi alcuni, il cui fine dichiarato è “the reader is given all the clues needed to enable him to anticipate the solution by the exercise of his logic and common sense”. All’antologia sono ascritti 14 racconti, che come precisava l’autore in una nota a fine volume, tranne uno solo, erano tutti apparsi per la prima volta in un giornale. Di questi 14, tre almeno sono racconti impossibili: quello che dà il nome alla raccolta, Beware of the Trains, Black for a Funeral, e The Name on the Window.
Il
racconto di oggi non è una camera chiusa ma un delitto impossibile,
carino, molto carino, con degli elementi bizzarri che presi di per sé appaiono
incongruenti, ma visti secondo la prospettiva di Fen, assumono un preciso
significato.
In
una cittadina nell’entroterra inglese, il poliziotto Albert Tyler, che doveva
fare rapporto entro le 00,30 al suo capo, il sergente Beeton, lo chiama quasi a
mezzanotte del 24 luglio del 1951 per annunciargli di aver trovato per strada,
davanti all’entrata del casale dove abitava, un tipo di mezza età dai capelli
rossicci che dovrebbe essere un tal Derringer, che ha preso in affitto il
posto. Questo tipo è indubbiamente morto perché a meno di non esser caduto e
aver sbattuto la testa sulla pietra, qualcuno gliel’ha rotta. Il poliziotto,
palesemente agitato, ha rapportato al suo capo, come vi siano due cose strane:
innanzitutto il tale indossa una cravatta nera su una tuta, come se fosse
andato ad un funerale; e inoltre qualcuno ha forzato la casa dello stesso, non
asportando nulla però. Il tutto prima che arrivi il dottore, anche lui su mezzi
di fortuna, che deve attestare la morte della vittima e le cause della stessa.
Il
caso si presenta subito alquanto complesso, in ragione di alcuni particolari
che risultano essere incomprensibili al povere sergente abituato a vagabondi o
bracconieri. Derringer è andato a Londra in treno ma poi è ritornato non si sa
come a casa in tempi molto stretti: il fatto è che la stazione è lontana dal
paese e quindi a piedi non ce l’avrebbe fatta ad arrivare per l’ora presumibile
in cui è stato ucciso, cioè prima di mezzanotte. E’ evidente che sia stato
accompagnato da qualcuno in auto, solo che quest’auto è introvabile. In ragione
dei tempi calcolati, e di un passaggio a livello custodito, ipotizzando che
qualcuno abbia accompagnato Derringer a casa e poi sia ritornato indietro, se
all’andata il passaggio a livello era incustodito, non dovendo passare treni in
quel frangente, al ritorno sicuramente il casellante l’avrebbe visto. E quindi
a meno che la macchina sia svanita, non ci si raccapezza.
Casualmente
da quelle parti è in vacanza il professor Gervase Fen di Oxford, che cerca un
po’ di tranquillità per poter finire un suo libro. Siccome Beeton lo conosce,
dai tempi in cui lavorava alle dipendenze dell’Ispettore Humbley per il C.I.D.
di Scotland Yard, lo contatta.
Beeton
ha accolto Gervase nella stazione di polizia - che è dentro casa sua – un
curioso posto dove pesanti volumi di procedura penale si accumulano sul
caminetto, tra giocattoli e scampoli di maglia all’uncinetto. In questa
stazione un po’ inconsueta di polizia, il sergente, che non gradiva una
carriera in Scotland Yard e pensava più ad un incarico meno importante, ma
anche più rilassante ( il classico uomo non ambizioso che si accontenta di poco
per vivere felice, avendo una bella moglie e un figlio piccolo), racconta a Fen
l’andamento dei fatti.
Si
palesa subito la difficoltà nelle indagini, nonostante il motivo dell’uccisione
possa essere ricercato nella tendenza della vittima ad insidiare e tentare le
donne delle vicinanze, che fossero sposate o meno. In sostanza quindi anche in
un paesino tranquillo come quello, mariti poco disposti a vedersi traditi ce ne
dovevano comunque essere. E si ricostruiscono i movimenti della vittima, che
sarebbe dovuto andare ad un ricevimento dopo un funerale ma poi l’evento era
stato annullato perché la vittima era andata altrove: e allora perché una
cravatta nera, da funerale, sopra un abito informale ?
Fen
analizza il tutto, ed elabora una propria teoria: se l’automobile per quanto
ricercata non si è trovata, significa che non esisteva all’origine, così come
spiega perché la vittima avesse la cravatta nera mentre avrebbe dovuto non
averla.
Non
c’è bisogno poi che si proceda all’arresto perché l’omicida si spara.
Cominciamo
a dire che il lettore ha tutti gli elementi per arrivare ad un traguardo simile
se non identico a quello raggiunto da Fen, perché Crispin, secondo
l’intendimento dichiarato, fornisce senza nascondere nulla, tutti gli indizi
perché si arrivi alla soluzione. Che non è facile, si badi bene, e sconcerta,
nonostante poi, a vedere bene, di esempi che potessero suggerire questa
soluzione, nella letteratura poliziesca ce n’erano già.
Quello
che fa rimanere a bocca aperta è il gioco di prestigio con cui Crispin ribalta
la successione degli eventi, fornendo così la soluzione ai vari interrogativi,
primo fra tutti “l’automobile fantasma”, poi “la cravatta nera” inconciliabile
con gli eventi cui la vittima aveva partecipato prima di essere uccisa, e
infine l’effrazione in casa della vittima.
Arrivare
all’omicida è piuttosto semplice anche se difficile accettarlo: del resto i sospetti
sono solo 5. Quello che non è facile, è come bisogna ribaltare la successione
degli eventi per spiegare l’arrivo sulla scena della vittima e del suo omicida,
spiegando altresì anche gli altri due elementi contraddittori. Nel nostro caso
l’omicidio, non è il risultato di un raptus, o di una lotta, ma è premeditato.
Alla luce di ciò bisogna considerare gli eventi secondo una prospettiva
assolutamente singolare: non dagli eventi si spiega l’omicidio, ma è l’omicidio
che spiega gli eventi.
Faccio
una considerazione stilistica, infine: dopo aver letto tutti i racconti, devo
appuntare come , a dispetto del fatto che Edmund Crispin, in quanto in effetti
Bruce Montgomery, provenisse da un college intellettuale come Oxford
(Montgomenery/Crispin è stato uno degli interpreti e compositori di organo più
famosi del XX secolo), la sua scrittura non rivela minimamente l’origine
oxfordiana, essendo invece lineare e capibile immediatamente. A dispetto invece
di quella della Brand o Allingham o Marsh, molto raffinate e rarefatte, e di
quella della Sayers, che “è una goduria di
inner jokes e scherzose citazioni, Crispin ha tentato questo stile solo in
GLIMPSES (cioè The Glimpses of the Moon, “Omicidio sotto la luna”, ultimo
dei romanzi scritti da Crispin, del 1977), che è un romanzo alla Innes forse
un po' troppo rarefatto e surreale, come quelli di Innes (risposta di Igor
Longo)”.
Igor
mi dà ragione quindi quando ho osservato come lo stile di Crispin sia nella
maggioranza dei casi molto semplice: quello che fuorvia, ma nei racconti non si
vede, è invece il background letterario, con tutta una serie di citazioni, che se mettono in difficoltà il lettore britannico, figurarsi quello italiano, come
sottolineai nel mio articolo circa The Gilded Fly di Crispin ( che
riprenderò prossimamente in quello su The Moving Toyshop).
Pietro
De Palma
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