sabato 6 ottobre 2018

Edmund Crispin : Black for a funeral (da “Beware of the Trains”, 1953)

Cominciamo oggi una breve rassegna dei racconti con delitto impossibile di Edmund Crispin. Preciso che tutti i racconti esaminati non sono trovabili in italiano e sono altresì rinvenibili in varie antologie originali dell’autore. Il fatto è che in Italia i racconti non hanno mai attecchito come altrove (questa è la motivazione addotta al fatto che tranne rarissimi casi, antologie di racconti di un determinato autore, non son state approntate) e allora i vari direttori editoriali, in primis quelli mondadoriani, hanno quasi sempre preferito non pubblicarle. Per Crispin idem: quando vennero pubblicati tutti i suoi romanzi, l’editor di allora, mi raccontarono, ebbe sì la possibilità di acquistare i diritti anche per i racconti di Crispin, ma ritenne che essi non avrebbero avuto il successo dei romanzi. E quindi…
Il racconto con cui cominciamo questa rassegna è Black for a Funeral, tratto dall’antologia Beware of the Trains
L’antologia, pubblicata nel 1953, presenta una serie di racconti con Gervase Fen, estremamente brevi alcuni, il cui fine dichiarato è “the reader is given all the clues needed to enable him to anticipate the solution by the exercise of his logic and common sense”. All’antologia sono ascritti 14 racconti, che come precisava l’autore in una nota a fine volume, tranne uno solo, erano tutti apparsi per la prima volta in un giornale. Di questi 14, tre almeno sono racconti impossibili: quello che dà il nome alla raccolta, Beware of the Trains, Black for a Funeral, e The Name on the Window
Il racconto di oggi  non è una camera chiusa ma un delitto impossibile, carino, molto carino, con degli elementi bizzarri che presi di per sé appaiono incongruenti, ma visti secondo la prospettiva di Fen, assumono un preciso significato.
In una cittadina nell’entroterra inglese, il poliziotto Albert Tyler, che doveva fare rapporto entro le 00,30 al suo capo, il sergente Beeton, lo chiama quasi a mezzanotte del 24 luglio del 1951 per annunciargli di aver trovato per strada, davanti all’entrata del casale dove abitava, un tipo di mezza età dai capelli rossicci che dovrebbe essere un tal Derringer, che ha preso in affitto il posto. Questo tipo è indubbiamente morto perché a meno di non esser caduto e aver sbattuto la testa sulla pietra, qualcuno gliel’ha rotta. Il poliziotto, palesemente agitato, ha rapportato al suo capo, come vi siano due cose strane: innanzitutto il tale indossa una cravatta nera su una tuta, come se fosse andato ad un funerale; e inoltre qualcuno ha forzato la casa dello stesso, non asportando nulla però. Il tutto prima che arrivi il dottore, anche lui su mezzi di fortuna, che deve attestare la morte della vittima e le cause della stessa.
Il caso si presenta subito alquanto complesso, in ragione di alcuni particolari che risultano essere incomprensibili al povere sergente abituato a vagabondi o bracconieri. Derringer è andato a Londra in treno ma poi è ritornato non si sa come a casa in tempi molto stretti: il fatto è che la stazione è lontana dal paese e quindi a piedi non ce l’avrebbe fatta ad arrivare per l’ora presumibile in cui è stato ucciso, cioè prima di mezzanotte. E’ evidente che sia stato accompagnato da qualcuno in auto, solo che quest’auto è introvabile. In ragione dei tempi calcolati, e di un passaggio a livello custodito, ipotizzando che qualcuno abbia accompagnato Derringer a casa e poi sia ritornato indietro, se all’andata il passaggio a livello era incustodito, non dovendo passare treni in quel frangente, al ritorno sicuramente il casellante l’avrebbe visto. E quindi a meno che la macchina sia svanita, non ci si raccapezza.
Casualmente da quelle parti è in vacanza il professor Gervase Fen di Oxford, che cerca un po’ di tranquillità per poter finire un suo libro. Siccome Beeton lo conosce, dai tempi in cui lavorava alle dipendenze dell’Ispettore Humbley per il C.I.D. di Scotland Yard, lo contatta.
Beeton ha accolto Gervase nella stazione di polizia - che è dentro casa sua –  un curioso posto dove pesanti volumi di procedura penale si accumulano sul caminetto, tra giocattoli e scampoli di maglia all’uncinetto.  In questa stazione un po’ inconsueta di polizia, il sergente, che non gradiva una carriera in Scotland Yard e pensava più ad un incarico meno importante, ma anche più rilassante ( il classico uomo non ambizioso che si accontenta di poco per vivere felice, avendo una bella moglie e un figlio piccolo), racconta a Fen l’andamento dei fatti. 
Si palesa subito la difficoltà nelle indagini, nonostante il motivo dell’uccisione possa essere ricercato nella tendenza della vittima ad insidiare e tentare le donne delle vicinanze, che fossero sposate o meno. In sostanza quindi anche in un paesino tranquillo come quello, mariti poco disposti a vedersi traditi ce ne dovevano comunque essere. E si ricostruiscono i movimenti della vittima, che sarebbe dovuto andare ad un ricevimento dopo un funerale ma poi l’evento era stato annullato perché la vittima era andata altrove: e allora perché una cravatta nera, da funerale, sopra un abito informale ?
Fen analizza il tutto, ed elabora una propria teoria: se l’automobile per quanto ricercata non si è trovata, significa che non esisteva all’origine, così come spiega perché la vittima avesse la cravatta nera mentre avrebbe dovuto non averla.
Non c’è bisogno poi che si proceda all’arresto perché l’omicida si spara.
Cominciamo a dire che il lettore ha tutti gli elementi per arrivare ad un traguardo simile se non identico a quello raggiunto da Fen, perché Crispin, secondo l’intendimento dichiarato, fornisce senza nascondere nulla, tutti gli indizi perché si arrivi alla soluzione. Che non è facile, si badi bene, e sconcerta, nonostante poi, a vedere bene, di esempi che potessero suggerire questa soluzione, nella letteratura poliziesca ce n’erano già.
Quello che fa rimanere a bocca aperta è il gioco di prestigio con cui Crispin ribalta la successione degli eventi, fornendo così la soluzione ai vari interrogativi, primo fra tutti “l’automobile fantasma”, poi “la cravatta nera” inconciliabile con gli eventi cui la vittima aveva partecipato prima di essere uccisa, e infine l’effrazione in casa della vittima.
Arrivare all’omicida è piuttosto semplice anche se difficile accettarlo: del resto i sospetti sono solo 5. Quello che non è facile, è come bisogna ribaltare la successione degli eventi per spiegare l’arrivo sulla scena della vittima e del suo omicida, spiegando altresì anche gli altri due elementi contraddittori. Nel nostro caso l’omicidio, non è il risultato di un raptus, o di una lotta, ma è premeditato. Alla luce di ciò bisogna considerare gli eventi secondo una prospettiva assolutamente singolare: non dagli eventi si spiega l’omicidio, ma è l’omicidio che spiega gli eventi.
Faccio una considerazione stilistica, infine: dopo aver letto tutti i racconti, devo appuntare come , a dispetto del fatto che Edmund Crispin, in quanto in effetti Bruce Montgomery, provenisse da un college intellettuale come Oxford (Montgomenery/Crispin è stato uno degli interpreti e compositori di organo più famosi del XX secolo), la sua scrittura non rivela minimamente l’origine oxfordiana, essendo invece lineare e capibile immediatamente. A dispetto invece di quella della Brand o Allingham o Marsh, molto raffinate e rarefatte, e di quella della Sayers, che “è una goduria di inner jokes e scherzose citazioni, Crispin ha tentato questo stile solo in GLIMPSES (cioè The Glimpses of the Moon, “Omicidio sotto la luna”, ultimo dei romanzi scritti da Crispin, del 1977), che è un romanzo alla Innes forse un po' troppo rarefatto e surreale, come quelli di Innes (risposta di Igor Longo)”.

Igor mi dà ragione quindi quando ho osservato come lo stile di Crispin sia nella maggioranza dei casi molto semplice: quello che fuorvia, ma nei racconti non si vede, è invece il background letterario, con tutta una serie di citazioni, che se mettono in difficoltà il lettore britannico, figurarsi quello italiano, come sottolineai nel mio articolo circa The Gilded Fly di Crispin ( che riprenderò prossimamente in quello su The Moving Toyshop).
Pietro De Palma




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