sabato 23 agosto 2025

John Dickson Carr : La Corte delle Streghe (The Burning Court, 1937) - trad. Maria Luisa Bocchino. I Classici del Giallo Mondadori N.331 del 1979


 

DA LEGGERE SOLO DOPO AVER LETTO IL ROMANZO DI CARR. 

QUESTA è UNA RIFLESSIONE SUL ROMANZO, QUINDI PRESUPPONE CHE LO SI SIA LETTO: infatti vengono elencate le soluzioni, e spiegate, indicando il colpevole. 

CHI NON L'ABBIA ANCORA FATTO, NON LO LEGGA ORA, E SEMMAI LO FACCIA DOPO AVER LETTO IL ROMANZO DI CARR.

 

 

Il romanzo è del 1937, e alla metà degli anni ‘30 si ascrivono i maggiori capolavori di Carr. In quello stesso anno Carr pubblicò: un suo lavoro che esiste in due versioni, una di racconto, l’altra di romanzo breve: The Third Bullet, che in qualche modo è collegato al primo; il romanzo della serie Merrivale, The Peacock Feather Murders, Il mistero delle penne di pavone; e il racconto soprannaturale, Blind Man's Hood (Il Cappuccio del Cieco). Tre lavori emblematici. Che ben accompagnano The Burning Court.

Innanzitutto perché Carr intitolò così il suo romanzo? Il titolo inglese è l’esatta traduzione di quello francese originale: La chambre ardente. Ovviamente il tiolo italiano è d’effetto ma c’entra solo indirettamente col titolo.  Cosa era La Chambre Ardente? Era un tribunale speciale che in Francia giudicava casi eccezionali e che esercitava pertanto poteri eccezionali: era così chiamato perché la sala in questione era sempre illuminata, giorno e notte da fiaccole. Si occupò prima di giudicare gli Ugonotti, poi dell’Affare dei veleni, e infine si occupò di verificare la correttezza dei Fermiers généraux (gli esattori territoriali che per conto dello Stato, esigevano tasse dalla popolazione). L’affare dei Veleni, fu la cospirazione scoperta in seguito alla morte di Gaudin de Sainte-Croix, che direttamente chiamò in causa Marie d’Aubray, la Marchesa di Brinvilliers, e poi in seguito alle indagini di Gabriel Nicolas de la Reynie , capo della polizia di Francia, fu sgominata una vasta rete di avvelenatrici e avvelenatori, che avevano eliminato familiari senza prima destare sospetti. Numerosi aristocratici furono giustiziati. L’affare giunse al culmine con l’arresto de La Voisin, che chiamò in causa nobili, abati e preti indegni che organizzavano Messe nere, l’assassinio di neonati (frutto di aborti anche) e la loro eliminazione attraverso forni crematori, la profanazione di ostie consacrate. La Voisin che non venne mai torturata, per paura che sotto tortura rivelasse nomi di aristocratici della Corte Reale, fu arsa come strega nel 1680, e solo dopo la sua morte, si seppe della Montespan (amante di Luigi XIV) e del suo possibile tentativo di regicidio grazie ai veleni (cosa che venne messa a tacere, perché avrebbe coinvolti molti altri aristocratici e avrebbe generale un pericolosissimo scandalo).

Carr quindi intitola un suo romanzo, collegandolo all’Affare dei Veleni e alla sua origine, e quindi a la Marchesa di Brinvilliers, personaggio storico, amante del Cavaliere Gaudin de Sainte-Croix che alla Bastiglia avrebbe appreso come trattare alcune sostanze venefiche al fine di produrre veleni. Tramite lui avrebbe ucciso suo padre (che precedentemente aveva fatto arrestare e rinchiudere alla Bastiglia Gaudin), due suoi fratelli e tentato di uccidere una sorella e anche suo marito, il Marchese Antoine Gobelins de Brinvilliers (i Gobelins erano gli storici produttori di arazzi). La Brinvilliers fu arrestata dopo che il suo amante morì durante un esperimento, quando la sua maschera di vetro si ruppe e lui aspirò dei vapori mortali, e dopo che furono trovate una serie di lettere che la chiamavano direttamente in causa. Da qui, il suo arresto e l’accusa di pratiche negromantiche e di stregoneria, e la condanna alla tortura. La Brinvillers fu arsa nel 1676.

Il romanzo si apre con Edward Stevens consulente di una casa editrice che dovrebbe pubblicare il nuovo libro di Gaudan Cross sui processi celebri. In treno sfogliando il manoscritto, la foto di una certa Marie d’Aubray ghigliottinata nel 1861, lo sconvolge, perché quella donna è sua moglie, Marie. Edward vive assieme alla moglie in un cottage vicino alla proprietà dei Despard, il cui capostipite era stato un tale molto vicino alla Brinvilliers. L’ultimo dei Despard è Miles che vive nella proprietà dopo anni di vita all’estero, assieme a tre nipoti, figli di un fratello: Mark, Ogden e Edith. Mark è sposato con Lucy, gli altri due sono singles. Malato di gastroenterite, malattia conseguenza degli eccessi di vita, Miles è morto due settimane prima. Ted trova a casa Despard non solo l’amico Mark, ma anche Tom Partington, medico e amico d’infanzia di Mark, e che aveva avuto anni prima una storia con Edith, prima di dover scappare per aver praticato un aborto alla ragazza che lo assisteva nel suo ambulatorio. Tom è ritornato, a rischio di essere arrestato, perché richiamato dall’amico Mark, che è seriamente preoccupato: si è convinto che lo zio è stato ucciso dall’arsenico, e che sia in atto una macchinazione infernale: vicino a lui è stata trovata una cordicella con nove nodi, un particolare che rimanda alle streghe, e sul pavimento dell’armadio ha trovato un bicchiere in cui era stato versato del latte, ed una coppa antica di argento contenente una strana mistura di tuorlo d’uovo, latte e porto. Oltre al micio di Edith morto probabilmente avvelenato, ha fatto esaminare i due manufatti ricavando come responso che nella coppa ci sono due grani di arsenico. Intanto in casa Stevens, qualcuno ha aperto la borsa contenente il manoscritto di Gaudan Cross e ne ha fatto sparire prima la foto compromettente, e successivamente l’intero capitolo relativo all’esecuzione della Marie d’Aubray del 1861.

Mark riesce a convincere Ted e Tom ad accompagnarlo, assieme al Maggiordomo Henderson, nella cripta di famiglia, dove è stato sepolto Miles in una bara di legno, diversamente da tutti i suoi avi, inumati in bare di acciaio. Pensa di poter trovare prove che indichino se la causa di morte sia l’arsenico. Tuttavia la sorpresa che coglie tutti, è che il cadavere del vecchio Miles (solo 56 anni !) è scomparso: eppure la cripta è di granito e per accedervi, hanno dovuto rompere alcune pietre e poi sollevare una pesante lastra di pietra che nasconde l’accesso al vano sotterraneo. Dove è finito Miles?

Intanto a casa Despard, scoppia un nuovo caso: la signora Henderson, la governante, afferma che la notte della morte di Miles, lei da una fessura fuori alla porta della camera da letto di Miles, ha visto una donna, con un abito molto simile a quello che una figura sfregiata in un quadro della villa, indossa, e che si ipotizza sia stato quello della Marchesa di Brinvilliers. Proprio in quella notte, Lucy e Edith e Mark erano ad un ballo mascherato, l’infermiera signorina Corbett era da un’amica, e Ted e Marie erano nel loro cottage, e Lucy indossava un abito assolutamente uguale a quello sfoggiato dalla misteriosa visitatrice. La donna nella stanza si muove stranamente e sembra che la sua testa non sia attaccata al collo, e ad un certo punto, dopo aver dato una coppa a Miles, era uscita da una porta che non esisteva più da duecento anni, quando la parte cui comunicava era stata distrutta da un incendio. Per saggiare le dichiarazioni molto strane della donna e fugare ogni dubbio, con un’ascia si cercherà di vedere se la porta tra le due finestre esista, e invece si apre un varco sull’esterno della villa.

Intanto è comparso lo scrittore Gaudan Cross e Marie che è sospettata per la sua somiglianza con la D’Aubray, va via da casa e va a trovare Gaudan. Contro Marie si appuntano i sospetti di alcuni dei presenti, innanzitutto Edith e Ogden, in virtù di una serie di indizi che farebbero pensare a reincarnazioni di non morti, e uno di questi potrebbe essere Marie, sempre che si creda ad ipotesi fantastiche.

Ad aver coordinato le indagini è l’Ispettore Frank Brennan, che non sa come spiegare la scomparsa del cadavere e l’ipotetica presenza di un non morto, ossia la misteriosa donna velata: sarà salvato da Gaudan, sua vecchia conoscenza, il quale elaborerà una ipotesi in grado di spiegare tutti i fatti strani e misteriosi accaduti sino a quel momento.

Dividerò le 2 soluzioni fornite da Carr e accennerò ad una terza inserita nel suo saggio da Doug Greene

1^ SOLUZIONE : RAZIONALE

In sostanza Gaudan Cross accusa di assassinio l’infermiera, la signorina Corbett, che non è altro che Jeannette White, ritornata e che ha riallacciato la relazione con Mark Despard e con costui ha progettato l’omicidio del vecchio Miles, cosicchè Mark erediti. In sostanza la donna fantasma si potrebbe spiegare, con le manie del vecchio Miles che ogni sera si chiudeva in camera e si provava i vestiti che aveva conservati nell’armadio e per farlo, siccome l’illuminazione nella camera era scarsa, spostava al centro, tra le due finestre, laddove pendeva un lume, il cassettone con lo specchio. Così la signora Henderson avrebbe visto la figura riflessa nello specchio , mentre non usciva da una porta immaginaria ma dalla porta di comunicazione tra la camera di Miles e quella dell’infermiera, che per sua stessa ammissione, aveva messo il paletto interno tra le due camere e modificato la serratura esterna sul corridoio, per poter rimanere sola al momento giusto e confezionare un abito esattamente uguale a quello di Lucy. Intanto Mark è scappato e non si sa dove sia finito, quando si è venuto a sapere della storia tra lui e l’infermiera. Mark a sua volta era stato accusato della sparizione del cadavere. Perché? Perché pur essendo complici nell’assassinio di Miles, mentre lui avrebbe voluto uccidere lo zio con l’arsenico ma accreditare la causa alla gastroenterite, lo scopo di Myra era diverso perché mirava a incolpare la povera Lucy dell’omicidio, sbarazzandosi della moglie e così unendosi per sempre a Mark, che però non nutre pari odio per Lucy e vuole pertanto salvarla. E per far questo, dopo aver creato dei presupposti di mistero, convince i suoi amici della necessità di esumare il cadavere di Miles per provare il suo avvelenamento: questo solo per portare alla luce che il cadavere è scomparso dalla cripta. In realtà, nella ricostruzione di Gaudan, è stato lui a nasconderlo, un attimo dopo che la bara è stata messa nella nicchia: con la scusa di voler stare un attimo da solo con lo zio, in un minuto (dico un minuto!) ha spostato la bara dalla nicchia, aperta la bara, preso il cadavere, aperta una delle due urne in marmo presenti nella cripta dove si mettevano i fiori, infilato il cadavere dopo aver preso dei fiori e buttati per terra, richiusa l’urna, richiusa la bara e rispostata nella nicchia. Tutto questo in un minuto! Poi quando Ted e Parrington vengono inviati in casa a procurarsi due scalei (probabilmente per appoggiarvi la bara vuota), Mark dice a Henderson di procurarsi il telo incerato che è sul campo da tennis, per coprire con l’ausilio di quattro grosse pietre da mettere agli angoli, l’apertura che porta dal pavimento della cappella alla cripta; e mentre quegli si avvia, lui prende all’urna il cadavere e lo appoggia  a casa di Henderson, pensando che quegli ci metta più tempo e lui possa con tutta calma eliminare il corpo nella caldaia. Ma l’arrivo imprevisto di Henderson lo costringe ad improvvisare, mettere il cadavere sulla sedia a dondolo, sollevare la mano bianchiccia del cadavere e muoverla come a salutare il povero Henderson, che dirà di aver visto Miles vivo.

2^ SOLUZIONE : FANTASTICA

Accanto a questa soluzione razionale, che chiama in causa Myra Corbett, aiutata secondo lui da Mark, nell’Epilogo, Carr fa seguire una soluzione assolutamente irrazionale, basata sul fatto che uno dei personaggi della storia (Marie) sia la reincarnazione della Marchesa di Brinvilliers, voglia far diventare un non morto Edward, abbia ucciso Gaudan Cross, che era la reincarnazione di Gaudin de Sainte-Crox e che voleva ritornare ad essere suo amante (ma purtroppo era vecchio e non si rendeva conto che Marie ama Ted), che non può morire (in quanto anche lui un non morto) e che quindi ritornerà sotto altra identità, e abbia fatto in modo che  Myra fosse accusata di aver assassinato Miles al posto suo, mentre Mark è scappato e non si sa che fine abbia fatto: è scappato quando si è saputo che aveva ripreso da un anno la storia con Jeannette White, la ragazza su cui Partington anni prima aveva praticato un aborto (il bambino di cui era incinta molto probabilmente era di Mark), riapparsa come Myra Corbett, l’infermiera di Miles . Inoltre la sparizione di Miles è da addebitare al fatto che egli stesso sia un non morto, mentre quella di Mark vivo si spiega secondo me col fatto che sia stato eliminato e buttato nella caldaia. Secondo questa ricostruzione, così come è plausibile che la donna vista dalla Sig.ra Henderson sia Marie (moglie di Ted) vestita come la sua ava, e sia davvero suscita da una porta non più esistente, è anche plausibile che dalla cripta Miles sia scomparso, perché come aveva predetto Marie avendo saputo che sarebbero scesi nella cripta, Miles “non lo troverete nella bara”. Sempre secondo questa ricostruzione, troverebbero spiegazione sia il terrore che Marie ha degli imbuti, sia il fatto che tutta la discendenza di Paul Desprez abbia disposto di essere sepolta in bare di acciaio, materiale che le streghe non amano, sia il rinvenimento di cordicelle con nove nodi, anche nella bara di Miles.

Un altro particolare su cui bisognerebbe ben riflettere è la bara di legno. Osserviamo che quando i quattro scendono nella cripta, vedono alla luce della lampadina tascabile di Mark le nicchie contenenti delle bare di acciaio e una sola bara di legno quella di Miles. Secondo il discorso che fa Mark, era stato Miles a gridare di volere una bara di legno e l’aveva fatto promettere a Mark che una bara di legno sarebbe stata ad accogliere la sua salma. Abbiamo quindi due fatti ben distinti: le bare in acciaio e la bara di legno. Chiediamoci: perché le bare in acciaio? Ci viene detto che le streghe non amano acciaio e pietra ma adorano il legno. Quindi tutti i discendenti di Paul Desprez compreso lui stesso avevano paura che le streghe potessero turbare il loro sogno. E questo insinua un chè di soprannaturale nella storia. Miles voleva la bara di legno. Era stato molto tempo all’estero (in Francia?): aveva conosciuto dei Non morti? Era diventato lui stesso un non morto? E’ per questo che voleva la bara di legno? Se accettiamo la soluzione fantastica, potrebbe essere accettabile. Ma..c’è un ma. Tutto questo noi lo sappiamo dalle parole di Mark: e se Mark invece avesse riferito queste parole attribuendole a Miles solo perché una bara di legno oltre che essere molto più leggera di una d’acciaio, sarebbe stata più facilmente apribile in poco tempo? In questo caso vediamo che una stessa affermazione e uno stato di cose possono avvalorare due possibili soluzioni, e spiegare determinate cose. Qui però anche se attribuissimo la richiesta di Miles alla precisa volontà di Mark di confondere le acque, comunque sia ci troviamo dinanzi alla realtà di una fila di bare in acciaio che preesistevano a quanto accaduto o non accaduto a Miles. Quindi in sostanza ancora una volta, la possibilità del soprannaturale viene lasciata lì a far pensare. A riguardo di tutto ciò e della sostituzione di Francois Desgrais- Desgrez, con Paul Desprez, interpellato da me, perchè Doug Greene a lui mi aveva mandato, Dan Napolitano, che curerà la pubblicazione prossima di The Burning Court da parte di Crippen & Landru, con note e digressioni varie, mi ha detto che "It's possible that JDC was playing with his readers who were more attentive to historical details, e.g., people like you and me, and that it's a clue" e che "In the forthcoming book from C&L, in one of the commentaries, I discuss the business about the wood coffin, including JDC's inspirations and source materials. You're right, this is a very important little detail". Se questo era un gioco di Carr coi suoi lettori, più attenti ai particolari storici, a questo gioco appartiene anche un altro particolare, che sarà sfuggito ai più: Gaudan Cross prima della sua soluzione, afferma di essere stato incarcerato alcuni anni per un crimine commesso, e che grazie all'accondiscendenza del Direttore del carcere , è riuscito a leggere molto sui grandi processi del passato, sfruttando la biblioteca del carcere. Ora questa è la sua versione, se accettiamo la sua soluzione razionale; e in effetti i suoi trascorsi con Frank Brennan, testimoniano che deve essere diventato una specie di esperto, di cui la polizia deve essersi servita in alcune occasioni. Tuttavia, nel caso in cui Gaudan lo vedessimo come un Non morto, reincarnazione di Gaudin de Sainte-Crox, la sua confessione di essere stato incarcerato assumerebbe altra aura: infatti Gaudin fu incarcerato alla Bastiglia, prima che lui e la marchesa di Brinvilliers decidessereo di avvelenare una serie di persone. Cioè in sostanza, una stessa affermazione, senza che sia modificata con bugie, può valere per le due soluzioni, a seconda di come la si accetti.

 

3^ SOLUZIONE : in appendice al lungo saggio di Douglas Greene

Doug ha pubblicato in appendice al suo celebre saggio su Carr, The Man Who Explained Miracles, una terza soluzione, fornitagli da suo fratello: Marie non sarebbe stata una strega, reincarnazione della d’Aubray, ma sarebbe stata in realtà pazza, e in quanto tale, il suo desiderio di far diventare Ted un non morto, sarebeb stato il vaneggiamento di un folle. Infatti Ted molti anni dopo ( 36!) non sarebbe ancora morto e diventato un non-morto, ma sarebbe stato ancora vivo. La ragione è che, ambientando nel 1937 la storia nel 1929, Edward Stevens si ritrova in un romanzo del 1965, Panic in Box C.

Strano questo collegamento: un personaggio presente in due romanzi diversi ! Comunque sia, questo fatto lo svincolerei dal romanzo in oggetto, e lo ascriverei ad un procedimento più ampio seguito da Carr (e da altri scrittori, innanzitutto Ellery Queen) per cui uno stesso personaggio o una determinata situazione, sono presenti almeno in due romanzi diversi, appartenenti anche a serie diverse, come a creare una tessitura, un disegno segreto eppure presente, che collega vari momenti narrativi assieme. Non so però come si potrebbe spiegare: Edward Stevens è presente in The Burning Court e Panic in Box C (serie Fell); Jeff Marle è presente in The Lost Gallows (serie Bencolin) e in Poison in Jest;  Sir James Landevorne è un personaggio ricorrente nella serie Bencolin: nei racconti The Shadow of the Goat, The Ends of the Justice, The Murder in Number Four e nel romanzo The Last Gallows; Patrick Butler in Below Suspicion (serie Fell) e Patrick Butler for the Defense; Grimaud che appare in The Three Coffins (serie Fell) e appare citato qui in The Burning Court.

Abbiamo accennato all’inizio, che Carr si rifece alla vicenda della Marchesa di Brinvilliers, trasferendo nel suo romanzo alcuni personaggi, opportunamente trasformati linguisticamente: Marie d’Aubray è la Marchesa, ma è anche una donna accusata di omicidio nel 1861 e lo sarebbe anche ora (Gaudan Cross nella sua spiegazione dice che non è in realtà Marie d’Aubray, ma è una trovatella che è stata adottata proprio per la grande rassomiglianza con la d’Aubray), Gaudan Cross sarebbe la reincarnazione di Gaudin de Sainte-Croix, e Desprez, Paul Desprez il capostipite dei Despard (Desprez era stato anglicizzato in Despard) si legge che nel lontanissimo passato era stato in contatto con madame la Marquise. Qui però vediamo un’incongruenza, strana, molto strana: John Dickson Carr è famoso in quanto scrittore, per essersi sempre estremamente documentato, quando scriveva soprattutto una trama storica: questo non è un romanzo storico, ma i riferimenti storici abbondano. Dove li avrebbe trovati? Innanzitutto in Dumas padre che scrisse La Marchesa di Brinvilliers, in cui espose la vicenda dell’assassina e negromante. E anche in un racconto di Conan Doyle, l’Imbuto di cuoio (The leather funnel, 1900). Il racconto di Doyle è tetro e opprimente e ben si adatta ad una vicenda piena di sofferenza come quella dei delitti della Marchesa e della tortura dell’acqua che dovette subire (in The Burning Court si legge che Marie era spaventata solo dalla vista dell’imbuto). Mentre il lungo racconto di Dumas padre, è uno scritto anche ironico e con una sua verve. Probabilmente il racconto di Conan Doyle venne scritto sull’onda delle emozioni provate leggendo quello di Dumas padre.

Nel lungo racconto di Dumas padre, si leggono non solo le gesta di una donna dissoluta, che reagì alla crescente indifferenza anche sessuale del marito, collezionando amanti (un cugino di secondo grado, il Marchese di Nadaillac con cui aveva peccato duecento volte; un servitore, La Chaussée, esperto anche lui in veleni, e il precettore dei suoi figli, Briancourt) ma anche le gesta omicide della Brinvilliers e del suo amante, il Cavaliere Gaudin de Sainte-Croix. A cui pose fine un bellissimo ufficiale del re, tale Francois Desgrais, che per arrestarla, dopo la morte accidentale di Gaudin, essendo lei fuggita prima in Inghilterra e poi a Liegi in un convento dove non poteva essere toccata dal potere secolare, in virtù della sua avvenenza maschile a cui la Marchesa non era indifferente, travestitosi da prete, la attirò all’esterno del convento e lì la fece circondare da armigeri e trarre in arresto. Lo stesso Desgrais trovò le prove della colpevolezza della Marchesa in un plico di fogli dove ella stessa con scrittura minuta, aveva confessato tutte le sue malefatte. Ecco, orbene nel racconto di Dumas padre, si parla di Desgrais, accanto agli altri, rei e vittime. E alcuni di questi, coi loro nomi originali vengono citati da Carr, ma non Desgrais, che diventa però Desprez: perché? Eppure Carr era estremamente pignolo quando si documentava per i suoi romanzi mystery ambientati in altro tempo. Ma qui invece non usa il cognome originario. Io ho pensato che ci fosse stato un errore in fase di passaggio dalla battitura del testo a macchina alla pubblicazione, e un Desgrais-Desgrez fosse potuto diventare un Desprez. E l’ho chiesto a Doug Greene, il quale era anche possibilista, ma che per tagliare la testa al toro mi ha spedito a chiederlo ad un altro esperto come Dan Napolitano, il quale è stato subito solleticato dalla domanda. E mi ha dato una risposta che apre un’altra domanda: la prima bara, quella del fondatore della casata non era Francois Desprez (e allora in questo caso avrei avuto ragione) ma Paul Desprez. Cioè in altre parole, un’altra persona. Magari quando Desgrais era venuto in America, aveva cambiato proprio il suo cognome, e Paul era un suo discendente o un suo parente prossimo, forse il fratello, chissà. O forse proprio Paul era Francois che aveva cambiato il suo cognome per pausa di una vendetta postuma della strega. E questo spiegherebbe l’uso dell’acciaio per le bare dei discendenti di Paul. Mentre la bara di legno, che era stato un desiderio di Miles, si potrebbe spiegare con il suo mutato spirito. Non era stato forse lui a mostrarsi dubbioso che non potessero esistere creature che non fossero vive o morte, ma fossero una specie di Nonmorti? Aveva avuto esperienza diretta che lo aveva convinto della loro esistenza?

Un altro motivo per accettare la soluzione fantastica, è la paura irrazionale di Marie per gli imbuti. Perché? Richiama la tortura che era stata applicata a lei, quella dell’acqua, la cosiddetta "Question donné avec l’eau": il reo veniva legato su di un cavalletto, e l’acqua veniva fatta ingerire a litri forzatamente tramite un imbuto. La tortura poteva essere ordinaria (cavalletto alto circa 60 cm e 6 litri di acqua o altri liquidi, anche urina) o straordinaria (cavalletto di oltre un metro e 12 litri d’acqua). Nel caso della marchesa per l’enormità dei suoi crimini, si stabilì che dovesse subirle entrambe. Nonostante il trattamento, non confessò altro. Dopo aver ingerito tant’acqua ( lo stomaco si era spaventosamente gonfiato), si infagottava il condannato legandolo e lo si metteva vicino al fuoco. Tuttavia pare che la Brinvilliers entrando nella camera di tortura, avesse spavaldamente detto la sua su quei secchi colmi d’acqua, che sarebbero serviti in altra occasione per farsi il bagno. E poi c’è la ricorrente comparsa di cordicelle con nove nodi, oggetti magici di appartenenza a streghe. Ma quello che più complotta per decretare la maggiore attrazione del lettore verso la soluzione fantastica rispetto a quella razionale, è che la soluzione inventata da Gaudan si basa su tempi troppo ristretti di attuazione indicandoli agli astanti come sufficienti per attuare una serie di azioni che forse neanche Flash Gordon sarebbe riuscito a realizzare nella tempistica annunciata. E poi per quale ragione Marie allontanandosi da casa sua, pur sapendo che concentrerà su di lei l’attenzione di tutti coloro che sono coinvolti nel dramma, va a trovare Gaudan? Troppi interrogativi senza risposta, che danno modo al lettore (per me) di accettare con animo più convinto proprio la soluzione fantastica.

La terza soluzione è invece quasi un divertissement. Ipotizza la non sanità mentale di Marie (quindi rifugge dalla prima, quella razionale), spiegando la catena di omicidi non con l’appartenenza della donna ad una entità amorale, che si reincarna, non morendo mai del tutto, ma con l’insanità mentale della stessa, spiegandola col fatto che Edward a distanza di 36 anni, non sarebbe morto, o almeno non sarebbe diventato un non morto, apparendo come personaggio in romanzo dell’ultima stagione narrativa carriana di Gideon Fell.

Questo è quanto penso della soluzione. Ma il romanzo non è solo questo, o meglio non tende solo a questo. E’ anche il modo con cui ancora una volta Carr, esplorando un tempo non suo, lo fa con una padronanza storica e di fonti alternative, veramente strabiliante. Mantenendo la tensione sempre su livelli molto alti.

Carr è un assoluto maestro per quanto riguarda introspezione psicologica, ricerca storica e ambientazione in periodi del passato, e soluzione di crimini apparentemente impossibili. Ma oltre a questo, i suoi romanzi sono appassionanti perché il suo modo di scrivere e di suscitare la tensione è magistrale. In passato, quando è capitato, mi son dilettato a individuare nei suoi romanzi, dei modi per suscitare  tensione emotiva.  I suoi, sono i metodi dei padri della letteratura poliziesca, ben diversi da quelli contemporanei. Qui ne ho riconosciuto uno, di cui parlai quando all’epoca introdussi il primo romanzo con Bencolin, It Walks By Night: in sostanza Carr, quando descrive una certa situazione per ottenere una tensione crescente e farla arrivare ad un livello spasmodico, non può seguitare per molto su uno stesso binario, ma deve usare la tecnica dell’elastico, cioè allungare, poi fermarsi, poi dare un nuovo strappo, poi fermarsi di nuovo e magari ritornare sui suoi passi, per poi tornare alla carica e dare un ultimo strappo. In questo modo riesce a tenere incollato il lettore finchè non ha raggiunto il climax, l’apice della sua scena. Accade nella scena in cui Miles muore e chiede prima una bara di legno: l’apice è il ritrovamento del micio morto nell’armadio vicino alla famosa coppa con l’intruglio; accade nella scena in la sig.ra Henderson assiste dalla tenda sulla porta finestra della veranda a ciò che accade dentro la camera di Miles prima che egli avverta i fatali dolori all’addome, e l’apice è che il collo della misteriosa visitatrice non sembrava del tutto appoggiato al corpo. In ambedue i casi e in tante altre scene, Carr all’apice non dice da cosa esso sia rappresentato, ma fa in modo che lo capisca il lettore, sulla base di quello che ha fatto intuire prima: il micio morto presuppone avvelenamento da qualcosa, il collo fa pensare alla Marchesa di Brinvilliers che fu decapitata prima di essere arsa. In questo modo, non spiegando lui qualcosa, ma facendolo capire al lettore, mantiene anche là il livello della tensione alto, perché instaura un chè di ambiguo: non è lo scrittore che chiude una situazione definendo ciò che non è o che è, ma fa diventar interprete il lettore, che siccome non è lo scrittore, deve pure mettere in conto di poter sbagliare nell’attribuire qualcosa a qualcuno. Così nel caso del collo non perfettamente attaccato al collo, il lettore è portato a credere che sia un’apparizione soprannaturale, dimenticando che tutto è nelle parole della sig.ra Henderson, che quindi può anche aver ecceduto in fantasia.

In questo milieu storico misterioso, che noi potremmo avvicinare per presa sul lettore, solo allo sceneggiato italiano “Il segno del Comando”, in cui il fantastico guida la storia, sino alla spiegazione nell’ultima puntata, che però appare molto deficitaria rispetto alla spiegazione fantastica degli avvenimenti, i personaggi che maggiormente emergono sono quelli femminili: tutte donne forti, da Marie (che la si guardi come strega o come un’orfana trovatasi al centro di macchinazioni a lei estranee), a Lucy (confusa come donna fantomatica presente nella camera di Miles prima della sua morte), a Edith (la donna oltraggiata dal gesto di Tom anni prima, quando aveva praticato un aborto, mettendo fine alla loro storia d’amore), a Myra (la donna su cui era stato praticato l’aborto da Tom, che si era sbarazzata del feto probabilmente frutto della relazione tra lei e Mark ). Tra le quattro, da dove si guardi, quelle che maggiormente presentano zone d’ombra sono Marie ed Edith: laddove Marie, mai fa riferimento ad una sua natura reincarnata (ma è fortemente interessata al manoscritto di Gaudan, tanto da aprire la borsa del marito per leggerne le parti più interessanti), ha tuttavia terrore di uno strumento così innocente come un imbuto; ed Edith, dal lato opposto invece, più volte mette in luce le fonti di una letteratura dei non morti, e nel tempo stesso (particolare  che emerge in modo estemporaneo) si apprende che era stata lei a procurarsi l’arsenico, per eliminare dei topi.

I personaggi maschili d’altra parte, mai riescono ad imporsi sugli avvenimenti e sulle donne presenti nella trattazione: sono dei deboli. Da Edward che non sa cosa pensare di Marie (talvolta replica alle accuse in maniera istintiva, non convinta pienamente), a Tom (che nasconde a tutti che Myra sia la ragazza su cui aveva praticato l’aborto, e che preferisce scomparire e distruggere la sua relazione con Edith pur di non “sputtanare” l’amico Mark (ma che razza di uomo è?), a Mark che in tutto quello che fa, non si comporta mai in maniera cristallina, ma dice e non dice, afferma e mente, e il più delle volte è reticente su quello che fa (intrattiene una relazione con Myra da più di un anno pur continuando a convivere e mentire a Lucy, non vuole dire in quali rapporti fosse stato il suo avo Paul Desprez con la Marchesa di Brinvilliers, etc..). Il solo maschio che ha una posizione e un’aura forte è Gaudan, che però vive una tragedia che non è solo personale (avvelenato da cianuro) ma è anche la tragedia del romanzo mystery: è il primo caso ma non unico si può dire, in cui il detective, che è l’eroe di una storia, muore, lasciando l’epilogo mutilo (e in questo stato ambiguo, ben s’inserisce il finale alternativo fantastico).

In un certo senso la morte del detective (che se vogliamo non è proprio unica: muore anche Poirot alla fine di Curtain, anche se lì la trama mai tocca la sfera soprannaturale) in un romanzo in cui il fantastico si affaccia ripetutamente e lascia il lettore interdetto, la sparizione di una donna in costumi antichi attraverso una porta murata secoli prima dietro cui c’è il muro perimetrale esterno della villa, la sparizione di un cadavere da cripta sigillata, farà dire a Todorov che questo è uno dei pochissimi casi in cui si affacci il senso di straniamento del lettore, nel romanzo mystery che è normalmente romanzo razionale, per cui si dice che in quel momento ci troviamo in un romanzo fantastico.

Il est un auteur qui mérite qu’on s’y arrête plus longuement, quand on traite de la relation entre romans policiers et histoires fantastiques : c’est John Dickson Carr ; et il y a dans son œuvre un livre qui pose le problème d’une manière exemplaire : la Chambre ardente. De même que dans le roman d’Agatha Christie, on est placé ici devant un problème en apparence insoluble pour la raison : quatre hommes ouvrent une crypte, où l’on a déposé quelques jours plus tôt un cadavre ; or, la crypte est vide, et il n’est pas possible que quelqu’un l’ait ouverte entre-temps. Il y a plus : tout au long de 1 histoire, on parle de fantômes et de phénomènes surnaturels. Le crime qui a eu lieu a un témoin, et ce témoin affirme avoir vu la meurtrière quitter la chambre de la victime en traversant le mur, à un endroit où une porte existait deux cents ans aupa¬ ravant. D’autre part, l’une des personnes impliquées dans l’affaire, une jeune femme, croit elle-même être une sorcière, plus exactement une empoisonneuse (le meurtre était dû au poison) qui appartiendrait à un type particulier d’êtres humains : les non-morts. « En bref, les non-morts sont ces personnes — principalement des femmes — qui ont été condamnées à mort pour crime d’empoisonnement, et dont les corps ont été brûlés sur le bûcher, morts ou vifs », apprend-on plus tard (p. 167). Or, en feuilletant un manuscrit qu’il a reçu de la maison d’édition où il travaille, Stevens, le mari de cette femme, tombe sur une photographie dont la légende est : Marie d’Aubray, guillotinée pour meurtre en 1861. Le texte continue : « C’était une photographie de la propre femme de Stevens » (p. 18). Comment la jeune femme pourrait-elle être, quelque soixante-dix ans plus tard, la même personne qu’une célèbre empoisonneuse du XIXe siècle, et de surcroît guillotinée ? Très facilement, à en croire la femme de Stevens, qui est prête à assumer les responsabilités du meurtre actuel. Une série d’autres coïncidences semble confirmer la présence du surnaturel. Enfin, un détective arrive et tout commence à s’éclaircir. La femme qu’on avait vue traverser le mur, c’était une illusion des sens provoquée par un miroir. Le cadavre n’avait pas disparu mais était habilement caché. La jeune Marie Stevens n’avait rien de commun avec des empoisonneuses mortes depuis longtemps, bien qu’on ait essayé de le lui faire croire. Toute l’atmosphère de surnaturel avait été créée par le meurtrier pour embrouiller l’affaire, détourner les soupçons. Les véritables coupables sont découverts, même si on ne réussit pas à les punir. Vient un épilogue grâce auquel La Chambre ardente sort de la classe des romans poüciers qui évoquent simplement le surnaturel, pour entrer dans celle des récits fantastiques. On voit à nouveau Marie, dans la maison, repenser à l’affaire ; et le fantastique resurgit. Marie affirme (au lecteur) que c’est bien elle l’empoisonneuse, que le détective était en fait son ami (ce qui n’est pas faux) et qu’il a donné toute l’explication rationnelle pour la sauver, elle, Marie (« Il a vraiment été très habile de leur fournir une explication, un raisonnement tenant compte des trois dimensions seulement et de l’obstacle des murs de pierre », p. 237). Le monde des non-morts reprend ses droits, et le fantastique avec lui : nous sommes en pleine hésitation sur la solution à choisir. Mais il faut bien voir que, finalement, il s’agit moins ici d’une ressemblance entre deux genres que de leur synthèse. Passons maintenant de l’autre côté de cette ligne médiane que nous avons appelée le fantastique. Nous sommes dans lé fantastique-merveilleux, autrement dit, dans la classe des récits qui se présentent comme fantastiques et qui se terminent par une acceptation du surnaturel. Ce sont là les récits les plus proches du fantastique pur, car celui-ci, du fait même qu’il demeure non expüqué, non rationalisé, nous suggère bien l’existence du surnaturel. La limite entre les deux sera donc incertaine ; néanmoins la présence ou l’absence de certains détails permettra toujours de décider.(Cvetan Todorov, Introduction à la littérature fantastique, 1970).

Quindi, per quanto riguarda l’impronta stilistica, a ben donde questo romanzo può dirsi un autentico capolavoro, e un caposaldo della letteratura mystery. E nell’ambito della produzione letteraria di Carr, questo è senza dubbio il miglior romanzo senza personaggio fisso.

Pietro De Palma

 

 

giovedì 27 marzo 2025

Roger Scarlett : Gli Omicidi di Beacon Hill ( The Beacon Hill Murders, 1930) - trad. Dario Pratesi

 


 

Per qualche notizia didascalica, rimandiamo al precedente articolo su romanzi di Roger Scarlett (vedasi Il Mistero della Piuma Bianca, The Back Bay Murders).

Il precedente articolo verteva sul secondo romanzo della coppia di autrici che scelsero come loro pseudonimo comune, Roger Scarlett, The Back Bay Murders, uscito sempre nel 1930. Oggi prendiamo in esame invece il loro esordio, pubblicato nel febbraio 1930: The Beacon Hill Murders (una volta tanto pubblicato in Italia con traduzione fedele del titolo): Gli omicidi di Beacon Hill.

L'ispettore Norton Kane della Polizia di Boston, è alle prese con un doppio delitto maturato a casa Sutton.

Viene avvisato dal suo amico Underwood, testimone indiretto dell'assassinio di Alfred Sutton, di recarsi a casa della vittima. E qui si snoda tutta l'indagine.

In sostanza Alfred Sutton, patriarca della famiglia, uomo privo di scrupoli, che si è creata una solida posizione del jet set cittadino, pur dal nulla e che ha fama di ricco parvenu, viene ucciso nel suo salotto, mentre sta conversando amabilmente con la bellissima e ben introdotta nei salotti cittadini, Signora Anceney, ricca vedova, di cui pare si sia invaghito. Per l'occasione della cena a casa sua, le ha regalato un ciondolo con un pezzo unico di giada cinese, incisa. Mentre stanno parlando, Sutton viene ucciso da un colpo di pistola al cuore, sparato da qualcuno che si suppone ragiovevolmente, in base alla traiettoria del proiettile, stia dove stava Anceney, che quindi viene sospettata dell'omicidio. Passa poco tempo relativamente, e la Signora Anceney, viene uccisa, sgozzata con un rasoio mella sua camera da letto,

Il problema, è che non si capisce come ciò sia avvenuto. Perchè a guardia della bellissima Signora Anceney, sospettata del primo delitto, è posto un agente, che sorveglia la porta. Che ha lasciato il suo posto di guardia solo quando ha portato del vino nella sua camera (ma la vittima era viva), quando è andato al bagno un attimo (un minuto) e quando è andato ad aprire la porta: ma comunque tempi brevissimi, in cui l'assassino avrebbe dovuto uccidere la vittima, lasciare il rasoio ben in vista e fuggire senza che nessuno lo vedesse. Aggiungasi che sia nel primo che nel secondo omicidio, le finestre erano ermeticamente chiuse. E che il secondo omicidio è una diretta conseguenza del primo: forse che la vittima del secondo, avesse visto qualcosa che non doveva vedere? Ma del resto come è possibile che fosse stato ucciso Sutton, se non era stata la Anceney ad ucciderlo? La balistica impone che l'assassino fosse stato dove era la Anceney, perchè la traiettoria del proiettile aveva una angolazione tale che il colpo per forza era stato sparato vicino all'angolo sinistro del camino.

E dove portano, la sparizione del ciondolo di giada e il ritrovamento casuale da parte di Kane, di un pezzo di stoffa insanguinata, tra le pieghe della tenda della finestra della stanza da letto della Anceney?

E oltre ai movimenti ambigui dei familiari (della moglie di Sutton, della figlia Katherine che amava molto il padre, del figlio James che non vedeva l'ora di divenire erede, del cognato Walton, un po' tocco, che si lamentava della poca sufficienza con cui era trattato da Sutton), c'è da valutare la presenza ambigua dell'amico di Sutton, Gilroy, che sembra avere interessi nella vicenda: aveva falsificato assegni con la firma dell'amico, e sperava di rientrare in possesso di una nota in cui si autoaccusava della vicenda, custodita in una piccola cassaforte murale. Gilroy si scoprirà che era il fratello della seconda vittima.  Tutti erano assieme nella sera in cui era stato invitato anche Underwood, l'amico di Kane. E proprio Underwood, assieme a Moran, sergente investigativo, assise nelle indagini Kane, che dopo aver trovato il ciondolo di giada in un cassetto segreto di una scrivania, e un pezzetto di piombo rimuovibile da una delle fnestre, elaborerà una teoria, e avvalendosi anche di una ricostruzione del secondo omicidio, inchioderà l'assassino alle sue responsabilità.

Questo primo esordio, sarebbe dovuto essere col botto, come si suol dire, perchè le due coautrici avevano pensato ad una vicenda che si snodasse avendo come due punti cardini, due delitti avvenuti in circostanze impossibili. E in effetti una buona parte del romanzo, quella che supporta l'assassinio delle due vittime, fino a che Kane non comincia a elaborare le sue teorie, è costruita in maniera spettacolare, avvalendosi addirittura di tre mappe: una del piano delle camere da letto, una della stanza dove fu ucciso Sutton e quella della camera da letto della Anceney. Il problema di questo primo romanzo è però nell'abbondanza di carne messa sul fuoco: ce n'è troppa. I troppi indizi, e per di più alcuni vengono trovati o pensati senza che siano stati spiegati (uno su tutti, la stoffa insanguinata trovata celata dal panneggio del tendaggio delel finestre: perchè si trovava lì si capirà, ma perchè una stoffa insanguinata, e da dove veniva, non viene spiegato. Ma poi anche pistola e rasoio che si trovano nelle stanze da letto, e la cui presenza viene spiegata come un gioco di prestigio, ma senza che se ne fosse avvertita la presenza subito: compaiono, come  caduti dal cielo), si possono spiegare come la volontà di creare una trama spettacolare, non avendo però le due coautrici ancora l'esperienza letteraria per riuscire a spiegare tutto ciò che mettono dentro. E' in altre parole, una meravigliosa opera acerba, che pone in essere due delitti spettacolari, che hanno punti di contatto con altre opere precedenti e successive.

Sicuramente, la balistica che entra in scena per spiegare il modus operandi del primo delitto, è una conseguenza dell'esordio di Van Dine, in The Benson Murder Case: anche lì la balistica ha una parte importante per spiegare la dinamica del'omicidio. Ma anche la spiegazione del secondo omicidio, ha punti di contato con altri romanzi: mi viene in mente per esempio la spiegazione, di un romanzo di qualche decennio fa di Paul Halter, A 139 pas de la mort.

Come dissi recensendo la seconda opera di Roger Scarlett, Norton Kane è sicuramente un eroe vandiniano, ma che non ha tutta l'enciclopedica cultura di Philo Vance. E' più un detective ibrido, un vandiniano holmesiano, direi molto vicino al Thatcher Colt di Abbot, o a Michael Lord di Daly King. Altri dati che affermano la paternità vandiniana dell'opera, è la coppia Kane-Underwood, che ricorda quella Colt-Abbot o Vance-Van Dine, in cui l'avvocato Underwood, nel nostro caso presente a casa Sutton in quanto esecutore testamentario della vittima, narra in prima persona, come fa anche nei suoi romanzi Van Dine. Mentre Moran fa il sergente Heath di Van Dine. Ed è troppo vicino nel tempo The Greene Murder Case, del 1928, per non affermare la filiazione di Beacon Hill dal romanzo di Van Dine, che ha anche un altro evidentissimo punto di contatto col suo genitore, che riguarda l'assassino. E sempre col romanzo di van Dine, questo di Scarlett condivide anche l'esistenza di cassetti segreti: là ce n'era uno che nascondeva la pistola, qui uno nella scrivania che contiene il ciondolo di giada.

Lo stile che imprimono le due co-autrici fa sì che la narrazione proceda fluida, nonostante le tante situazioni narrate, ma certo non è lo stile sontuoso di S.S. Van Dine. Devo dire in tutta sincerità, che circa 80 pagine prima della rivelazione, ho indovinato chi potesse essere l'assassino e il movente (che non è facile da immaginare), sulla base di un'astrazione per ciò che si dice all'inizio del romanzo. Possibile che...? Sì, è proprio così. Mentre il modus del primo e del secondo sono una genialata di chi ha scritto il romanzo (anche se il secondo mi sembra un po' tirato per i capelli: se davvero si fosse verificata così la cosa, si sarebbe dovuto pensare che la gente normalmente è cieca e sorda, oppure assai impressionabile come accade nel caso della pistola e rasoio che compaiono d'incanto laddove non c'erano prima). Insomma, si pretende che le cose vadano così perchè così devono andare.

Tuttavia anche se opera acerba, riesce a tratteggiare a tutto tondo i personaggi, dall'infido Gilroy, al malevolo e ridicolo Walton, dall'appassionata Katherine, alla succube Mrs Sutton, dal padrone di casa pieno di sè, alla sua fiamma, la Signora Anceney che rischia le proprie virtù per aiutare il fratello fetente. E riesce a dare anche un'immagine ben definita sia di Underwwod, il narratore in prima persona, anche troppo poco leone per stare accanto al grande Norton Kane, che invece riesce a dare la giusta luce, a degli avvenimenti che presi in sè, non direbbero molto.

In un blog americano che dà anche il punteggio in stelle, viene dato un voto di 4,25 su 5 mentre al secondo 4,50. 

Sono sostanzialmente d'accordo.

Un bel romanzo, ma non un capolavoro.

Pietro De Palma


 

domenica 2 marzo 2025

Anthony Berkeley: Caffè al veleno a Piccadilly (The Piccadilly Murder, 1929). Trad. Dario Pratesi. I Bassotti N.85, Polillo Editore, 2010

 

 


 

Nuovo appuntamento con Anthony Berkeley, questa volta su questo blog e la ragione è semplice: per quanto nessuno lo dica, The Piccadilly Murder, tradotto in Italia come Caffè al veleno a Piccadilly, è un romanzo con un delitto impossibile, anzi "un signor romanzo con delitto impossibile", probabilmente un capolavoro, il secondo capolavoro del 1929, quando il primo, lo ricordo, era stato il celeberrimo  The Poisoned Chocolates Case. E con quest'ultimo, The Piccadilly Murder, ha in comune due personaggi:  Ambrose Chitterwick, uno dei sei appartenenti al Club del Crimine (un club immaginario, ma neanche tanto, che sembra rieccheggiare Il Detection Club, da lui fondato nel 1928), quello che conclude con la sua, la serie delle sei ipotesi che stanno alla base del romanzo, individuando l'omicida (lui che prima di elaborarla è solo un personaggio insignificante, ma dopo viene accreditato dai suoi compagni di club, quale un criminologo) e l'Ispettore Capo Moresby di Scotland Yard; e un avvelenamento. In sostanza The Piccadilly Murder, concede la parte di primo attore, e i riflettori per tutto il romanzo, all'amico di Sherringham, il mite ed impacciato Chitterwick, che aveva saputo risolvere  il Caso dei cioccolatini avvelenati. E la dimostrazione del suo ingegno, è proprio questo romanzo (e Trial and Error, che apparirà prossimamente in Italia, finalmente tradotto): è come se Berkeley, non volendo inflazionare troppo la figura di Sherringham, avesse voluto sostituire ad essa quella di Chitterwick, riconoscendone la portata e il valore, in un caso in cui, ancora una volta, si parla di avvelenamento.

Ambrose Chitterwick, è nella sala del Piccadilly Palace Hotel (uno dei più lussuosi hotel di Londra), ed è intento a sorseggiare un caffè, quando la sua attenzione si fissa su una signora anziana, e sul suo ospite, un tizio coi capelli rossi, che all'interesse di Chitterwick replica con maligni sguardi. Tra l'altro pare che armeggi con una tazza di caffè. Ad un certo punto Chitterwick viene contattato da una cameriera a causa di una telefonata per lui, che si rivela falsa. Quando ritorna al suo posto, l'uomo è scomparso, e la donna è assopita. Come guidato da un sesto senso, Chitterwick va a vedere casomai si senta male , accorgendosi che invece è morta, e dal fatto che aleggia un odore di mandorle amare, ipotizza un avvelenamento con acido cianidrico. Chiede con insistenza il direttore, e gli intima di mettersi in contatto con la polizia, anzi con Scotland Yard, e siccome vorrebbero chiamare la Polizia metropolitana pensando ad un suicidio, visto che sul tavolino è presente solo la sua tazzina di caffè, lui chiama Moresby, Ispettore Capo di Scotland Yard che aveva conosciuto già nel Caso dei Cioccolatini Avvelenati. Ovviamente anche Moresby si ricorda di lui, l'amico di Roger Sherringham. E quindi Ambrose gli esprime le sue perplessità, sulla presenza di un uomo al tavolo della signora e di una tazzina da caffeè scomparsa. Oltretutto nella mano della vittima è stata trovata una fiala, ma non stretta ma adagiata, come se fosse stata messa dopo la morte. Chi è il misterioso uomo? Da una lettera che trovano nella borsetta, attraverso un ragionamento si è portati a pensare che sia Lynn Sinclair nipote di Miss Sinclair , la vittima, donna che aveva ereditato un notevole patrimonio, il cui unico erede è appunto Lynn. Lynn, viene arrestato nella sala : è lui l'accompagnatore dai capelli rossi. In seguito a tutta una serie di prove, quella testimoniale di Chitterwick, e quella fattuale (le impronte chiarissime dell'uomo sulla fialetta contenente resti di acido prussico). Lynn viene arrestato e accusato di omicidio premeditato. Il testimone a carico dell'accusa è Chitterwick. Ad un certo punto però inaspettatamente, dopo esser stato invitato a casa di una duchessa, Lady Milborne, che lo attira falsamente dicendo di essere stata compagna della zia di Ambrose, conosce il fratello di lei, detto Pulcino, che è amico strettissimo di Judy Sinclair, e la stessa moglie di Lynn. Messo alle strette, e implorato sia da Lord Milborne che da Lady Milborne e da Pulcino e ovviamente da Judy, Chitterwick, pur sapendo che dovrà testimoniare quanto visto, intraprende una indagine, coadiuvato da Judy e da Pulcino (Pulcino è innamorato di Judy e farebbe qualsiasi cosa per farla felice, anche salvare la vita di suo marito), per dimostrare l'innocenza di Lynn, in una strenua battaglia contro i mulini a  vento.

Riesce ben presto a scoprire dalla testimonianza di una cameriera, che sul tavolino era stato visto anche un bicchierino di liquore, che poi era scomparso; che la Signorina Groole, dama di compagnia di Miss Sinclair, usa un paio di occhiali falsi privi di lenti ottiche; che il caffè non era stato il mezzo usato per uccidere, perchè altrimenti la signora sarebbe morta sotto i suoi occhi presente l'uomo, essendo il veleno in quantità tale da provocare la morte in rapidissimo tempo; che la cameriera che era venuto a chiamarlo, non esisteva; che qualcuno doveva aver preso una stanza dell'hotel per travestirsi.

Ci sono quindi due persone che hanno concorso ad uccidere. Una sembrerebbe chiara, e anche l'altra ad un certo punto. Ma dopo che l'unico nipote oltre Lynn della vittima è ritornato dall'America, con lo scopo di difendere il cugino, Chitterwick, prima pensa ad una persona, per poi fare marcia indietro e individuare la mente diabolica che ha ucciso Miss Synclair, e che probabilmente se non fosse stata fermata avrebbe ucciso ancora, fino al raggiungimento del suo fine ultimo.

Il romanzo, è una perla. Indimenticabile, è uno dei migliori romanzi in assoluto di Berkeley. Si nota subito come tra le letture ispiratrici di Berkeley, vi sia stato un racconto di Chesterton (The Invisible Man). Perchè? Il racconto è  basato su un delitto impossibile, e la spiegazione di The Invisible Man è alla base poi del ragionamento di Chitterwick, che demolisce la testimonianza di quattro testimoni trovati da Moresby nella sala del Piccadilly, che giurano che nessuno si è avvicinato al tavolino della vittima dopo che l'uomo che stava con lei è andato via. Proprio perchè chi si era avvicinato faceva parte del contesto della sala: non era qualche persona estranea al personale, ma ne faceva parte. E quindi è come se fosse stato invisibile agli occhi dei testimoni, che affermavano che nessuno (oltre il personale che loro non consideravano) si era avvicinato al tavolino. Il problema è però: chi è la cameriera sotto mentite spoglie che ha portato il liquore al tavolo? E che poi l'ha portato via?

Il personaggio di Chitterwick è delineato amabilmente, nella sua goffagine e nella dimensione di un uomo qualunque, che ha un solo hobby: fare il detective dilettante, con una personale raccolta dei dati dei più celebri casi di omicidio e degli assassini, anche per fuggire il grigiore di una vita passata con una zia pestifera. Fin quando vive quest'hobby, è deriso dalla zia, ma quando comincia la sua ricostruzione degli avvenimenti al fine di salvare il presunto omicida dalla forca, per il solo fatto che sia stato accolto dalla nobiltà, dalla zia viene rivalutato, e vive il suo momento maggiore di gloria, quando in effetti salva Lynn. Stilisticamente Ambrose è l'antitesi di Roger Sherringham: laddove Sherringham è il detective dilettante à  la page, scrittore famoso nel bel mondo, ma che con la penna di Berkeley è caricaturizzato, Chitterwick a sua volta, che è la caricatura di uno scapolo della borghesia agiata, goffo e imbranato, nella realtà dell'indagine poliziesca, dimostra di essere un personaggio di grande caratura. E' un po' la rivalsa, dell'uomo mite, che vive nell'anonimato di una vita sempre eguale, ma che in un determinato momento sa sfoggiare la parte nascosta di sè, che lo qualifica un Super uomo.

Il romanzo è diviso in due parti ben distinte: una prima parte molto corposa, che corrisponde ai 4/5 della trama, dominata dall'indagine di Chitterwick e dalle deduzioni che egli fa sulla base degli indizi raccolti su come il delitto deve essere stato concepito, ed una seconda parte, molto più snella in cui le supposizioni riguardano i colpevoli. In sostanza, sembrerebbe fino all'inizio della seconda parte, che il romanzo non sia un whodunnit, ma un howdunnit, in quanto nel caso l'assassino non sia il marito di Judy, è chiaro (ma non lo si dice) che il più probaile ad avere ucciso Miss Sinclair per ereditare (il famoso Cui Prodest), sia l'altro cugino, quello che a parole rigetta l'eredità perchè vuole salvare Lynn. E quindi, si congettura e si ipotizza, quale possa essere stato il modus agendi di chi ha ucciso, se il cugino americano o la sua complice travestita da cameriera, ricostruendo un delitto che sembrava impossibile: come avrebbe fatto a morire solo dopo che Chitterwick era stato allontanato con un pretesto dalla sala, se il veleno come diceva lo stesso Ambrose e sostiene la polizia, fosse stato messo nel caffe? In questo caso la morte sarebbe stata quasi istantanea, ed invece fin quando Ambrose si era allontanato, la signora stava sorseggiando il caffè senza che dimostrasse di stare male. E allora come era stato possibile? E chi aveva messo della signora ormai morta, la fiala? E dov'era finito il fantomatico bicchierino di liquore?

Il romanzo è l'apoteosi del depistaggio e delle soluzioni multiple, di quella che in americano si dice misdirection, della creazione di false piste che dovrebbero portare a determinati risultati, ma che poi vengono abbandonate con un effetto sorpresa, che invece privilegia altre direzioni, altri indizi e altri colpevoli. In fin dei conti, era lo stesso modo di procedere adottato da Berkeley per il primo dei romanzi del 1929: in ambedue, sono contemplate delle soluzioni multiple ( si può pensare ad una coppia di romanzi inscindibili e legati oltre che da una straordinaria trama basata su avvelenamento, anche a personaggi presenti in ambedue, anche da una serie di soluzioni multiple assoluamente entusiasmanti e coivolgenti). Un po' quello che si dirà per Christianna Brand, molto tempo dopo: la regina dei romanzi dalle molteplici soluzioni. Non è un caso che citi la Brand, perchè parecchi non sanno che lei provò, quale appartenente al Detection Club (e quindi nella fantasia al Club del Crimine), a dare una settima deduzione in relazione a The Poisoned Chocolates Case, che non tutti sanno fu anticipato dal racconto The Avenging Chance (che però curiosamente fu pubblicato dopo il romanzo), la cui trama era la stessa del romanzo ma la cui soluzione era solo quella di Sherringham (la settima deduzione di Christiana Brand e un'ottava in cui si è cimentato lo stesso Martin Edwards, che firma l'Introduzione al romanzo, sono contenuti in quanto allegati, all'edizione di The Poisoned Chocolates Case, della British Library Crime Classics). Con uno stile che mischia ironia, leggerezza e acume sopraffino, Berkeley riesce a portare alla fine il lettore, sorprendendolo con una soluzione, che individua non uno, non due ma tre personaggi coinvolti nella messinscena, che agiscono in due differenti modi e tempi, in cui uno dei tre costrituisce una sorta di cerniera tra gli altri due: è in sostanza un doppiogiochista che trasforma una certa rappresenzatione in un'altra, ma a sua insaputa.

Un capolavoro di inventiva.

Pietro De Palma



venerdì 22 novembre 2024

Morte a passo di Valzer – Minisceneggiato in 3 puntate, tratto da Fire, Burn! di J.D.Carr – Sceneggiatura: Vieri Razzini, Regia: Giovanni Fago, RAI 2, 1981

 

 

 

Dal romanzo Fire, Burn! di J.D.Carr, RAI 2 trasse, nell’ottobre del 1979, lo sceneggiato in tre puntate, “Morte a passo di Valzer”, mandato in onda  nel 1981.

Nell’ambito di sceneggiati tratti da romanzi gialli, si può dire che quello tratto da Fire, Burn!, costituisca un caso si può dire unico. Il perché è presto detto: mentre tutti gli altri sono stati conformati nel tempo a romanzi già editi in italiano – e non parlo solo dei Carr (La dama dei veleni, tratta da The Burning Court; Tre colpi di fucile, tratto da Till Death Do Us Part; L’Occhio di Giuda tratto da The Judas Window), ma anche dei Maigret di Gino Cervi, o del  Philo Vance di Albertazzi (qui, addirittura proprio lui, nell’introduzione al Caso Benson , aveva in mano uno degli Omnibus Mondadori in cui furono pubblicate le avventure di Philo Vance)– Fire, Burn!  prima del 1979 non godeva di una traduzione italiana e quindi si deve apprezzare come la sceneggiatura di Vieri Razzini fosse stata approntata sull’originale inglese.  

Il che significa che Vieri Razzini (o chi per lui) conosceva da prima il testo carriano, e quindi la conoscenza di testi non ortodossi da parte di uno dei più grandi critici italiani, particolarmente versato proprio al poliziesco: chi non ricorda (e sono sicuro che molti dei miei lettori sono giovani e quindi non possono ricordare) le sue presentazioni  e i cicli da lui curati basati anche sulle avventure di Sherlock Holmes o di Charlie Chan? Igor Longo, me lo ricordo bene, stravedeva per Vieri Razzini e criticava il fatto che, alla RAI, fosse stato messo da parte. Proprio qualche giorno fa, parlandone privatamente con Mauro Boncompagni, lui mi ha detto: “Ricordo che allora chiesi a Orsi perché non pubblicassero la trad. italiana. L’ottimo Gian chiese il libro all’agente, me lo passò per la lettura (ricordo che era la prima edizione americana), io feci una recensione e la Francavilla lo tradusse (allora io non traducevo). Bei tempi, eh?”.

Lo sceneggiato, salvo alcune personalizzazioni  cui accenneremo, è fedele all’originale.

Innanzitutto, l’ambientazione è curata fino nei minimi particolari; e anche la recitazione, e la descrizione delle scene non lascia adito a dubbi.  Persino la caratterizzazione della figura di Volcano  con l’occhio di vetro, anche se Volcano nel romanzo è calvo mentre qui è ricciuto, e l’occhio di vetro nel romanzo è il destro mentre qui è il sinistro.

 

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Tuttavia vi sono cose che non esistono nel libro originale di Carr. Innanzitutto la Camera Chiusa.

Nel romanzo di Carr non c’è nessuna Camera Chiusa, ma nello sceneggiato sì.

Viene posta alla fine della seconda puntata, ultima scena, e quindi con essa comincia la terza puntata.  La vittima sarebbe quel Freddie Derbitt che qualcuno pensava potesse essere l’amante segreto di Margaret Renfrew. La sceneggiatura è evidente per quale motivo inserisca questa variazione: per accrescere l’interesse del pubblico e motivarlo a vedere la terza parte. La Camera Chiusa è una classica: porta e finestra chiuse dall’interno, nessun passaggio segreto ,eppure la vittima ha un foro sulla fronte. vlcsnap-2016-04-17-21h05m58s718 

Se la Camera Chiusa nel romanzo originale non c’è significa che lo sceneggiatore deve averla presa da qualche altra fonte, se non inventata. Io credo che l’avesse presa da un altro sceneggiato di qualche anno prima: per il tipo di soluzione, e quindi per come la vittima venga uccisa, la Camera Chiusa mi ha ricordato istantaneamente quella usata per uccidere Rex, uno dei fratelli della famiglia Greene, nell’omonimo romanzo e nello sceneggiato RAI interpretato da Albertazzi. E’ probabile che fosse stata presa da lì, penso io. Inoltre anche lì la morte -di Rex in quel caso -concludeva la puntata.

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Un’altra variazione è data dall’inizio e dalla fine dello sceneggiato: mentre il romanzo comincia con Cheviot che sta recandosi a Scotland Yard in taxi, lo sceneggiato presenta un prologo con un delitto del tutto inventato: Lord Davenport sul par di un campo da golf sta per imbucare la pallina e con lui stanno due amici e sua moglie. All’improvviso il lord cade schiantato al suolo: una pallottola lo ha colpito al cranio, senza che nessuno abbia sentito lo sparo. Ovvio pensare ad un’arma munita di silenziatore, ma per colpirlo da lunga distanza non sarebbe stato facile – perché tutt’attorno non ci sono punti da cui sparare – e per di più l’esame balistico ha dimostrato che è stato colpito con una traiettoria dal basso in alto. Insomma un delitto impossibile.

 

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La cui soluzione verrà scoperta da Cheviot nel corso del suo salto nel passato: infatti la soluzione del delitto antico potrà essere usata per spiegare anche il delitto contemporaneo. Non a caso, le ultime scene della terza ed ultima puntata, concernono la cattura dell’assassino del Lord e la spiegazione di come egli abbia potuto ucciderlo: è evidente, giacchè compaiono solo quattro persone compresa la vittima, che l’assassino debba essere uno degli altri tre.

Ma perché si pensò di introdurre un episodio assolutamente originale ed inventato in questo mini sceneggiato? Un’idea l’avrei. La scena iniziale è simile a quella di un altro sceneggiato che aveva avuto un enorme successo anni prima, tratto da un lavoro di Durbridge: Giocando a golf una mattina (Game for a Murder). Anche lì si verifica un delitto sul par di un campo da golf: chi sta giocando, viene ucciso. E’ come se gli inglesi fossero associati dal pubblico italiano al gioco del golf. Del resto nel tempo, numerosi sono stati i romanzi polizieschi che hanno avuto come teatro di azione un campo di golf: un esempio per tutti?  Herbert Adams. In Italia di Adams sono apparsi molti romanzi negli anni Trenta, nella mitica serie de I Romanzi della Sfinge, di Salani Editore. Una delle serie varate da Adams era appunto incentrata su un giocatore di golf, Roger Bennion.

Altra variazione ancora, cioè un particolare che non esiste nel romanzo ed è stato aggiunto da Razzini è l’orologio da panciotto che Cheviot si trova addosso quando rinviene nel taxi e che è stato acquistato da lui nel 1829, nel corso della sua avventura nel passato. Questo particolare, sicuramente affascinante, con cui si conclude lo sceneggiato è un altro escamotage per finire in bellezza, donando anzi accentuando l’aspetto fantastico dell’opera. Carr ne sarebbe stato deliziato.vlcsnap-2016-04-18-11h51m00s151

Altra variazione inventata è quella dell’immagine di Flora Gray. Cheviot, nel taxi, sta leggendo un paragrafo in un libro di storia trovato nella biblioteca di Lord Davenport, dedicato ai personaggi del regno di Giorgio IV e trova la foto di Lady  Flora Gray. Mentre la sta guardando, ecco che perde coscienza e si ritrova sbalzato nel 1829. Tutto questo nel romanzo non esiste. Perché è inserita? Avrò io una deformazione personale nata dalla mia conclamata cinefilia e dall’amore degli sceneggiati d’epoca, avrò io la tendenza a richiamarmi e richiamare la memoria altrui a dei particolari che ai più sfuggono, ma questo fissare una foto e ritrovarsi sbalzato nel passato, mi sembra tanto, troppo simile a quello che accade al protagonista in The Burning Court, quando in treno l’immagine della celebre avvelenatrice, la Marchesa di Brinvilliers sembra troppo simile a quella di una donna del presente. vlcsnap-2016-04-17-21h49m59s315Questo richiamo, che non mi sembra casuale, è avvalorato dal fatto che nell’epilogo, quando Cheviot viene svegliato nel taxi che ha avuto un incidente per la nebbia, si ritrova accanto la moglie, il cui volto è identico a quello di Flora Gray. Mentre nel romanzo, la rassomiglianza tra le due Flora viene ad essere indicata negli ultimi due-tre righi del romanzo.

Poi vi sono delle variazioni che qui e là modificano qualcosa, senza avere un riflesso importante: innanzitutto la scazzottata. Quando Cheviot accusa Volcano di truffare e raggirare i giocatori mediante una roulette truccata, dal parapiglia generato dalla rottura del tavolo da gioco e dalle molle che escono fuori e dai sibili di aria che si sentono, testimoniando il trucco ad aria compressa che inclinava il piano con la pallina in modo che andasse a rotolare dove si voleva che rotolasse, si genera una scazzottata. Il romanzo ne accenna in due righi e basta.vlcsnap-2016-04-17-20h53m22s025 Ovviamente invece lo sceneggiato vi indugia, perché questa è una tipica scena da film. Come non ricordare i tanti spaghetti western all’italiana dove scene di questo tipo erano di casa? Mi sembra quasi un omaggio a Gianni Garko che era stato uno degli attori più impegnati in quel genere di films. C’è addirittura il volo di un tale che va a sfasciare un mobile, che ci rimanda con la memoria ai films con Terence Hill e Bud Spencer.vlcsnap-2016-04-17-21h00m02s382

Poi c’è la sparizione del registro del 1829, quello in cui erano annotati gli acquisti di Volcano in cambio di fiches, che nel romanzo non sparisce affatto, anzi viene ritrovato con la perquisizione seguita all’arresto di Volcano.

Infine, mentre lo sceneggiato è incentrato esclusivamente sulla vicenda personale di Cheviot e sugli sviluppi delittuosi e sentimentali, il romanzo è uno spaccato intenso ed appassionante dell’epoca. C’è persino una ininfluente rivolta per l’abolizione del dazio sul grano, primo assaggio delle riforme che vennero varate negli anni successivi .

 

Pietro De Palma

mercoledì 13 novembre 2024

Whitman Chambers : I morti non lasciano impronte digitali (Dead Men Leave no Fingerprints, 1935) – trad. Dario Pratesi – I Bassotti N°104, Polillo, 2011

 

 I MORTI NON LASCIANO IMPRONTE DIGITALI

 

Elwyn Whitman Chambers (1896-1968), nato a Stockton, in California, scrisse diciotto romanzi polizieschi ambientati nell’area di San Francisco, il primo dei quali fu ,nel 1928, The Coast of Intrigue. Fu un inizio tiepido, giacchè solo dopo l’uscita di The Navy Murders (1932), scritto assieme a Mary Strother Chambers, iniziò a scrivere a getto e fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale diede alle stampe altri tredici romanzi. A partire dal 1946 si dedicò prevalentemente al cinema, tornando alla scrittura solo nel 1953: firmò però altri soli tre romanzi, in quanto si occupò di collaborazioni a sceneggiature televisive, fino alla morte avvenuta a Los Angeles.

“I morti non lasciano impronte digitali” (Dead Men Leave no Fingerprints, 1935) presenta come soggetto inquirente non un poliziotto come il Michael Lord di Charles Daly King o un investigatore privato alla maniera di Poirot o Philo Vance, ma uno che si avvicina più invece al Bill Crane di Latimer e al Sam Spade di Dashiel Hammett come modi di comportarsi, e che al tempo stesso risolve un’indagine di stampo classico.

Quindi un Giallo Classico, un Mystery, con movenze da Hard-Boiled.

Stanton Lake è un investigatore privato che ha un’agenzia che condivide con l’amico Abe Bloom. Un bel giorno capita una bella bionda, classico tipo di femmina fatale, tale Hilda Haan, famosa attrice danese, che, di nascosto ai mass-media, e contando sull’appoggio di un’amica che le fa da controfigura e serve a distogliere la stampa, è fuggita con Theodore Raybourne. Hilda chiede a Lake di aiutarla proprio contro Theodore, perché troppo tardi ha compreso come egli non la ami e sia attratto solo dai suoi soldi; in più egli ha in mano della carte compromettenti che, se rivelate, la getterebbero in pasto alla stampa e la sua vita privata e di conseguenza anche la sua popolarità subirebbero uno sconvolgimento.

Lake, d’accordo col suo socio, tenta allora di insinuarsi nella casa in cui volente o nolente Hilda è costretta a rimanere, con uno stratagemma: finge di aver avuto un attacco di cuore mentre nuotava proprio davanti alla dimora dei Raybourne, e che uno che era anche lui in mare per caso (Abe Boom) sia riuscito a salvarlo. I Raybourne sono una potente dinastia, ed il vecchio Raybourne Rufus, pur a dispetto del crollo di parte del suo impero a causa di una lottizzazione sballata, è tuttavia ancora ben saldo. Lake, soccorso, viene accolto nella casa, tra gli sguardi interessati e diffidenti se non sospettosi degli altri presenti: Maurine, la giovane moglie del vecchio Rufus; i coniugi Farley e Rae Amerton, una coppia di amici sensitivi; la figlia Inez con il dottor Pageot suo fidanzato; ed infine il maggiordomo cinese, Fong Woo.

Ben presto Lake deve rivelarsi allorchè qualcuno uccide proprio Theodore Raybourne con un pesante attizzatorio: la ragione sta nel fatto che dopo che Foo Wong ha dato l’allarme d’abbasso, e Lake è entrato nella camera di Raybourne trovandolo col cranio fracassato, lì accanto è proprio Hilda Lane che ha in mano dei ritagli di giornale, le carte compromettenti che deteneva la vittima, e ora sta cercando di distruggere gettandole nel fuoco. Dopo una furiosa lotta, riesce a mettere KO il detective e a distruggere le carte compromettenti. Tuttavia lui, che è legato da un rapporto di lavoro con la bella Lane, deve ora salvarla dall’imputazione di omicidio, cosa che fa subito cercando di smontare la sua presenza lì in quella camera, davanti al vecchio Rufus, riuscendoci in parte: deve però, ora, fugare tutti i dubbi trovando il vero assassino.

Innanzitutto deve identificare le impronte digitali trovate sull’attizzatoio: il vecchio Rufus è ben convinto che qualsiasi fosse l’assassino, la morte di sua figlio dovrebbe essere vendicata, consegnando l’omicida alla giustizia. Anche se ciò costasse l’incriminazione ad uno degli appartenenti alla famiglia o dei presenti.

Tutti sono costretti a mettere a disposizione le proprie impronte digitali, e così, alla fine, le impronte vengono confrontate. Colpo di scena, quando, però, dopo che esse non vengono attribuite a nessuno dei presenti nella casa (e quindi neanche a Hilda), esse lo sono a John Royal, compagno di avventure e di speculazioni del vecchio Raybourne, che tuttavia ha esagerato con le malversazioni, finendo a San Quintino! E’ possibile che sia fuggito dal carcere e che ora voglia vendicarsi dell’amico che lo ha accusato in tribunale? No, perché Royal è morto un anno prima e proprio il vecchio Rufus ha curato che salma, imbalsamata, venisse sepolta. E allora come si spiegano quelle impronte?

Il vice dello sceriffo Catalin, il droghiere che la comunità di quelle parti ha eletto a fare lo sceriffo e che non sa come muoversi, è Lenny McManus un conoscente di Lake, che da molti anni fa il vice-sceriffo. Proprio Lenny, Stanton e la bella Hilda una notte armati di badili, vanno a dissotterrare la bara di Royal per verificare che sia proprio lui; ma, arrivati sul posto, dopo aver scavato, scoprono che la bara è stata profanata ed il cadavere non c’è più.

Possibile che John Royal sia vivo e che il cadavere fosse di qualcun altro a cui il galeotto si fosse sostituito, prendendone e cedendo la sua identità? La cosa sarebbe possibile, ma cozza con la convinzione di Lake che l’assassino sia invece qualcuno della casa: infatti, nel momento in cui è stato ucciso Theodor c’erano tutti in casa e altissima sarebbe stata la possibilità che un estraneo venisse scoperto. Come ha fatto Royal?

Ora si mette in relazione con la scomparsa del carcerato, un’aggressione subita da Lake precedentemente: qualcuno l’ha aggredito in biblioteca e poi se l’è svignata. Viene scoperto un rifugio segreto, occultato nella parete, utilizzato in passato come armeria, che gli amici di Rufus conoscevano, tra cui Royal. E’ possibile che dopo l’omicidio si sia nascosto lì e solo dopo sia fuggito?

Tuttavia ben presto il sedicente John Royal si rifà vivo. Infatti, Stanton Lake, non avendo risposta dalla bella Maurine, chiusa in camera, che non scende a colazione, con la collaborazione di altri, abbatte la porta della sua camera da letto e la trova prona sul letto, con la faccia bluastra e una delle sue calze annodata al suo collo tanto strettamente da quasi non vedersi che il suo nodo, nella carne enfiata. Il fatto strano è tuttavia che quella camera da letto non ha altre uscite che la porta, chiusa dal di dietro, e la finestra, pure chiusa dall’interno: come ha fatto l’assassino ad uscire?

Stanton Lake riesce però a trovare una botola, nello stanzino dei vestiti, chiedendosi cosa ci faccia lì una sedia: issatosi Lenny, senza toccare il pannello, e penetrato nella soffitta, ben presto trova un’altra botola, scendendo nella camera del dottor Pageot: possibile che il fidanzato della figlia di Raybourne abbia ucciso Maurine? E perché? Ben presto si scopre che i due avevano una tresca, vivevano una storiella di sesso: infatti la bella Maurine è stata trovata con addosso il negligè più trasparente dei negligè trasparenti. Probabilmente stava aspettando il suo amante, che infatti ammette di esservi andato, ma solo per trovarla morta.

Lake, per l’idea che si è fatta, tende a dar credito alla confessione di Pageot, nient’altro che uno squallido cacciatore di dote: però, senza trovare il modo come l’assassino sia uscito, non potrà dimostrare l’estraneità dell’avventuriero.

E intanto, dopo che un cadavere imbalsamato è stato trovato in mare, mezzo mangiato dai crostacei, e dopo che Abe è stato inviato da Lake a procurarsi la scheda dentaria per accertarsi che quel cadavere sia o no quello di Royal, un terzo omicidio avviene in quella dimora: viene trovato ucciso, con un pugnale infisso nel cuore, il vecchio Raybourne. E ancora una volta, Lake si troverà di fronte l’ombra di John Royal, perché ancora una volta le sue impronte si trovano sul manico del pugnale.

Ma chi è John Royal? E’ vivo o morto? E se è morto, quelle impronte come possono essere lì, sul pugnale e sull’attizzatoio?

Lake risolverà il mistero e scagionerà sia Pageot che Hilda Lane, nel frattempo innamoratasi dell’investigatore.

Memorabile il finale: Hilda lo prega di non abbandonarla, ma Stanton che pure sa di essere debole nei suoi confronti, non vuole però perdere la propria soggettività e diventare solo “il marito di Hilda Lane”. E per questo scende dall’auto, e si avvia verso il treno, senza guardarsi dietro. Duro e puro.

Bellissimo romanzo, conserva una tensione immutata per tutta la sua durata, che viene mantenuta molto alta, in virtù di una trama estremamente scoppiettante e mai monotona: tantissimi avvenimenti sconvolgono l’indagine e fino alla fine non si riesce a capire chi possa essere l’omicida, se John Royal o altro, e come allora le sue impronte digitali siano finite sia sull’attizzatoio che sul manico del pugnale.

Carina anche la Camera Chiusa, la cui soluzione pur essendo una variazione di metodo già contemplato da Carr, è purtuttavia molto intrigante per il fatto che per scoprirsi, si debba guardare dal di fuori e non dal di dentro, e dal di fuori non sia facile farlo, perché si sta fuori da una finestra senza balcone, alta almeno sei metri dal viale sottostante.

L’investigatore potrebbe essere un clone di Sam Spade, duro, talora anche sprezzante, che ricorre alle maniere forti, per esempio pestando Pageot per indurlo a parlare dopo la morte di Maurine, debole con le donne, ma al tempo stesso orgoglioso della propria individualità; e Hilda Lane, è la cosiddetta Femme fatale, pronta a far perdere la testa ad un uomo, ma anche a perderla lei, quando lui invece che bramarla la rifiuta; e Inez Raybourne, l’ereditiera, è la cosiddetta donna indifesa, preda delle attenzioni di gente attratta dai soldi, che simula di essere innamorata di lei ma poi invece, di nascosto da lei, ha una storia di sesso con la matrigna della ragazza.

Il maggiordomo cinese è un classico, come un classico è anche la sostituzione di un corpo con un altro (non l’aveva per la prima volta sperimentato Edmond Dantes?); e anche il marito anziano, fatto becco dalla moglie giovane che se l’intende con altro, che a sua volta fà becco la fidanzata molto fragile; e anche la finta medium, che irretisce i creduloni.

Il cadavere che sparisce, potrebbe aver influenzato anche il Latimer di The Lady in the Morgue (che è del 1936, cioè posteriore di un anno rispetto al romanzo di Chambers), e No Coffin for the Corpse di Clayton Rawson (il disseppellimento). Ma a sua volta potrebbe aver preso qualcosa, sempre che si potesse provarlo, da The Greek Coffin Mystery di Ellery Queen (1934) in cui viene disseppellita una bara in cui dovrebbe esserci un corpo imbalsamato; oppure da Into Thin Air (1929) di Horatio Winslow and Leslie W. Quirk , in cui viene disseppellito un corpo per vedere se sia presente o no un oggetto.

Insomma un gran bel romanzo, che si legge appassionatamente.

Pietro De Palma

sabato 5 ottobre 2024

Ulf Durling : L’ospite che non arrivò (Gammal ost, 1971) – trad. Monica Bianchi – Il Giallo Mondadori N.2554 del 1998

 

 


 

Ulf Durling è un nome che ben pochi, sospetto, conosceranno. Eppure ha meritato la menzione nel famoso Mystères à huis clos di Roland Lacourbe, nell’appendice, memore del meeting del 2007 cui partecipò anche l’italiano Igor Longo, e che è espresso nel bellissimo articolo, A Locked Room Library,  del mio amico John Pugmire ( http://mysteryfile.com/Locked_Rooms/Library.html ) . Il perchè è chiaro: in quell’elenco, erano riportate le migliori Camere Chiuse, a parere di un pool di esperti. E Gammal ost ha una gran bella Camera Chiusa, non c’è che dire!

Ulf Durling è uno scrittore svedese, nato nel 1940 a Stoccolma e diventato poi, dopo laurea e specializzazione, un famoso psichiatra. Nel 1971 ha provato ad esordire proprio com Gammal Ost ( trad. Formaggio vecchio) che è stato un grande successo, tanto da convincersi a scriverne altri. E’ tuttora vivente. E’ l’unico romanzo che gli ha pubblicato Mondadori

La trama si svolge in un pensionato svedese, laddove dimorano: il tipografo in pensione, fondatore del Club del Giallo, Johann Lundgren; Carl Bergmann, anche lui socio fondatore, e libraio in pensione, e il dottor Nylander, appartenente al club del giallo; Alex Nilsson; il commesso viaggiatore, Johanson; le due insegnanti, signorina Hurting-Olofson e la signora Soderstrom; il maresciallo dell’esercito Renqvist.

Uno degli ospiti della pensione, Alex Nilsson, 52 anni, già dimorante da alcune settimane nella pensione, è trovato morto nella sua camera, chiusa a chiave dall’interno: giace “completamente vestito, vicino al letto, come se si fosse ferito battendo la testa contro la spalliera…sangue sul viso e sul davanti della camicia. Sul tavolo..una bottiglia di vino rovesciata ed il vino..sparso sul pavimento…e anche sul viso e sulla camicia di Nilsson” (Prima parte, cap.2 pag.21). Inoltre viene trovato nel cestino della spazzatura un pezzo di formaggio; e sul comodino, un diuretico molto potente, il Diclorotride-K. Inoltre c’è un asciugamano macchiato di rosso (solo vino?).

Però qualcuno ha sentito del trambusto in quella camera la sera prima, come se ci fosse stato un litigio: quindi c’era una seconda persona, anche perchè compare la richiesta della stessa vittima di un cerotto, al Signor Blom, il padrone della pensione: eppure non c’è nessuna ferita, neppure piccolissima sul corpo di Nilsson.

Efraim Nylander suppone che la lite sia finita in tragedia, e che l’assassino non si sia neppure accorto di quanto era accaduto: in sostanza, la morte sarebbe sopravvenuta in un secondo momento, e quindi sarebbe stata la stessa vittima a spegnere la radio, rimasta accesa durante buona parte della notte, richiudere la porta e quindi rimanere quindi soccombere per un colpo già precedentemente riportato; Johann Lundgren invece lega il misterioso visitatore di Nilsson a suo fratello Edvin, che sarebbe stato il responsabile di un avvelenamento mortale da metanolo ( un po’ quello che accadde in Italia tanti anni fa), e che sarebbe ritornato per via di una misteriosa eredità e del resto lo stesso Alex Nilsson anni prima era stato ricoverato varie volte per disintossicazione dall’alcool: sarebbe stato ospite del fratello nella sua stanza al pensionato, senza che nessuno lo sapesse e per farlo avrebbero escogitato un trucco, cioè Alex avrebbe finto di essere zoppo perchè il fratello lo era, e in questo modo sarebbe ro stati scambiati l’uno per l’altro e non ci sarebbero stati problemi. I due avrebbero avuto una lite ed Edvin avrebbe ucciso l’altro fratello. Infine Carl propone la sua teoria: la radio accesa durante la notte, avrebbe significato un modo come un altro per Nilsson di addormentarsi a causa del vino bevuto, perche lui aveva un appuntamento col suo assassino che si suppone sia il marito della figlia: Nilsson ricattava il genero e la figlia. In pratica, secondo questa ultima ricostruzione, ci sarebbero state due visite: la prima casuale di un amicone di Nilsson, con cui si mangia formaggio e si beve vino e durante la quale il visitatore si ferisce tanto da far chiedere a Blom da Nilsson un cerotto; poi questo va via ed ecco che avviene la seconda visita durante la quale il secondo visitatore uccide Nilsson e poi, dopo averlo ucciso con un oggetto contundente, salta dalla finestra, utilizzando come materasso delle coperte prese dalla pensione, che poi riporta furtivamente dentro da una porta secondaria.

La seconda parte del romanzo supporta invece la teoria di Gunnar Bergmann, figlio di Carl, e poliziotto (Vice Commissario), secondo la quale la morte sarebbe stata dovuta a cause naturali : una emorragia cerebrale, non causata dalla botta, ma che avrebbe causato lo sbandamento alla base della botta.

La terza parte infine è quella in cui uno dei tre appassionati, il dottor Nylander, rivede la sua teoria precedente e integrandola con tutte le novità apprese, la rimodula: Nilsson avrebbe avuto precedentemente al suo ritorno in Svezia dall’ America, un attacco apoplettico o una emorragia cerebrale, che avrebbe causato una emiparalisi: da qui il movimento claudicante. Inoltre avrebbe sofferto di pressione alta: lo avrebbe fatto rilevare l’ingrossamento del cuore. Proprio alle sue condizioni di salute sarebbe stata connessa l’assunzione del medicinale trovato sul comodino, un diuretico molto potente, il Diclorotride-K. Come avrebbe fatto a morire di emorragia cerebrale un paziente molto assiduo nell’assumere il medicinale prescritto, per di più molto efficace? Per via di un pezzo di formaggio stagionato e di un altro medicinale del tutto innocuo. Efraim Nylander troverà l’omicida, che ha dovuto agire per proteggere la figlia e il suo matrimonio da un passato che non sarebbe dovuto ritornare, con un’azione delittuosa insime semplicissima ma altrettanto altamente geniale.

In sostanza nel romanzo di Durling, le 3 ipotesi sostanziali fanno capo a tre diverse sezioni del romanzo, che inquadrano ovviamente le stesse verità, secondo tre prospettive ed inquadrature diverse:

  1. La prima, elaborata da tre appassionati di Mystery classico, mette in primo piano il fatto che la porta fosse chiusa dall’interno e quindi si dovesse in sostanza spiegare un Mistero di Camera Chiusa: questa prima teoria viene di volta in volta supportata da tre diverse ipotesi che recano a tre diversi postulati accusatori e quindi a tre possibili soluzioni diverse ;
  2. La seconda, approntata da un ufficiale di polizia, figlio di Carl Bergmann, che ridicolizza l’azione dei tre investigatori dilettanti, paragonandola a quella di tre vecchi troppo innamorati dei libri, che ragionano sulla base delle letture fatte, perdendosi per strada: la verità sarebbe purtroppo molto più semplice e banale: morte per cause naturali.
  3. La terza sviluppata da uno dei tre investigatori, il medico, eliminando le ipotesi più fantasiose, riesce basandosi sugli indizi raccolti, a formulare la soluzione, individuando l’omicida, un altro anziano.

Il romanzo è il pretesto per confrontare e raffrontare 3 diversi modi di vedere le cose: lo stesso fatto, con l’aggiunta o la mancata visione di determinati particolari, è passibile di tre distinti, separati e contrastanti giudizi, tre diverse ipotesi con altrettante diverse individuazioni dei responsabili: In sostanza Ulf Durling sviluppa, alle estreme conseguenze, il confronto/scontro presente ne “I tre investigatori” di Leo Bruce, laddove i tre investigatori non sono quelli dei romanzi omonimi pubblicati da Mondadori negli anni settanta ottanta (e scritti in origine da Robert Arthur), ma delle parodie di Poirot, Lord Peter Wimsey e Padre Brown, che parlano e si atteggiano come i loro rispettivi riferimenti originali. Del resto non va dimenticato che già in Berkeley, ne Il caso dei cioccolatini avvelenati, diverse esposizioni dello stesso antefatto, svolte da diversi personaggi, avevano portato a diverse ipotesi con individuazione di responsabili altrettanti differenti. E’ il caso ancora di segnalare, come lo stesso procedimento fosse stato adottato ne I Cinque frammenti di George Dyers (The Five Fragments, 1932) , pubblicato da Mondadori ne I Libri Gialli (Palmine) col numero 110 nel 1935, altro straordinario romanzo assai poco conosciuto; uno stesso fatto, che visto secondo la prospettiva diversa di cinque testimoni, rivela diverse angolazioni e verità.

Anzi mi verrebbe quasi da pensare che, siccome nel romanzo trovano spazio molti riferimenti ad autori del Giallo Classico, cui il romanzo è un omaggio (Bentley, Sayers, Carr, Allingham, Christie, Millar, Brand, Milne, etc..), e addirittura un riferimento alla Conferenza del Dottor Fell in The Hollow Man di John Dickson Carr, potrebbe essere benissimo accaduto che piuttosto che prendere ad esempio Case for Three Detectives di Leo Bruce, egli avesse preso come propria ispirazione, proprio The Five Fragments di George Dyers: potrebbe essere valida sia la prima che la seconda ipotesi, poiché se tre sono le sezioni del libro che sottendono a tre diverse formulazioni dell’ipotesi accusatoria, è anche vero che nel primo caso abbiamo tre diverse sotto-ipotesi, che unita alla seconda e alla terza, assommerebbero a cinque.

Nell’ambito del divertissement, che è quello che poi è, il romanzo è per di più scritto in forma parodistica. Non è un caso unico, perchè almeno in tempi molto vicini a noi, altri autori hanno cercato di portare il loro mattone all’edificazione del palazzo del Giallo, scrivendo dei romanzi in cui i protagonisti sono investigatori dilettanti che prendono le mosse dai libri che leggono: così John Sladek, così Isaac Asimov, così Peter Lovesey, cosi…Ulf Durling.

La Camera Chiusa, viene spiegata, solo nelle prime tre ipotesi della prima parte, perchè esse fanno capo ad una idea di assassinio che preveda la presenza diretta dell’omicida assieme alla vittima, mentre nella seconda, non si parla di omicidio perchè è morte naturale, mentre la terza parte pur inquadrando la morte di Nilsson con un omicidio, esso pur scaturito dal tentativo di salvare qualcuno e quindi di evitare il male, lo provoca, con la premeditazione dell’omicidio di Nilsson, che presuppone che l’passassino non sia presente nella stanza quando muore Alex, che chiude lui la porta a chiave dall’interno e poi muore, per una emorragia cerebrale, causata non da eventi naturali ma da un farmaco sostituito e da un vecchio pezzo di formaggio ultrastagionato, il Cheddar, acocmpagnato da una buona bottiglia di vino.

Tutto sommato un romanzo assai interessante, la cui soluzione è presente già nella prima parte, solo che non è sondata a dovere, e in cui la soluzione finale avviene tra lo stupore del lettore distolto da altro, non avendo avuto il modo per metabolizzare quanto letto.

 

Pietro De Palma