mercoledì 13 novembre 2024

Whitman Chambers : I morti non lasciano impronte digitali (Dead Men Leave no Fingerprints, 1935) – trad. Dario Pratesi – I Bassotti N°104, Polillo, 2011

 

 I MORTI NON LASCIANO IMPRONTE DIGITALI

 

Elwyn Whitman Chambers (1896-1968), nato a Stockton, in California, scrisse diciotto romanzi polizieschi ambientati nell’area di San Francisco, il primo dei quali fu ,nel 1928, The Coast of Intrigue. Fu un inizio tiepido, giacchè solo dopo l’uscita di The Navy Murders (1932), scritto assieme a Mary Strother Chambers, iniziò a scrivere a getto e fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale diede alle stampe altri tredici romanzi. A partire dal 1946 si dedicò prevalentemente al cinema, tornando alla scrittura solo nel 1953: firmò però altri soli tre romanzi, in quanto si occupò di collaborazioni a sceneggiature televisive, fino alla morte avvenuta a Los Angeles.

“I morti non lasciano impronte digitali” (Dead Men Leave no Fingerprints, 1935) presenta come soggetto inquirente non un poliziotto come il Michael Lord di Charles Daly King o un investigatore privato alla maniera di Poirot o Philo Vance, ma uno che si avvicina più invece al Bill Crane di Latimer e al Sam Spade di Dashiel Hammett come modi di comportarsi, e che al tempo stesso risolve un’indagine di stampo classico.

Quindi un Giallo Classico, un Mystery, con movenze da Hard-Boiled.

Stanton Lake è un investigatore privato che ha un’agenzia che condivide con l’amico Abe Bloom. Un bel giorno capita una bella bionda, classico tipo di femmina fatale, tale Hilda Haan, famosa attrice danese, che, di nascosto ai mass-media, e contando sull’appoggio di un’amica che le fa da controfigura e serve a distogliere la stampa, è fuggita con Theodore Raybourne. Hilda chiede a Lake di aiutarla proprio contro Theodore, perché troppo tardi ha compreso come egli non la ami e sia attratto solo dai suoi soldi; in più egli ha in mano della carte compromettenti che, se rivelate, la getterebbero in pasto alla stampa e la sua vita privata e di conseguenza anche la sua popolarità subirebbero uno sconvolgimento.

Lake, d’accordo col suo socio, tenta allora di insinuarsi nella casa in cui volente o nolente Hilda è costretta a rimanere, con uno stratagemma: finge di aver avuto un attacco di cuore mentre nuotava proprio davanti alla dimora dei Raybourne, e che uno che era anche lui in mare per caso (Abe Boom) sia riuscito a salvarlo. I Raybourne sono una potente dinastia, ed il vecchio Raybourne Rufus, pur a dispetto del crollo di parte del suo impero a causa di una lottizzazione sballata, è tuttavia ancora ben saldo. Lake, soccorso, viene accolto nella casa, tra gli sguardi interessati e diffidenti se non sospettosi degli altri presenti: Maurine, la giovane moglie del vecchio Rufus; i coniugi Farley e Rae Amerton, una coppia di amici sensitivi; la figlia Inez con il dottor Pageot suo fidanzato; ed infine il maggiordomo cinese, Fong Woo.

Ben presto Lake deve rivelarsi allorchè qualcuno uccide proprio Theodore Raybourne con un pesante attizzatorio: la ragione sta nel fatto che dopo che Foo Wong ha dato l’allarme d’abbasso, e Lake è entrato nella camera di Raybourne trovandolo col cranio fracassato, lì accanto è proprio Hilda Lane che ha in mano dei ritagli di giornale, le carte compromettenti che deteneva la vittima, e ora sta cercando di distruggere gettandole nel fuoco. Dopo una furiosa lotta, riesce a mettere KO il detective e a distruggere le carte compromettenti. Tuttavia lui, che è legato da un rapporto di lavoro con la bella Lane, deve ora salvarla dall’imputazione di omicidio, cosa che fa subito cercando di smontare la sua presenza lì in quella camera, davanti al vecchio Rufus, riuscendoci in parte: deve però, ora, fugare tutti i dubbi trovando il vero assassino.

Innanzitutto deve identificare le impronte digitali trovate sull’attizzatoio: il vecchio Rufus è ben convinto che qualsiasi fosse l’assassino, la morte di sua figlio dovrebbe essere vendicata, consegnando l’omicida alla giustizia. Anche se ciò costasse l’incriminazione ad uno degli appartenenti alla famiglia o dei presenti.

Tutti sono costretti a mettere a disposizione le proprie impronte digitali, e così, alla fine, le impronte vengono confrontate. Colpo di scena, quando, però, dopo che esse non vengono attribuite a nessuno dei presenti nella casa (e quindi neanche a Hilda), esse lo sono a John Royal, compagno di avventure e di speculazioni del vecchio Raybourne, che tuttavia ha esagerato con le malversazioni, finendo a San Quintino! E’ possibile che sia fuggito dal carcere e che ora voglia vendicarsi dell’amico che lo ha accusato in tribunale? No, perché Royal è morto un anno prima e proprio il vecchio Rufus ha curato che salma, imbalsamata, venisse sepolta. E allora come si spiegano quelle impronte?

Il vice dello sceriffo Catalin, il droghiere che la comunità di quelle parti ha eletto a fare lo sceriffo e che non sa come muoversi, è Lenny McManus un conoscente di Lake, che da molti anni fa il vice-sceriffo. Proprio Lenny, Stanton e la bella Hilda una notte armati di badili, vanno a dissotterrare la bara di Royal per verificare che sia proprio lui; ma, arrivati sul posto, dopo aver scavato, scoprono che la bara è stata profanata ed il cadavere non c’è più.

Possibile che John Royal sia vivo e che il cadavere fosse di qualcun altro a cui il galeotto si fosse sostituito, prendendone e cedendo la sua identità? La cosa sarebbe possibile, ma cozza con la convinzione di Lake che l’assassino sia invece qualcuno della casa: infatti, nel momento in cui è stato ucciso Theodor c’erano tutti in casa e altissima sarebbe stata la possibilità che un estraneo venisse scoperto. Come ha fatto Royal?

Ora si mette in relazione con la scomparsa del carcerato, un’aggressione subita da Lake precedentemente: qualcuno l’ha aggredito in biblioteca e poi se l’è svignata. Viene scoperto un rifugio segreto, occultato nella parete, utilizzato in passato come armeria, che gli amici di Rufus conoscevano, tra cui Royal. E’ possibile che dopo l’omicidio si sia nascosto lì e solo dopo sia fuggito?

Tuttavia ben presto il sedicente John Royal si rifà vivo. Infatti, Stanton Lake, non avendo risposta dalla bella Maurine, chiusa in camera, che non scende a colazione, con la collaborazione di altri, abbatte la porta della sua camera da letto e la trova prona sul letto, con la faccia bluastra e una delle sue calze annodata al suo collo tanto strettamente da quasi non vedersi che il suo nodo, nella carne enfiata. Il fatto strano è tuttavia che quella camera da letto non ha altre uscite che la porta, chiusa dal di dietro, e la finestra, pure chiusa dall’interno: come ha fatto l’assassino ad uscire?

Stanton Lake riesce però a trovare una botola, nello stanzino dei vestiti, chiedendosi cosa ci faccia lì una sedia: issatosi Lenny, senza toccare il pannello, e penetrato nella soffitta, ben presto trova un’altra botola, scendendo nella camera del dottor Pageot: possibile che il fidanzato della figlia di Raybourne abbia ucciso Maurine? E perché? Ben presto si scopre che i due avevano una tresca, vivevano una storiella di sesso: infatti la bella Maurine è stata trovata con addosso il negligè più trasparente dei negligè trasparenti. Probabilmente stava aspettando il suo amante, che infatti ammette di esservi andato, ma solo per trovarla morta.

Lake, per l’idea che si è fatta, tende a dar credito alla confessione di Pageot, nient’altro che uno squallido cacciatore di dote: però, senza trovare il modo come l’assassino sia uscito, non potrà dimostrare l’estraneità dell’avventuriero.

E intanto, dopo che un cadavere imbalsamato è stato trovato in mare, mezzo mangiato dai crostacei, e dopo che Abe è stato inviato da Lake a procurarsi la scheda dentaria per accertarsi che quel cadavere sia o no quello di Royal, un terzo omicidio avviene in quella dimora: viene trovato ucciso, con un pugnale infisso nel cuore, il vecchio Raybourne. E ancora una volta, Lake si troverà di fronte l’ombra di John Royal, perché ancora una volta le sue impronte si trovano sul manico del pugnale.

Ma chi è John Royal? E’ vivo o morto? E se è morto, quelle impronte come possono essere lì, sul pugnale e sull’attizzatoio?

Lake risolverà il mistero e scagionerà sia Pageot che Hilda Lane, nel frattempo innamoratasi dell’investigatore.

Memorabile il finale: Hilda lo prega di non abbandonarla, ma Stanton che pure sa di essere debole nei suoi confronti, non vuole però perdere la propria soggettività e diventare solo “il marito di Hilda Lane”. E per questo scende dall’auto, e si avvia verso il treno, senza guardarsi dietro. Duro e puro.

Bellissimo romanzo, conserva una tensione immutata per tutta la sua durata, che viene mantenuta molto alta, in virtù di una trama estremamente scoppiettante e mai monotona: tantissimi avvenimenti sconvolgono l’indagine e fino alla fine non si riesce a capire chi possa essere l’omicida, se John Royal o altro, e come allora le sue impronte digitali siano finite sia sull’attizzatoio che sul manico del pugnale.

Carina anche la Camera Chiusa, la cui soluzione pur essendo una variazione di metodo già contemplato da Carr, è purtuttavia molto intrigante per il fatto che per scoprirsi, si debba guardare dal di fuori e non dal di dentro, e dal di fuori non sia facile farlo, perché si sta fuori da una finestra senza balcone, alta almeno sei metri dal viale sottostante.

L’investigatore potrebbe essere un clone di Sam Spade, duro, talora anche sprezzante, che ricorre alle maniere forti, per esempio pestando Pageot per indurlo a parlare dopo la morte di Maurine, debole con le donne, ma al tempo stesso orgoglioso della propria individualità; e Hilda Lane, è la cosiddetta Femme fatale, pronta a far perdere la testa ad un uomo, ma anche a perderla lei, quando lui invece che bramarla la rifiuta; e Inez Raybourne, l’ereditiera, è la cosiddetta donna indifesa, preda delle attenzioni di gente attratta dai soldi, che simula di essere innamorata di lei ma poi invece, di nascosto da lei, ha una storia di sesso con la matrigna della ragazza.

Il maggiordomo cinese è un classico, come un classico è anche la sostituzione di un corpo con un altro (non l’aveva per la prima volta sperimentato Edmond Dantes?); e anche il marito anziano, fatto becco dalla moglie giovane che se l’intende con altro, che a sua volta fà becco la fidanzata molto fragile; e anche la finta medium, che irretisce i creduloni.

Il cadavere che sparisce, potrebbe aver influenzato anche il Latimer di The Lady in the Morgue (che è del 1936, cioè posteriore di un anno rispetto al romanzo di Chambers), e No Coffin for the Corpse di Clayton Rawson (il disseppellimento). Ma a sua volta potrebbe aver preso qualcosa, sempre che si potesse provarlo, da The Greek Coffin Mystery di Ellery Queen (1934) in cui viene disseppellita una bara in cui dovrebbe esserci un corpo imbalsamato; oppure da Into Thin Air (1929) di Horatio Winslow and Leslie W. Quirk , in cui viene disseppellito un corpo per vedere se sia presente o no un oggetto.

Insomma un gran bel romanzo, che si legge appassionatamente.

Pietro De Palma

sabato 5 ottobre 2024

Ulf Durling : L’ospite che non arrivò (Gammal ost, 1971) – trad. Monica Bianchi – Il Giallo Mondadori N.2554 del 1998

 

 


 

Ulf Durling è un nome che ben pochi, sospetto, conosceranno. Eppure ha meritato la menzione nel famoso Mystères à huis clos di Roland Lacourbe, nell’appendice, memore del meeting del 2007 cui partecipò anche l’italiano Igor Longo, e che è espresso nel bellissimo articolo, A Locked Room Library,  del mio amico John Pugmire ( http://mysteryfile.com/Locked_Rooms/Library.html ) . Il perchè è chiaro: in quell’elenco, erano riportate le migliori Camere Chiuse, a parere di un pool di esperti. E Gammal ost ha una gran bella Camera Chiusa, non c’è che dire!

Ulf Durling è uno scrittore svedese, nato nel 1940 a Stoccolma e diventato poi, dopo laurea e specializzazione, un famoso psichiatra. Nel 1971 ha provato ad esordire proprio com Gammal Ost ( trad. Formaggio vecchio) che è stato un grande successo, tanto da convincersi a scriverne altri. E’ tuttora vivente. E’ l’unico romanzo che gli ha pubblicato Mondadori

La trama si svolge in un pensionato svedese, laddove dimorano: il tipografo in pensione, fondatore del Club del Giallo, Johann Lundgren; Carl Bergmann, anche lui socio fondatore, e libraio in pensione, e il dottor Nylander, appartenente al club del giallo; Alex Nilsson; il commesso viaggiatore, Johanson; le due insegnanti, signorina Hurting-Olofson e la signora Soderstrom; il maresciallo dell’esercito Renqvist.

Uno degli ospiti della pensione, Alex Nilsson, 52 anni, già dimorante da alcune settimane nella pensione, è trovato morto nella sua camera, chiusa a chiave dall’interno: giace “completamente vestito, vicino al letto, come se si fosse ferito battendo la testa contro la spalliera…sangue sul viso e sul davanti della camicia. Sul tavolo..una bottiglia di vino rovesciata ed il vino..sparso sul pavimento…e anche sul viso e sulla camicia di Nilsson” (Prima parte, cap.2 pag.21). Inoltre viene trovato nel cestino della spazzatura un pezzo di formaggio; e sul comodino, un diuretico molto potente, il Diclorotride-K. Inoltre c’è un asciugamano macchiato di rosso (solo vino?).

Però qualcuno ha sentito del trambusto in quella camera la sera prima, come se ci fosse stato un litigio: quindi c’era una seconda persona, anche perchè compare la richiesta della stessa vittima di un cerotto, al Signor Blom, il padrone della pensione: eppure non c’è nessuna ferita, neppure piccolissima sul corpo di Nilsson.

Efraim Nylander suppone che la lite sia finita in tragedia, e che l’assassino non si sia neppure accorto di quanto era accaduto: in sostanza, la morte sarebbe sopravvenuta in un secondo momento, e quindi sarebbe stata la stessa vittima a spegnere la radio, rimasta accesa durante buona parte della notte, richiudere la porta e quindi rimanere quindi soccombere per un colpo già precedentemente riportato; Johann Lundgren invece lega il misterioso visitatore di Nilsson a suo fratello Edvin, che sarebbe stato il responsabile di un avvelenamento mortale da metanolo ( un po’ quello che accadde in Italia tanti anni fa), e che sarebbe ritornato per via di una misteriosa eredità e del resto lo stesso Alex Nilsson anni prima era stato ricoverato varie volte per disintossicazione dall’alcool: sarebbe stato ospite del fratello nella sua stanza al pensionato, senza che nessuno lo sapesse e per farlo avrebbero escogitato un trucco, cioè Alex avrebbe finto di essere zoppo perchè il fratello lo era, e in questo modo sarebbe ro stati scambiati l’uno per l’altro e non ci sarebbero stati problemi. I due avrebbero avuto una lite ed Edvin avrebbe ucciso l’altro fratello. Infine Carl propone la sua teoria: la radio accesa durante la notte, avrebbe significato un modo come un altro per Nilsson di addormentarsi a causa del vino bevuto, perche lui aveva un appuntamento col suo assassino che si suppone sia il marito della figlia: Nilsson ricattava il genero e la figlia. In pratica, secondo questa ultima ricostruzione, ci sarebbero state due visite: la prima casuale di un amicone di Nilsson, con cui si mangia formaggio e si beve vino e durante la quale il visitatore si ferisce tanto da far chiedere a Blom da Nilsson un cerotto; poi questo va via ed ecco che avviene la seconda visita durante la quale il secondo visitatore uccide Nilsson e poi, dopo averlo ucciso con un oggetto contundente, salta dalla finestra, utilizzando come materasso delle coperte prese dalla pensione, che poi riporta furtivamente dentro da una porta secondaria.

La seconda parte del romanzo supporta invece la teoria di Gunnar Bergmann, figlio di Carl, e poliziotto (Vice Commissario), secondo la quale la morte sarebbe stata dovuta a cause naturali : una emorragia cerebrale, non causata dalla botta, ma che avrebbe causato lo sbandamento alla base della botta.

La terza parte infine è quella in cui uno dei tre appassionati, il dottor Nylander, rivede la sua teoria precedente e integrandola con tutte le novità apprese, la rimodula: Nilsson avrebbe avuto precedentemente al suo ritorno in Svezia dall’ America, un attacco apoplettico o una emorragia cerebrale, che avrebbe causato una emiparalisi: da qui il movimento claudicante. Inoltre avrebbe sofferto di pressione alta: lo avrebbe fatto rilevare l’ingrossamento del cuore. Proprio alle sue condizioni di salute sarebbe stata connessa l’assunzione del medicinale trovato sul comodino, un diuretico molto potente, il Diclorotride-K. Come avrebbe fatto a morire di emorragia cerebrale un paziente molto assiduo nell’assumere il medicinale prescritto, per di più molto efficace? Per via di un pezzo di formaggio stagionato e di un altro medicinale del tutto innocuo. Efraim Nylander troverà l’omicida, che ha dovuto agire per proteggere la figlia e il suo matrimonio da un passato che non sarebbe dovuto ritornare, con un’azione delittuosa insime semplicissima ma altrettanto altamente geniale.

In sostanza nel romanzo di Durling, le 3 ipotesi sostanziali fanno capo a tre diverse sezioni del romanzo, che inquadrano ovviamente le stesse verità, secondo tre prospettive ed inquadrature diverse:

  1. La prima, elaborata da tre appassionati di Mystery classico, mette in primo piano il fatto che la porta fosse chiusa dall’interno e quindi si dovesse in sostanza spiegare un Mistero di Camera Chiusa: questa prima teoria viene di volta in volta supportata da tre diverse ipotesi che recano a tre diversi postulati accusatori e quindi a tre possibili soluzioni diverse ;
  2. La seconda, approntata da un ufficiale di polizia, figlio di Carl Bergmann, che ridicolizza l’azione dei tre investigatori dilettanti, paragonandola a quella di tre vecchi troppo innamorati dei libri, che ragionano sulla base delle letture fatte, perdendosi per strada: la verità sarebbe purtroppo molto più semplice e banale: morte per cause naturali.
  3. La terza sviluppata da uno dei tre investigatori, il medico, eliminando le ipotesi più fantasiose, riesce basandosi sugli indizi raccolti, a formulare la soluzione, individuando l’omicida, un altro anziano.

Il romanzo è il pretesto per confrontare e raffrontare 3 diversi modi di vedere le cose: lo stesso fatto, con l’aggiunta o la mancata visione di determinati particolari, è passibile di tre distinti, separati e contrastanti giudizi, tre diverse ipotesi con altrettante diverse individuazioni dei responsabili: In sostanza Ulf Durling sviluppa, alle estreme conseguenze, il confronto/scontro presente ne “I tre investigatori” di Leo Bruce, laddove i tre investigatori non sono quelli dei romanzi omonimi pubblicati da Mondadori negli anni settanta ottanta (e scritti in origine da Robert Arthur), ma delle parodie di Poirot, Lord Peter Wimsey e Padre Brown, che parlano e si atteggiano come i loro rispettivi riferimenti originali. Del resto non va dimenticato che già in Berkeley, ne Il caso dei cioccolatini avvelenati, diverse esposizioni dello stesso antefatto, svolte da diversi personaggi, avevano portato a diverse ipotesi con individuazione di responsabili altrettanti differenti. E’ il caso ancora di segnalare, come lo stesso procedimento fosse stato adottato ne I Cinque frammenti di George Dyers (The Five Fragments, 1932) , pubblicato da Mondadori ne I Libri Gialli (Palmine) col numero 110 nel 1935, altro straordinario romanzo assai poco conosciuto; uno stesso fatto, che visto secondo la prospettiva diversa di cinque testimoni, rivela diverse angolazioni e verità.

Anzi mi verrebbe quasi da pensare che, siccome nel romanzo trovano spazio molti riferimenti ad autori del Giallo Classico, cui il romanzo è un omaggio (Bentley, Sayers, Carr, Allingham, Christie, Millar, Brand, Milne, etc..), e addirittura un riferimento alla Conferenza del Dottor Fell in The Hollow Man di John Dickson Carr, potrebbe essere benissimo accaduto che piuttosto che prendere ad esempio Case for Three Detectives di Leo Bruce, egli avesse preso come propria ispirazione, proprio The Five Fragments di George Dyers: potrebbe essere valida sia la prima che la seconda ipotesi, poiché se tre sono le sezioni del libro che sottendono a tre diverse formulazioni dell’ipotesi accusatoria, è anche vero che nel primo caso abbiamo tre diverse sotto-ipotesi, che unita alla seconda e alla terza, assommerebbero a cinque.

Nell’ambito del divertissement, che è quello che poi è, il romanzo è per di più scritto in forma parodistica. Non è un caso unico, perchè almeno in tempi molto vicini a noi, altri autori hanno cercato di portare il loro mattone all’edificazione del palazzo del Giallo, scrivendo dei romanzi in cui i protagonisti sono investigatori dilettanti che prendono le mosse dai libri che leggono: così John Sladek, così Isaac Asimov, così Peter Lovesey, cosi…Ulf Durling.

La Camera Chiusa, viene spiegata, solo nelle prime tre ipotesi della prima parte, perchè esse fanno capo ad una idea di assassinio che preveda la presenza diretta dell’omicida assieme alla vittima, mentre nella seconda, non si parla di omicidio perchè è morte naturale, mentre la terza parte pur inquadrando la morte di Nilsson con un omicidio, esso pur scaturito dal tentativo di salvare qualcuno e quindi di evitare il male, lo provoca, con la premeditazione dell’omicidio di Nilsson, che presuppone che l’passassino non sia presente nella stanza quando muore Alex, che chiude lui la porta a chiave dall’interno e poi muore, per una emorragia cerebrale, causata non da eventi naturali ma da un farmaco sostituito e da un vecchio pezzo di formaggio ultrastagionato, il Cheddar, acocmpagnato da una buona bottiglia di vino.

Tutto sommato un romanzo assai interessante, la cui soluzione è presente già nella prima parte, solo che non è sondata a dovere, e in cui la soluzione finale avviene tra lo stupore del lettore distolto da altro, non avendo avuto il modo per metabolizzare quanto letto.

 

Pietro De Palma

mercoledì 2 ottobre 2024

Richard Forrest : Identikit per un delitto antico ( A Child’s Garden of Death, 1975) – trad. Oriella Bobba – Il Giallo Mondadori N. 1470 del 3 aprile 1977

 

 

 

Molti anni fa, uno Speciale del Giallo Mondadori,dal titolo “L’Ultima Sfida” (N.21 del Luglio 1999) presentò 2 romanzi della Camera Chiusa: uno già famoso ai lettori italiani, “Gideon Fell e la gabbia mortale” (The Problem of the Wire Cage, 1939), di John Dickson Carr;  ed un altro assai meno noto, “Identikit per un delitto antico” (A Child’s Garden of Death, 1975), di Richard Forrest. Tale romanzo, era stato pubblicato, ventidue anni prima, nella Collana Il Giallo Mondadori, col numero 1470, e siccome aveva registrato un buon successo, era stato seguito da  altri romanzi di Forrest 
Questo romanzo fu inserito nella lista delle 99 migliori Camere Chiuse, proposta come appendice a Mystères à Huis Clos (Mysteries In Camera) Omnibus 2007, di Roland Lacourbe.
Ma chi era Richard Forrest?
Poche e scarne le notizie su di lui..
Richard Stockton Forrest,nacque l’8 maggio del 1932. Discendente di Richard Stockton , un firmatario della Dichiarazione d’Indipendenza, fu un dirigente assicurativo prima di diventare uno scrittore a tempo pieno. Visse a Old Saybrook, Connecticut, con la moglie e tre figli. In seguito si trasferì a Charlottsville, Virginia, dove morì il 14 marzo del 2005, all’età di settantadue anni.
Who Killed Mr Garland’s Misteress?, romanzo pubblicato nel 1974, senza personaggio fisso, fu  nominato per un Edgar Speciale nel 1975, come “Best Paperback Original“. Utlizzò anche gli pseudonimi di Stockton Woods, Lee Evans, Rebecca Morgan.
Scrisse più di 24 romanzi – pubblicati in USA, UK, Giappone, Italia, Finlandia, Francia, Germania e Svezia – 8 dei quali basati sulla coppia Lyon e Bea Wentworth, di cui A Child’s Garden of Death, 1975, fu il primo.
Lyon Wentworth, è una figura emblematica di detective: scrive libri per bambini, ama errare per i cieli sul suo piccolo pallone aerostatico (mentre la moglie trema di paura) ma nello stesso tempo ama risolvere degli enigmi.
Non v’è l’introduzione tipica dei romanzi britannici, che descrive l’ambiente in cui si muovono i personaggi tra i quali matura il delitto, ma il romanzo comincia nel momento in cui vengono trovati i resti dei corpi: è da questo momento che comincia l’indagine investigativa.
In una fossa, sulla collina vicino a una strada, nel territorio attorno alla città di Murphysville, vengono ritrovati i tre scheletri di un uomo, una donna, e di quel che sembra una bambina. Accanto al piccolo scheletro vengono ritrovati i resti imputriditi di una bambola con dei pattini, probabilmente una delle bambole che rappresentavano la famosa pattinatrice Sonja Henie.
Tuttavia qui finiscono le tracce. E cosi, il capo della polizia locale, Rocco Herbert, chiama in suo aiuto Lyon Wentworth, un amico scrittore di libri per bambini, che si diletta in investigazioni.
Dai temi della guerra in Corea i due si conoscono: il poliziotto era allora un capitano dei Ranger, mentre Lyon era un agente dello spionaggio dell’esercito, impegnato in operazioni in Estremo Oriente; da allora son stati sempre insieme. Proprio Lyon suggerisce la pista da seguire: per lui questa bambola, costituisce la spia di quando il delitto fu consumato: almeno trenta, trentacinque anni prima. Infatti, tale bambola, anche piuttosto costosa a suo tempo, era di moda agli inizi degli anni ’40; per di più, il costo della stessa, convince che si trattasse di una famiglia non di poveracci.
Rocco, che intravede la possibilità di riuscire a risolvere un caso importante senza interessare la Polizia dello Stato del Connecticut, alletta la curiosità dell’amico, che è piuttosto restio a farsi coinvolgere, facendo leva sul fatto che la bambina, che trent’anni prima era stata uccisa, dovesse aver avuto più o meno la stessa età della figlia di Lyon, nel momento in cui era morta, anni prima.
Lyon si mette al lavoro: non capisce per quale motivo l’omicida avrebbe dovuto trascinare tre cadaveri per una salita scoscesa esponendosi al rischio di essere visto. Per questo, volendo esaminare il territorio, fa una passeggiata “fra le nuvole”: con un pallone aerostatico che possiede, sorvola il terreno, scattando delle foto, prima di finire su un par, durante una partita di golf. Esaminandole assieme al poliziotto, scopre che l’assassino avrebbe potuto trasportare i tre cadaveri direttamente sulla cresta delle collina attraversando una strada che era servita tempo prima per il trasporto di tronchi e che la collegava al lago: proprio facendolo dragare, successivamente vengono trovate un’automobile del 1938 ed una roulotte dello stesso tempo, che confermano le ipotesi di Lyon circa il tempo del triplice delitto.
Tuffandosi nel lago ed esplorando al suo interno la roulotte, scoprono un libro infracidito con una parola ancora leggibile sulla copertina: “Das”; due servizi di piatti diversi, che rimandano a costumanze ebraiche; un set di strumenti di precisione, da tecnici stampisti, e da ciò ricavano che chiunque avesse usato quella roulotte sarebbe dovuto essere un operaio specializzato, ebreo, di origini tedesche, quindi emigrato in America, probabilmente impiegato da quelle parti, ad Hartford. Basandosi su queste tenue supposizioni, ricostruiscono l’identità del tecnico ucciso assieme alla moglie e alla figlia; di come fosse diventato un elemento di spicco nelle officine aeronautiche trent’anni prima per il suo attaccamento al dovere; ma anche di quanto incorruttibile fosse: si chiamava Meyerson. E guarda caso una famiglia Meyerson risultava scomparsa nel 1943: lui aveva lavorato presso la Houston Company e aveva lasciato in banca un conto in banca di tremila dollari senza che nessuno mai si fosse presentato a ritirarli.
Padrone della piccola industria al tempo, poi diventato un magnate delle industrie aeronautiche, è Asa Houston: egli si mette a disposizione della polizia. E dà ordini ai suoi collaboratori di rispondere a tutte le domande della polizia: è Graves, un suo collaboratore, a fornire dei rilievi importanti: Meyerson era stato caporeparto. Un tizio in gamba. Ma poi – dopo una rissa con un altro caporeparto di nome Bull Martin – era andato via dalla città; e lui, Graves, era diventato a sua volta caporeparto.
Ricostruendo la storia di Martin, ipotizzano che questi avrebbe potuto avere una relazione sessuale con la moglie di Meyerson e da qui fosse originata la zuffa.
Martin è proprietario di un ristorante con annesso night, nel quale si svolgono spettacoli di strip-tease, ma anche orge. Rocco interroga Martin, restio a fornirgli informazioni, ricorrendo anche alle maniere forti e ottiene la confessione che sì lui aveva conosciuto Meyerson, e che si era portato a letto la moglie. Rocco, che si illude di avere per il mattino seguente la piena confessione di Martin, nella notte finisce investito da un’auto pirata, e si trova a combattere contro la morte. Toccherà poi allo stesso Lyon, essere sparato da un ignoto killer armato di un fucile: Lyon, per il rotto della cuffia, scamperà alla morte, e riuscirà persino ad uccidere il suo assalitore, scoprendo che si tratta di Martin.
Tutto finito? Per Rocco sì: secondo lui è stato Martin a tentare di ucciderlo e ad aver tentato la stessa cosa con l’amico, perché aveva ucciso lui i Meyerson. Per Lyon invece la verità è più complessa: Martin in punto di morte non gli ha confessato di aver ucciso Meyerson e famiglia, ma solo di aver avuto una relazione extraconiugale con la moglie di lui e di aver cercato di massacrarlo di botte molti anni prima. Solo questo. In verità i suoi sospetti su un possibile ricatto di Bull Martin si rafforzano allorché la moglie di Asa cerca in tutti i modi, ricompensandolo con 5000 dollari, di chiudere la faccenda, tentando di fargli accettare che proprio Bull Martin fosse stato ad uccidere i Meyerson. Questo tentativo di corruzione, lo convince a investigare più a fondo, scoprendo che l’industria di Asa, trent’anni prima costruiva motori per aerei caccia e bombardieri.
Dopo indagini serrate, Lyon scopre una vicenda di corruzione, che aveva riguardato una commessa per l’aeronautica militare, risalente al tempo in cui la famiglia Meyerson era stata trucidata, di motori di aerei, risultati poi difettosi. E, partendo dal fatto che Martin anni prima, fosse riuscito un bel giorno, così quasi per incanto, senza aver mai avuto il becco di un quattrino, a creare un ristorante dal nulla, disponendo subito di molti soldi, Lyon ricostruisce un ricatto. Chi Martin avrebbe potuto ricattare?
Prima che possa arrivare all’identità del ricattato, Lyon scopre un altro ricattatore: Cyprus Coop, un ispettore governativo, che aveva preferito non rivelare che i motori dei B-24 fossero difettosi, in cambio di soldi datigli da Asa, tanti da acquistare una bella villa ed uno yacht. A distanza di tanti anni, Coop, che era stato già contattato da Lyon a proposito del suo incarico governativo presso le Industrie Houston durante la guerra, rivela di aver estorto ad Asa, un assegno extra: Coop ha un tumore maligno e sa di essere alla fine, ma la moglie non lo sa. Egli le vuole risparmiare quello è il suo calvario; e per non soffrire, in alto mare, fuori da sguardi indiscreti, assume morfina. Con i soldi extra di Asa, vorrebbe assicurare alla moglie qualche anno di serenità economica.
Asa è l’assassino dei Meyerson? Messo in difficoltà dalla ricostruzione di Lyon, Asa ammette che aveva tentato invano di pagare il silenzio di Meyerson, ma nega di esserne l’assassino. Purtuttavia è pronto a fare qualsiasi cosa perché il nome degli Houston non venga infangato, e che non abbia a risentirne la bella moglie Helen, già ingegnere presso la sua stessa compagnia.
Lyon lo aggredisce ma viene cacciato dalle guardie della sicurezza.L’indomani mattina Lyon apprenderà che Asa si è ucciso: è stato trovato con una pistola accanto, ed un registratore in funzione con quello che pare un testamento spirituale, nella suo studio chiuso dall’interno.
Lo studio ha due ingressi: quello principale ed uno secondario, entrambi chiusi. Proprio la porta chiusa dall’interno esclude che sia avvalorata altra ipotesi, quella dell’omicidio. Ma un rumore sospetto durante la registrazione del nastro, convince Lyon di un abilissimo tentativo di depistaggio e quindi dell’ipotesi più remota, di omicidio.
Come avrà fatto l’omicida a uscire dalla stanza? E chi sarà mai?
In un finale convulso, verrà prima ipotizzata una spiegazione altamente tecnologica della Camera Chiusa, poi un’altra meno d’effetto, ma definitiva, che inchioderà il vero assassino.
Romanzo veramente notevole, l’opera prima del ciclo Lyon & Bea Wentworth, di Richard Forrest, è un romanzo ibrido, che mischia azione e indagine, hard-boiled e giallo classico, in un connubio senza sbavature, di forte intensità.
La trama, serrata, si snoda senza pause: per essere una delle sue primissime opere, la riuscita è veramente eccezionale. Non so se il ritmo forsennato, in talune sezioni, sia stato raggiunto, eliminando, in un secondo tempo, delle parti ritenute inutili oppure scrivendo il tutto, di getto. Certo è che lo sviluppo del plot si snoda su una girandola di trovate che lasciano il lettore assolutamente incapace di formulare una qualche ipotesi personale, tanto l’azione investigativa è rapida e nello stesso tempo risolutiva.
Parrebbe che lo stile fosse quello di un Pronzini già maturo, o anche di un Kaminski, scrittori in cui l’Hard-boiled di fondo si sviluppa su una base ancora classicamente Mystery: solo che in questi autori, spesso si nota una certa auto-ironia ed un umorismo sottile, che stemperano il dramma narrato. Nel romanzo di Forrest, invece, l’umorismo e l’ironia mancano del tutto: è la rappresentazione di una tragedia, con un prologo, uno sviluppo ed una conclusione altrettanto drammatica, in cui il dolore, la rabbia, la volontà di fare giustizia, sono espressioni cieche sorte alla vista dei resti di una bambina, a cui, come quella di Lyon morta anni prima, è stata negata l’infanzia e la vita. Del resto tra i due, solo Pronzini ha cominciato a scrivere prima del romanzo di Forrest. Ma siccome la prosa di Forrest è molto dolente, sembrerebbe derivata, a mio parere, più da quella di Jonathan Latimer, autore che mischiava azione ad una detection di stampo classico, e in cui mancava qualsiasi umorismo ed anche autocompiacimento. Tuttavia il Crane di Latimer era un detective privato ancora parecchio hammettiano, che risolveva enigmi per campare; il Lyon Wentworth di Forrest, invece, non risolve misteri per vivere, ma più per pensare ad altro che non ai suoi tristi ricordi.
Per di più la Camera Chiusa, intorno alla quale non gira l’intero romanzo, ma solo la sua conclusione, è veramente notevole: non solo per la sua complessità, con una soluzione sbagliata che porterebbe all’individuazione di un certo assassino, seguita dalla soluzione esatta, che reca invece all’individuazione di un diverso colpevole, questa volta giusto; ma anche per la natura stessa della tecnica della soluzione. Ci troviamo dinanzi, ad una soluzione iper-tecnologica, che proprio per la sua complessità verrà poi accantonata, sulla base di una contro-deduzione che metterà in luce come la vittima avesse già previsto la possibilità che la porta potesse essere aperta e violato il suo studio con tutti i suoi segreti, e che pertanto avesse schermato la porta contro un tentativo del genere; e che verrà invece seguita da una soluzione molto più semplice, ma nel tempo stesso che non avrà alcuna falla nella sua costruzione. Soluzioni di questo genere, create per spiegare Camere altamente tecnologiche, verranno anni dopo elaborate da Herbert Resnicow: in Forrest ne troviamo la prima espressione.
A ragione, mi vien da dire, venne inserita nella Lista di Lacourbe!

Pietro De Palma

sabato 28 settembre 2024

Jacques Futrelle. Il Problema della Cella 13 (The Problem of Cell, 1905) – trad. Luigi Viganò – I Bassotti N.6, Polillo Editore, 2002


 

copertine gialli blog 039.jpgPuò mai essere che l’invenzione di un personaggio fittizio abbia potuto mutare la storia? In assoluto no certamente, ma nella fattispecie del genere letterario, sicuramente sì.

Jacques Futrelle nacque in Georgia nel 1875, figlio di un insegnante. Ancora giovane intraprese la carriera di giornalista prima all’Atlanta Journal, poi al Boston Post, poi di nuovo all’ Atlanta Journal. Nel 1895 si sposò: sua moglie, Lily May Peel, in quattro anni gli diede due figli: Virginia nel 1897 e John nel 1899; e intanto i due si erano trasferiti a New York, lavorando Jacques stavolta al New York Herald. Il pellegrinaggio nelle sedi dei giornali non si fermò qui: nel 1904 si era di nuovo trasferito, questa volta a Boston, con il Boston American. Si può dire che proprio l’attività presso questa testata gli fornì l’energia per tentare l’attività dello scrittore a tempo pieno: apparvero infatti, sulle colonne del giornale, le avventure del Professor Van Dunsen, Il genio dei genii, uno Sherlock Holmes all’ennesima potenza, poi riprese nell’antologia The Thinking Machine (1907), seguita da altra The Thinking Machine on the Case (1908). Per strano che possa essere, tuttavia, il personaggio che gli permise di divenire super famoso, non venne mai utilizzato nella stesura di romanzi, e così Futrelle si può dire sia divenuto un’icona, nel genere poliziesco, solo per queste due raccolte. Seguirono anche dei romanzi, ma su quello che egli sarebbe potuto diventare, nessuno può dare garanzia, visto che ancor giovane, a 37 anni, perì nell’affondamento del Titanic, dove si era imbarcato con la moglie, per ritornare dai figli che li aspettavano in America, loro che erano andati in Europa per cercare consensi e scritture editoriali: ebbe appena la forza di farla salire su una scialuppa e poi la salutò, per sempre, fumando una sigaretta, sulla nave già inclinata. La fama postuma di Jacques Futrelle è legata a due fatti che hanno mutato la storia: l’affondamento del Titanic il 15 aprile del 1912, e l’invenzione del personaggio del Professor Van Dunsen, detto anche The Thinking Machine, “La Macchina Pensante”. Tuttavia, nell’ambito della sua opera collettiva, non tutto è conosciuto, tranne uno dei racconti della raccolta del 1907, The Thinking Machine: The Problem of Cell 13 (1905), l’opera per cui Futrelle è passato alla storia. E’ in sostanza la storia di una sfida,quella che il Professor Van Dusen, un essere che dall’aspetto rachitico, dal volto emaciato, ma dalla testa spropositata, dalla fronte larga e da una gran zazzera arancione di capelli, muove a due suoi interlocutori e amici, Charles Ransome e Alfred Fielding, che non credono alla capacità sua, sulla base del solo ragionamento e della logica pura, di sconfiggere ogni avversità, anche la più estrema. Così, quando lo sfidano a fuggire da una prigione sorvegliata, e in particolare dal braccio della morte del penitenziario di Chisholm, lui a sua volta risponde, nella loro incredulità, che evaderà entro una settimana. Anzi, con sarcasmo e sicurezza ostentata, ordina alla cuoca di preparare, a distanza di una settimana da quel giorno, per cena, i carciofi come piacciono a Ransome. Poi entra nel carcere. Il direttore del carcere ostenta a sua volta sicurezza: dal suo carcere non è mai fuggito nessuno, né tantomeno fuggirà. Vi sono sette porte da varcare per arrivare alla Cella n.13, nel braccio della morte, che è chiusa da una pesante porta di acciaio, con delle sbarre al di sotto: nella cella non c’è nulla al di fuori di una brandina. Prima di entrare deve consegnare tutti gli oggetti personali e i vestiti, chiedendo solo: che le sue scarpe siano lucidate, di poter portare una camicia bianca, pantaloni, calze, e di avere delle banconote. Nient’altro. Ben presto comincia a stupire il direttore: viene beccato mentre cerca di comunicare con Ransome, mediante una striscia di cotone, su cui vi è uno scritto incomprensibile, fatto per mezzo di un codice: alla perquisizione della cella risulta che la stoffa è stata strappata dalla camicia, che gli viene sequestrata e sostituita da una giacca carceraria. Ma nessuno tuttavia riesce a capire come e con che cosa egli sia riuscito a scrivere, visto che non viene trovato nulla. Nei giorni successivi lo vedono spesso carponi mentre cerca di acciuffare numerosi topi che entrano nella cella, topolini di campagna: per quale ragione nessuno lo sa. Passano i giorni, e si nota che egli cerchi di corrompere o far passare dalla cella numerose banconote, non del taglio di quello che era stato consegnato all’atto dell’imprigionamento: come avrà fatto a procurarsele, quando nessuno ammette di sapere nulla? Il direttore del resto afferma di fidarsi ciecamente dei propri uomini, e da quello che leggiamo la cosa è perfettamente vera.E allora? Fatto sta che un bel giorno, di notte, sentono un macello provenire da una cella del braccio della morte: pensano si tratti di van Dusen, ma quello dorme beato: il baccano proviene invece da una cella situata esattamente sopra quella dello scienziato, in cui il detenuto, accusato di aver buttato dell’acido in faccia ad una donna, grida la propria colpevolezza, che mai prima d’ora aveva ammesso, sulla base di voci che sono venute a tormentarlo. Una in particolare mormorava: “Acido..acido”. Poi si registra un black-out, mai verificatosi prima d’allora, e, successivamente a ciò, Van Dusen riesce ad evadere, mentre nessuno al di dentro del carcere pare essersene accorto: del resto il secondino, quando si affaccia per controllare, vede una zazzera bionda. E allora? Come avrà fatto Van Dusen,? Il povero direttore, che aveva giurato di dimettersi semmai Van Dusen fosse riuscito nel suo intento, se lo ritroverà davanti, dopo aver chiamato una ditta esterna per eliminare il black-out delle luci del penitenziario, sotto le mentite spoglie di uno dei due giornalisti, (l’altro è Hutchinson Hutch, una vecchia conoscenza del direttore del carcere) che sono appena un attimo prima arrivati. La spiegazione della fuga farà restare Ransome, Fielding ed il direttore del carcere a bocca aperta. E con loro, tutti i lettori che mai si avvicineranno a questo lungo racconto. Una sola cosa anticipo: l’inchiostro e la penna di cui Van Dusen si era servito più volte (altre, in aggiunta alla prima, e sempre su strisce di cotone bianco che non si capiva da dove provenissero e dove fossero state occultate): l’inchiostro era stato formato dal lucido per scarpe grattato dalle scarpe e disciolto in acqua, mentre il pennino di cui il professore si era servito, era stato la punta metallica delle stringhe delle scarpe. Perché il racconto ebbe tanto successo? Innanzitutto il personaggio: Van Dusen è un clone di Sherlock Holmes, ma all’ennesima potenza. Segue un po’ la falsa riga del principe Zalenski di Shiel, un nobile che in forza del suo ragionamento logico riesce a sbrogliare ogni matassa anche la più complessa. Mi sembra che i due personaggi siano molto simili, dal fatto che entrambi rifuggono dall’azione, da cui il personaggio di Sherlock Holmes invece non rifugge. Del resto altri autori del tempo, inventano personaggi che si adattano alla figura di Holmes non solo per doti logiche ma anche temperamentali e fisiche: innanzitutto Gaston Leroux che inventa il personaggio che diverrà famosissimo di Rouletabille, c’è Maurice Leblanc che inventa un personaggio ancor oggi famosissimo, molto letto e molto tradotto: quello di Arsene Lupin, ladro gentiluomo, dotato di requisiti pari a quelli di Holmes, ed in più seduttore di belle donne: in alcune avventure Leblanc gli contrapporrà un clone sfortunato di Sherlock Holmes, Herlock Sholmes, che uscirà sempre sconfitto dal duello con Lupin. Ma anche altri autori inventarono cloni di Holmes e tutti nel periodo agli inizi del ‘900, conseguenza dell’enorme successo del personaggio doyliano: per esempio George Meirs che inventò i due personaggi di William Tharps, “il celebre poliziotto inglese”, e quello di Walter Clarck, pure definito “Il celebre poliziotto inglese”. Ma il personaggio di Van Dusen fu usato per molti racconti: perché proprio questo ebbe particolare fortuna? Beh, io una teoria l’avrei. Secondo me la fortuna di questo romanzo va cercata proprio nel soggetto, la fuga da una cella guardata a vista. In quegli anni anche un altro personaggio faceva parlare i giornali delle sue imprese: si trattava non di un europeo, bensì di un americano. E non si trattava di uno scrittore, ma di un illusionista: Harry Houdini, famoso ancor più per le sue fughe impossibili, che proprio in quegli anni, quelli in cui viene ideato e pubblicato il racconto (1905), raccoglieva ovunque il calore entusiastico delle folle. In particolare, Houdini, dopo esser visuto 4 anni in Europa, nel 1904 era tornato, attorniato da un alone di leggenda, in U.S.A. I tempi, troppo stretti e coincidenti quasi, suggeriscono una filiazione evidente ed una correlazione tra i due personaggi (uno vero: Houdini) ed uno fittizio (Van Dusen). Stabilite le origini, l’importanza del racconto risiede piuttosto nella soluzione della fuga dalla cella, che negli avvenimenti accessori, anche questi spiegati, che hanno una funzione di cornice e servono a spiegare le stranezze, che di per sé attengono all’atmosfera. Non c’è dubbio, ancor prima che si giunga alla soluzione finale, che Van Dusen non può esser fuggito da solo, ma solo ricorrendo all’aiuto di altre persone, che non sono i secondini o il direttore del carcere: del resto una frase finale o quasi, del testo, è rimasta celebre: “Ogni prigioniero ha un amico, fuori, disposto ad aiutarlo ad evadere (op. cit. pag. 59).. E’ altresì evidente quanto il racconto sia importante per la teoria delle Camere Chiuse e per la soluzione di alcune di esse: tra le Camere Chiuse più famose , un posto particolare hanno quelle che si rifanno alla soluzione presente in questo racconto, per essere spiegate, ossia la presenza di un complice che fa sì che il delitto o comunque il reato, che altrimenti non sarebbe stato possibile, risulti impossibile da essere classificato come un omicidio (quasi sempre c’è un delitto) e ancor più come un suicidio: il complice non è l’esecutore materiale, cosa che accade anche nel nostro racconto, ma un fiancheggiatore, un complice che dall’esterno favorisce la fuga dalla camera chiusa del colpevole, mettendo in atto tutte le mosse perché esso non possa essere inizialmente inquadrato. L’ingegnosità, qui, sta dolo nel capire, attraverso quale via, Van Dusen ed X, abbiano potuto stabilire una via di comunicazione: indovinata quella, il tutto diviene estremamente semplice.

O quasi.

Pietro De Palma

mercoledì 25 settembre 2024

Ellery Queen – Una stanza per morirci (A Room to Die In, 1965) – Trad. Maria Luisa Vannucci – I Classici del Giallo Mondadori N. 739 del 1995

 

Room 001 

Come è noto oramai, i due cugini Manny e Danny QUEEN, pensarono ad un certo punto di interrompere la serie di Elley Queen. Probabilmente si vedevano fuori dal mondo, con un Ellery che si barcamenava volente o nolente con enigmi che se rispettavano l’ “enigma deduttivo formale” a dirla con Francis Nevins, risultavano non essere compatibili con l’indirizzo che aveva preso la Crime Fiction dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale: meno enigmi cervellotici, e più azione e violenza. Prima Spillane, poi Ed McBain, avevano stravolto il panorama del giallo, e così alla fine degli anni ’50, i due Queen, dopo aver provato la conversione ad U sul viale del giallo psicologico (vedi Il Gatto dalle molte code), evidentemente si sentivano inadeguati.  The Finishing Stroke (Colpo di Grazia), pertanto, sarebbe dovuto essere “il canto del cigno” della serie. Ma, invece, il romanzo del 1958, rimase l’ultimo solo nelle intenzioni, perché, cinque anni dopo, nel 1963, i due cugini pensarono di riprendere la collaborazione e proseguire la serie queeniana con The Player on the Other Side (Bentornato, Ellery!). Tuttavia, qualcosa non quadrava.

Infatti due anni prima, in sostanza due anni dopo The Finishing Stroke, era stato pubblicato un romanzo dal titolo Dead Man’s Tale (L’eredita` che scotta). Stile radicalmente diverso, sembrava stridere non poco con quell’idea di poliziesco che la serie di Ellery Queen aveva imposto sino a due anni prima. Il bello è che non fu un episodio solitario, ma fu seguito da altri 26 parti di romanzi tutti estremamente diversi, perché – questa l’idea base rivoluzionaria – i due cugini, diciamo Lee, affidarono ad una serie di autori minori, la prosecuzione della loro serie, realizzando una sorta di binario parallelo ma radicalmente diverso.

In sostanza quelli che si è soliti chiamare “apocrifi queeniani”, termine che non rende giustizia all’esperimento, erano romanzi che rompevano sì  l’unità formale dei romanzi sino a quello del 1958, ma (è anche vero) che avevano l’imprimatur di uno dei due Queen, Lee,  che supervisionava il lavoro e trasformava sovente un bell’abbozzo di romanzo, in un bel romanzo.

Tra gli autori, figurarono sovente anche noti autori di fantascienza, imprestati al genere “giallo”, come Edward D. Hoch, Theodore Sturgeon o Jack Vance, oltre che autori di rango hardboiled come Hanry Kane.

Tre romanzi della serie furono realizzati da Jack Vance, “notissimo scrittore di fantascienza.

Molto conosciuto in Italia per i suoi molti romanzi fantascientifici pubblicati nelle varie collane, non ultima Urania, Vance è l’unico tra tutti gli autori coinvolti, ad aver deliberatamente adottato situazioni e tematiche di carattere queeniano”: The Four Johns (Confessa o morirai); The Madman Theory (Il seme della follia); A Room to Die In (Una stanza per morirci).  

Perché li scrisse? In un’intervista, lui rivelò che : “…Because Ellery Queen gave me a flat fee of 3000 dollars for each book. Which was then a lot of money ! I did have to sign a contract never to reveal I actually wrote the books. Theoretically I never took his name. In a way he took my good proze and did everything to let it pass as his own.”

Romanzo degno di nota, A Room To Die In è una variazione di “Camera Chiusa”, non molto ortodossa, ma comunque degna di essere menzionata. Gli apocrifi, e questo romanzo lo conferma, non erano per forza opere di narrativa che dovevano prendere vie diverse da quelle battute dai Queen, cioè non per forza dovevano essere opere alternative al Mystery. Quello che cambia è lo stile di scrittura meno voluttuoso di quello dei Queen denso di metasignificati e il fatto che sono romanzi che hanno vari protagonisti, ma non Ellery. E’ anche vero però che vi sono dei romanzi, inclusi nel canone delle opere queeniane autentiche, che non è che lo siano in effetti! Per es. “The Player on the Other Side (scritto da Dannay insieme a Theodore Sturgeon)” o …And On The Eighth Day(scritto da Dannay insieme ad Avram Davidson) o ancora The Fourth Side of The Triangle o The House of Brass (stessa collaborazione).

Peraltro di Camere Chiuse queeniane, non è che ce ne siano molte: Il Re è morto (The King Is Dead), Dietro la porta chiusa (The Door Between), Delitto alla rovescia (The Chinese Orange Mystery, anche se questo romanzo, in senso stretto non è una Camera Chiusa). Ma la soluzione adottata qui, è al limite: è, cioè nel genere, un’opera di rottura.

Perché? Il modo come la soluzione riesca a fare breccia nella costruzione del plot, è del tutto dissimile dalla costruzione di una Camera Chiusa tout court, come era stata teorizzata da Carr, Rawson, Boucher e Derek Smith. Essa prevedeva in pratica tre possibili momenti (una camera in cui il delitto avveniva prima, una in cui avveniva nello stesso istante  ed un’altra infine in cui la vittima viene uccisa posteriormente) e una serie infinita di trucchi per chiudere la porta o le finestre. Qui invece si ricorre ad una soluzione che sovverte la regola ispiratrice di fondo, che cioè l’assassino fugga da una camera chiusa. Perché?

Roland Nelson è stato trovato morto in casa, in una stanza ermeticamente chiusa, dotata di tali e tanti catenacci e chiavistelli da pensare che egli temesse per la sua incolumità. La sua morte viene lapallissianamente definita un suicidio dall’ispettore Thomas Tarr quando egli ne comunica le circostanze alla figlia Ann, raggiunta da un poliziotto a casa propria.

Per la polizia il caso è chiuso, per la figlia no. E’ lei che non si ferma. Lei conosceva troppo bene il padre, uomo pieno di vita, che non si sarebbe mai ucciso. Eppure la circostanza del ritrovamento del suo cadavere è lì a rammentarle che non può che essersi ucciso. Ma lei non ci crede.

Da chi egli temeva di essere ucciso? Perché sul suo conto bancario risulta un ammanco di almeno ventimila dollari e poi due prelevamenti mensili di mille, come se avesse pagato un ricattatore? E un ricatto perché?

Roland Nelson aveva avuto la figlia dalla convivente Elaine Gluck senza averla mai sposata, ma poi effettivamente era convolato a nozze con una donna ricca, Pearl Maudley. Il matrimonio, per una certa insensibilità di Roland era naufragato ben presto ma lei non aveva voluto divorziare, e così una notte, dopo esser stata dai Cypriano, una coppia di amici, Pearl era morta di incidente stradale.

Roland aveva ereditato una fortuna. Possibile che egli avesse avuto una qualche responsabilità nella morte della moglie e qualcuno lo avesse scoperto? Anche Tarr investiga in questo senso, ma non si trova alcunchè.

La vita privata di Roland viene vagliata a fondo. Era un giocatore di scacchi, che sarebbe potuto anche diventare un ottimo giocatore se solo avesse perseverato e se fosse stato meno spavaldo. Suo abituale compagno di gioco era stato Alexander Cypriano, un eccellente giocatore che, una volta appresa la morte di Roland, si fa vivo presso la figlia invitandola a pranzo. Ann capisce che c’è sotto qualcosa: lei pensa che la ragione possa essere una preziosa scacchiera che ha trovato fra gli effetti personali del padre, intarsiata di ebano con rubini e diamanti, memoria di una grande vittoria in un torneo internazionale. Cypriano dice che era sua e che era stata data al padre dopo uno scherzo. Ma poi scopre che la casa dei Cypriano è ipotecata e che intestataria dell’ipoteca era stata Pearl, da cui era passata a Roland. Solo che questa ipoteca non si trova.

Anche ambigui sono altri due personaggi: il padrone di casa di Nelson, il costruttore edile Martin Jones, e un cugino di Pearl, Edgar Maudley.

 Il primo è uomo sgradevole, che parla male del padre defunto, e offende la figlia; il secondo è un rapace, defraudato del tesoro di famiglia dal matrimonio di Pearl con Roland, un cugino che sarebbe stato erede di Pearl se Roalnd non avesse avuto una figlia riconosciuta. Ora lui è lì a chiederle, quando non imporle quasi la restituzione dei beni di famiglia. Ann non intende approfittare della situazione ma neanche essere presa per scema; e così si accorda sulla spartizione dei beni, soprattutto libri di rare edizioni, contenuti in due grandi librerie a muro addossate alla parete coperta di pannelli di legno, che divide il salotto dal salotto.

Per di più la madre di Ann non si trova. E’ lei la ricattarice? Arriva una sua lettera che farebbe pensare ad un suo arrivo imminente. Ma…nulla.

Inoltre altre cose non quadrano.

Innanzitutto gli spari: se ne sono uditi tre la notte in cui presumibilmente è morto Nelson, ma solo uno lo ha ucciso e non c’è traccia degli altri due: né proiettili, né bossoli. Poi la questione dell’ipoteca: si viene a scoprire che è stata stracciata da Roland dopo lui e Alexander si son giocati a scacchi Jehane, la moglie di Alexander che si scopre essere stata la compagna di letto di Nelson, Roland ha vinto, lei si è rifiutata, il marito ha offerto la sua preziosa scacchiera al rivale, e quello ha stracciato l’ipoteca come a suggellare la fine di una relazione (quella con l’amante). E infine le orme lasciate sul pavimento: Ann nella sua ricerca disperata di verità, analizzata l’impossibilità della situazione di morte del padre, e passato a setaccia tutto, concentra la sua azione sulle due librerie e si accorge che per terra ci sono una serie di orme circolari: ce ne dovrebbero essere sei e invece nove ne trovano, nonostante le pareti siano solide.

Dopo altri due omicidi (il marito di sua madre Elaine, Harvey Gluck, strangolato al posto di Ann, nel bagno dell’appartamento di Ann; e la madre Elaine,  strangolata tre mesi prima e rinvenuta nel bagagliaio della sua auto, abbandonata in uno sfasciacarrozze), sarà Ann a capire movente dell’omicidio e soluzione, e quindi il colpevole e a consegnarlo a Tarr, di lei perdutamente innamorato.

Bel romanzo, ha un finale che richiama in certo modo la letteratura francese anni trenta: l’assassino si trova nel momento in cui si capisce come sia stata posta in essere la Camera Chiusa, perché la sua azione delittuosa lo individua come il solo che avrebbe potuto in quel contesto realizzarla. Al di là di questo, il romanzo fila che è un piacere, anche se si riscontra in più d’una occasione come ben altra sarebbe stata la densità del romanzo, se questo fosse stato tradotto integralmente. In verità il romanzo consta di circa tra le 160 e le 180 pagine mentre l’edizione tradotta negli anni sessanta è di circa centoquaranta (sicuramente qualcosa è stato tagliato): probabilmente nella versione originale si parlava di più di scacchi, mentre qui pochi righi è tutto quello che resta per spiegare il titolo originario. La versione originale del romanzo, il cui titolo originale era “Death of a Solitairy Chess Player”, aveva più o meno lo stesso numero di pagine.

Innanzitutto l’indagine vera e propria la porta avanti Ann: è lei che scova, è lei che cerca, è lei che rischia, è lei che risolve. La polizia si limita ad un’azione più che altro di conferma e di eliminazione di false piste, con le sue indagini. Poi..interessante è la struttura del plot: di Camera Chiusa si parla all’inizio, in occasione del ritrovamento del cadavere; poi si parla di altro: ricatto, altri personaggi del dramma. Poi ritorna il discorso sulla Camera Chiusa, e ancora una volta ci si allontana da essa, e questo distendere e contrarre la corda va ancora avanti: è come se la Camera Chiusa, pur non parlandone sempre, condizionasse l’andamento del romanzo, perchè alla fine, tutto ciò di cui si è parlato, e che si è stati indotti a pensare che servisse a distrarre il  lettore allungando il brodo, in realtà si ritrova nel finale. Semmai altre sono le caratteristiche che sostanzialmente fanno capire la differenza con un prodotto firmato dai due Queen: Vance è lineare nella sua tenuta ma si vede lontano un miglio che non era uno scrittore versato al Mystery. Da cosa? Dal suicidio.

La polizia, finchè non viene provato il contrario,  sostiene la teoria del suicidio. Per il fatto che il corpo sia stato trovato in una camera ermeticamente chiusa, con una ferita a bruciapelo. Il bello è che non spiega affatto il tutto: strana questa polizia! Ancor più strana da quella che viene fatta agire in un qualsiasi romanzo firmato da due cugini: si è sparato? E il guanto di paraffina? E’ stato fatto? No. Perchè? Forse – pensa il lettore – si era talmente convinti di ciò da non averlo fatto. OK. E la ferita a bruciapelo? Come è stato possibile che l’assassino potesse sparare a bruciapelo alla vittima senza che lei opponesse resistenza? Senza che si trovassero segni di lotta, graffi, o peggio che la vittima fosse stata tramortita o drogata. Nulla. Nulla per spiegare ciò. Ben strana questa polizia! Per di più il medico legale, che entra sempre nelle indagini di Ellery (Sam Prouty) nella sua figura caratteristica, qui non si vede. E’ come se ingenuamente Vance ponesse degli assiomi senza dimostrarli, cosa che invece rientra nella normale procedura di impianto e risoluzione di un romanzo poliziesco classico. E la pistola? Una calibro 38. Non si sa se fosse o no della vittima. Non si sa come possa essere entrata, se è suicidio. Ecco tutto questo non è spiegato nel romanzo.

Insomma…

Resta la soluzione, carina. Ma poi ti accorgi che è tutto un bluff. Perchè l’assassino non è riuscito per nulla ad uscire da una camera sbarrata, semmai l’ha creata lui.

Pietro De Palma

lunedì 23 settembre 2024

John Dickson Carr : L’assassinio dei proverbi (The Proverbial Murder, 1943?) – senza trad. – in I Gialli di Ellery Queen, Garzanti, N°2 Febbraio 1950

 

AVVERTO I LETTORI CHE ESSENDO UN’ANALISI DETTAGLIATA DEL RACCONTO , NON POTRò PRESCINDERE DAL RIVELARE L’ASSASSINO. PERTANTO CHI NON ABBIA LETTO IL RACCONTO, RIMANDI LA LETTURA DEL PRESENTE ARTICOLO 
 
 

Si era in un’epoca in cui il sospetto era dietro l’angolo, e i venti di guerra stavano per soffiare impetuosi.
In quel 1939 in cui lo scellerato patto Molotov-Ribbentrop portò all’occupazione della Polonia e al suo smembramento, John Dickson Carr probabilmente firmava un suo storico racconto, pervaso di atmosfere spy e con un delitto che diventa impossibile solo un attimo prima della soluzione. ma che resta un capolavoro di ingegno e di indizi fulminanti anche se criptici.
The Proverbial Murder uscì prima nel 1943 in E.Q.M.M. e poi nel 1947, nella raccolta “Fell, Detective and Other Stories“.
Nel 1991 fu pubblicato, da Crippen & Landu, in una raccolta firmata da Doug Greene, “Fell and Foul Play“. Riporto parte delle note firmate da Doug perchè mi sembrano abbastanza indicative per confutare innanzitutto la data di pubblicazione originale, che non deve essere stato il 1943 ma qualche anno prima se è vero che l’editore affermò che il racconto veniva in  quell’anno pubblicato anche negli USA:

During the First World War, Dr. Fell acted as a spycatcher. According to The Mad Hatter Mystery, he seems to have specialized in uncovering secret means of communication; he caught a University of Chicago professor who had recorded information on the lens of his spectacles, and a naturalist whose drawings of butterflies contained the plans for British minefields. It was thus natural that he became involved in the espionage surrounding “The Proverbial Murder.” This story is a source of frustration for Carrian bibliographers. Its earliest known publication was in Ellery Queen’s Mystery Magazine, July 1943. The editor’s preface says that it is “here published for the first time in the United States,” and it seems likely that it was previously published in Britain. Repeated searches, however, have failed to find it, and all that can be said is that the story probably takes place shortly before the declaration of war in 1939 or during the so-called Phony War between October 1939 and Spring 1940 when Hitler was digesting his conquests in Poland and at least publicly paying little attention to Britain and France. 
Il racconto inizia con un appostamento: l’Ispettore Ballard del Reparto Speciale della Polizia Metropolitana, assieme ad un suo uomo, il sergente Buck, sta controllando con il binocolo la casa del prof. Meyer, uno scienziato atomico tedesco, che una nota informativa afferma non solo essere una spia ma in procinto anche di incontrare un suo contatto. Questa soffiata viene ritenuta attendibile perchè a farla è stata addirittura la moglie di Meyer. 
Mentre i due controllano, ecco che si sente distintamente un colpo d’arma da fuoco, che viene riconosciuto essere stato prodotto d aun fucile da guerra. I due focalizzano i binocoli ed ecco che vedono distintamente un foro nel vetro della finestra preso al quale era intento a scrivere la vittima, la tendina della finestra agitarsi ed un foro sulla sua tempia destra.
Accorrono in tempo per portare soccorso alla moglie ormai vedova.
L’azione si sposta e cambia scenario: ora assistiamo ad un colloquio tra il colonnello Penderel, vecchio amico del dottor Fell, e sua figlia Nancy. Il colonnello ipotizza che potrebbe essere arrestato per l’omicidio del dott.Meyer, dato che hanno avuto una lite qualche tempo prima e che è stato ucciso con un fucile militare cal. 8 , che proprio lui ha nella rimessa. Le circostanze parrebbero essere contro di lui, se è vero che la sola chiave che apre la rimessa non solo è Yale ma è anche di esclusivo suo possesso ; e che il fucile gli è stato richiesto da Ballard per essere portato via. La situazione precipita quando, proprio Ballard, gli annuncia  che il proiettile che ha ucciso Meyer è stato sparato proprio dal suo fucile. A rendere la situazione ancora più tesa, contribuisce anche Kuhn, un amico di Nancy, inglese di origini tedesche, che sembra avere parole di elogio per chi compie azioni gloriose fascendo la spia.
A questo punto abbiamo almeno due sospetti: Penderel e Kuhn.
Ecco che però chi arriva? Fell, tutto ammantato di bianco – siamo in estate – che trova il modo di asciugarsi il sudore con un fazzolettone rosso. E di dire due cose che lasciano a bocca aperta: parla di muschio secco e di gatti impagliati.
Cosa c’entrerà mai il muschio secco e un gatto impagliato in questa storia? E cosa c’entrerà mai un tiro a segno personale? E soprattutto, come, una tendina dentro la stanza, si è potuta muovere , all’atto dell’omicidio del professor Meyer, per effetto di un proiettile sparato dall’esterno? E come ha fatto qualcuno  ad uccidere adoperando un fucile tenuto in una rimessa, di cui altra persona aveva la chiave, non forzando la serratura?
Rispondendo a questi interrogativi Fell inchioderà un assassino, diabolico non solo per aver ordito un piano di una complessità rilevante, ma anche per essere riuscito a strornare i sospetti da sè in quanto spia e averli fatti concentrare su altre due persone innocenti: la vittima, e il presunto assassino.
Dico subito che questo è uno dei racconti più straordinari che abbia letto negli ultimi anni, di una sottigliezza senza paragoni.
L’assassino agisce sotto due piani distinti: innanzitutto, appena le indagini della polizia si concentrano nella sua direzione, pur non avendone inquadrato l’identità, offre ai Servizi segreti un perfetto soggetto che possa essere ritenuto spia ; e poi lo uccide, facendo ricadere la colpa su altra persona, in virtù di uno stratagemma assolutamente mefistofelico.
Alla comprensione dei fatti concorre ancora una volta il Gross.
 

Hans Gross, il padre della Scienza Forense, scrisse nel 1893 Handbuch für Untersuchungsrichter als System der Kriminalistik (Manuale di scienze criminali per magistrati inquirenti). Il testo che è il punto di partenza della criminologia forense, e quindi anche dei metodi scientifici degli organi inquirenti (giudici ma poi anche polizia), è ovviamente citato in moti romanzi della GAD: innanzitutto S.S. Van Dine lo cita in The Canary Murder Case, in The Greene Murder Case e anche in The Kennel Murder Case; viene anche citato da Augusto De Angelis, almeno in Il do tragico, e da Helen Reilly in Dead Man Control. Anni dopo lo cita H.R.F. Keating nel suo The Perfect Murder ma anche recentemente lo ha citato Stefanie Pintoff nel suo In the Shadow of Gotham.
E proprio nel saggio del Gross è citato l’espediente che concerne il muschio secco. Quando Fell lo cita, ecco che interviene Penderel a confermarlo:

Colonel Penderel’s eyes opened wide, and then narrowed.

“Moss!” he said. “By the Lord Harry, dry moss! I must have been halfwitted. Wrap the bullet in dry moss. It doesn’t touch the inside of the gun, and no marks are left. The combustion ignites and destroys the moss: so that there’s nothing left except a fouled barrel.
La presenza del trattato del Gross, a parere mio, legittima anche la presenza di Fell, anzichè di Merrivale. Noto che questa è una di quelle storie di Carr in cui la parte spy entra dalla finestra (come Strictly Diplomatic) e quindi a rigor di logica, la presenza di Merrivale sarebbe dovuta essere legittima. E anche l’abbigliamento di Fell non è consono: vestito di bianco non l’ho mai visto, Fell è sempre vestito di scuro, con la sua cappa, che qui non c’è. Il colore bianco è funzionale al fatto che è estate, ma anche all’abbigliamento con cui di solito troviamo Merrivale. A me sembra come se in un primo tempo fosse stato pensato Merrivale, e poi solo dopo Carr abbia pensato a Fell. E la ragione potrebbe essere proprio il Gross: perchè Merrivale come capo del controspionaggio militare, avrebbe anche potuto non conoscere il Gross, ma Fell no, perchè è un uomo di legge. E qui, tutto gioca intorno a quel trattato e a quel che Carr dice che è riportato ad un certo punto (conoscendo come Carr si documentasse, l’espediente può essere sicuramente vero), cioè l’uso del muschio secco per evitare che ai segnir riportati su un proiettile usato, se ne aggiungano altri.

Ma al di là del Gross che apparentemente è l’elemento centrale, quello che lo è veramente di questa  storia, è il cammuffamento. Lo vediamo espresso da più caratteri:

innazitutto Ludwig Meyer, onesto scienziato dedito alla conoscenza e rifugiato che qualcuno pensa bene di trasformare in una spia; questa persona che trasforma Meyer in una spia (ma forse lo è davvero) è addirittura la moglie, inglese, ma che potrebbe essersi cammffata da inglese per nascondere la propria anima tedesca, di cui elementi rivelatori potrebbero essere gli occhi azzurri ,i capelli biondi e la carnagione rosea; pure Kuhn che è sempre stato inglese, potrebbe essersi cammuffato da inglese per tradire il suo paese, anche se lui non porta un cognome inglese ma tedesco e rivendica orgogliosamente le sue origini; Fell è cammuffato da Merrivale (l’abbigliamento bianco è più consono al secondo che al primo); il gatto impagliato è un altro elemento cammuffato: infatti potrebbe esser stato utilizzato come cassaforte di documenti segreti, dice Fell; lo strumento del delitto è un’altra espressione di cammuffamento: viene utilizzato un proiettile già usato su un diverso tipo di bossolo;  come pure l’arma è espressione di cammuffamento: il proiettile cammuffato viene usato su un diverso tipo di fucile; infine quando pare che tutto sia finito, Fell  esprime oltre che un giudizio squisitamente personale anche una rara valutazione politica, dei fatti del suo tempo, che a parere nostro incarna il pensiero di Carr e che è in sostanza il fine ultimo cui tende tutta la storia e di cui è espressione l’assassino che fugge via, che a sua volta non è altro che un grosso personaggio politico del tempo cammuffato.
A questa chiave di volta del racconto si arriva in virtù anche dei tre proverbi che vengono citati nel corso del racconto da Fell. A indicare direttamente l’assassino è il finale, ma anche gli altri due, menzionati prima, sono interessanti:
il primo è a rolling stone gathers no moss, in sostanza..una pietra smossa non fa muschio: è un vecchio proverbio che significa che “chi viaggia sempre e cambia lavoro continuamente non ha alcuna responsabilità ma non ha anche un posto dove stare”. Questo proverbio è pronunziato quando si sta parlando di Meyer che è una spia, ma potrebbe intendersi anche nei confronti di Kuhn; il secondo invece è direttamente connesso a Kuhn, in forma di domanda: birds of a feather flock together? e il suo risultato è chiarissimo:  uccelli dalle stesse penne volano assieme? 
In sostanza Fell pensa che Kuhn possa aver provato una specie di amore nei confronti della Meyer. Il primo proverbio potrebbe significare che lui che ha viaggiato moto, ha sentito il bisogno di fermarsi e di stare con qualcuno. Il secondo proverbio è ancora più diretto: Fell vuol sapere se  lui stia dalla parte della donna. Kuhn cerca di discolparsi ma fa una gaffe clamorosa: dice che chi fa quelle cose, compie azioni gloriose. E’ evidente che egli non si riferisce a Ludwig Meyer perchè prima aveva detto, quando aveva sentito il primo sparo, quello fatto dal giardino contro la finestra da Harriet, che non era accorso perchè il sangue non era il suo nè la sua razza. E’ evidente che egli disprezzi lo scienziato che non è di razza ariana, e invece apprezzi la donna che lo è, pur essendo inglese. L’affermazione fatta dinanzi a Fell, Ballard, Penderel, e Nancy, tuttavia volendola esaminare, può significare anche altro. Come faceva lui a sapere che compiva azione gloriosa? Evidentemente, pur non avendo collaborato con la donna, Kuhn ha capito che era una spia. Non è intervenuto allora, e non interviene neanche quando ella viene arrestata, perchè non è affar suo, non è tedesca, è una questione britannica. Fell capisce tuttavia che Kuhn è una persona sincera, tutta d’un pezzo, onesta, anche se orgogliosa della sua razza e di appartenere ad altro popolo e perciò gli si rivolge dolcemente, e gli dice che nei suoi confronti non ha nulla perchè è un tedesco onesto.. Ma anche se così non fosse, è meglio avere rapporti chiari con nemici leali, che si dimostrano all’esterno essere per quello che sono, cioè di una razza diversa, che non con chi invece è inglese ma rema e trama contro (come Harriet Meyer).

Fell dice infatti:

“You would not,” said Dr. Fell softly, “you would not like her to get away?”

“I cannot say,” said Kuhn, whose face had lost its color. “I do not know. She is a compatriot of yours, not mine. It is none of my affair.”

Dr. Fell stowed away his handkerchief.

“Sir,” he said gravely, “I know nothing against you. I believe you to be an honest man.”

Kuhn ducked his head, and his heels came together.

“Even if you were not, you fly your own colors and present yourself for what you are. But there,”—he pointed his stick in the direction Harriet Meyer had taken,—“there goes a portent and a warning. 
Tuttavia, per me, Harriet Meyer, è il supremo cammuffamento. Tutti i cammuffamenti della storia fanno riferimento a questo che è la chiave di volta di tutto. Carr voleva dire dell’altro, e ha detto dell’altro, attrraverso Fell. Ma siccome non poteva e non voleva fare nomi, ha usato un personaggio fittizio come paravento: il suo discorso è chiaro.
The alien we can deal with. But the hypnotized zealot among ourselves, the bat and the owl and the mole who would ruin us with the best intentions, is another thing. It has happened before. It may happen again. It is what we have to fear; and, by the grace of God, all we have to fear!”.
La traduzione italiana è alquanto strana. Infatti traduce:
Ma i fanatici invasati, le talpe e le tarme che ci rovinerebbero con le migliori intenzioni sono un’altra cosa. E’ già capitato e può ancora capitare. Ed è ciò che dobbiamo temere. Ciò che tutti dobbiamo temere.
Dico strana perchè nel testo inglese di tarme non se ne parla proprio. Si parla di pipistrello, gufo e  talpa.
Il discorso di Fell è da intendersi come un avvertimento affinchè le trame di collaborazionisti e di gente che pur non essendolo e pur comportandosi con le migliori intenzioni, favorisce i nemici dello stato, non riescano. Secondo me quei tre animali stanno a rappresentare delle persone del tempo : in particolare il pipistrello, creatura della notte, che si nasconde, potrebbe aver voluto indicare  il Duca di Windsor, già Edoardo VIII, che aveva amicizie fino-naziste e che fu ospitato nel 1937 durante il viaggio di nozze,in Germania da Adolf  Hitler. Non a caso il monogramma dei Duchi di Windsor è

 
 
che in forma stilizzata ricorda un pipistrello.
E come il pipistrelloi potrebbe aver voluto rappresentare il Duca di Windsor, il Gufo, The Owl, potrebbe esser stato scelto per indicare un uomo politico con folte sopracciglia, per es. Sir Neville Chamberlain; la talpa, infine, che potrebbe indicare una spia, potrebbe aver voluto indicare parecchia gente: da Lord Halifax, ad altri personaggi: per es. Oswald Mosley; Harold Sidney Harmsworth detto anche Lord Rothermere; fino a Unity Mitford, una delle figlie del 2^ Barone di Redesdale. E forse, si voleva riferire propria a quest’ultima. Unity era bellissima, bionda, occhi azzurri.Sembra le Meyer. E come la Meyer, era una inglese votata alla causa del nazionalsocialisno (tanto da essere l’amica di Hitler). Quindi una traditrice, una spia, una talpa.

Come è probabile che l’espressione  It has happened before secondo me si riferisca alla vicenda del Duca di Windsor ex Re Edoardo VIII, che opinione comune dice essersi dimesso per sposare Wallis Simpson, ma che secondo molti invece fu costretto ad abdicare per le sue ingombranti amicizie neonaziste.
Il terzo dei tre proverbi, pronunziato da Gideon Fell negli ultimi due righi del racconto, è:  Haven’t I heard somewhere that people who live in glass houses shouldn’t throw stones? che poi significa “non ho sentito da qualche parte che chi vive in case di vetro non dovrebbe tirare sassi”, cioè “non avete mai sentito che chi vive in case di vetro non dovrebbe mai tirare sassi”, che poi significa ” non dovrebbe dire ad un altro che ha una pagliuzza nell’occhio, chi abbia una trave.
Questo proverbio si riferisce direttamente all’assassino: esso lo indica non solo in maniera allusiva, attraverso il proverbio, ma diretta: infatti nel corso del racconto, l’assassino, che è chiaro chi sia, ha rotto deliberatamente il vetro di una finestra.
Siccome è chiaro da tutto quel che si è detto che l’assassino è la moglie dello scienziato, Harriet Meyer, inglese ma anche spia nazista. si può anche capire ala luce di ciò un passaggio criptico della storia : quando il Colonnelo Penderel viene accusato da Ballard di aver in pubblico minacciato di uccidere Meyer, lui risponde che la cosa si era verificata perchè lui ad una festa  a casa di Penderel, aveva asserito che gli inglesi non avevano, gusto, educazione. modi, cognizioni scientifiche. Perchè avrebbe voluto dire questo Meyer?
A parer mio, le possibilità sono due: o Leonard Meyer è la spia  e questo spiegherebbe perchè Penderel noti che pur essendo scappato dalla Germania in grande difficoltà, sembra che non gli manchi nulla, in altre parole che sia un falso reduce: e allora il suo assassinio potrebbe anche spiegarsi con un innamoramento della moglie con Kuhn (la riproposta del vecchio triangolo: la moglie giovane uccide il marito per averene uno più giovane; oppure Leonard Meyer è un vero reduce, usato come paravento per coprire la moglie, la vera spia, e allora le sue parole contro Penderel potrebbero nascondere uno sfogo contro il Colonnello cha ha amici tedeschi (nazisti). Questa seconda possibilità che è la più plausibile, metterebbe sotto una certa prospettiva tutto il racconto di Carr, che potrbbe essere tutta una metafora dell’ Inghilterra del suo tempo, in cui accanto a onesti patrioti, cospirava gente che avrebbe preferito che l’Inghilterra fosse statta bombardata e avesse chiesto l’armistizio ai tedeschi, piuttosto di ritrovarsi gli americani in Europa e in cui vi era una largha parte della classe dirigente che era amica, invitava nazisti (come Penderel che invita Kuhn) ed era invitata dai nazisti, dall’erede al trono d’Inghilterra ad una larga parte dell’aristocrazia (imparentata con l’aristocrazia tedesca). Questa parte della nazione è il vero cancro (Harriet Meyer), perchè agisce nell’ombra per fini contrari allo Stato, più di chi, pur essendo nemico (Kuhn), agisce però lealmente alla luce del sole (e quindi può essere combattuto a viso aperto).
Traduzione molto buona e fluente (pur con qualche libertà).


Racconto STRAORDINARIO.

Pietro De Palma

martedì 3 settembre 2024

Paul Harding : La torre delle tenebre (Candle Flame, 2014) - trad. Mauro Boncompagni. Il Giallo Mondadori N° 3242, 2024

http://blog.librimondadori.it/blogs/ilgiallomondadori/files/2024/07/cover.jpg

 

Dopo due anni, ecco un nuovo Paul Harding (pseudonimo di Paul Doherty), con Brother Athelstan. Va da sè che è la serie più pubblicata in Italia, quella di Athelstan. Oramai la serie di Kathryn Swinbrooke (firmata C. L. Grace), può dirsi virtualmente terminata, ferma com'è a vent'anni fa. Le due serie più prolifiche ad oggi sono quella appunto di Fratello Athelstan (firmata Paul Harding) che Mondadori ha pubblicato quasi interamente, mancando solo gli ultimi otto romanzi, e quella di Hugh Corbett di cui in Italia sono stati pubblicati quattro romanzi da Hobby & Work e uno solo da Mondadori, a fronte di una serie di 23 romanzi pubblicati. Ma vi sono molte altre serie (ricordiamo anche quella ambientata in Egitto, Saga Amerotke, di sette romanzi in tutto di cui ne furono pubblicati cinque da Mondadori ).

Anche questo nuovo romanzo dal titolo originale Candle Flame, precorre di qualche mese la grande rivolta del 1381, scoppiata nel maggio del 1381.

La storia è incentrata sulla Candle-Flame, una maestosa taverna, costruita col sangue delle spedizioni in Francia, nel corso delle quali il suo proprietario, l'oste Simon Thorne, era stato capitano degli Hobelar. 

Proprio questa taverna viene presa in affitto da uno dei due Ufficiali Esattori del Regno, Edmund Marsen, dal suo scriba Mauclerc, e dalla loro scorta armata formata da un capitano degli arcieri Hugh di Hornsey e da 5 arcieri. Marsen ordina ogni ben di Dio per lui, il suo scriba e anche per i suoi uomini, ma di notte accade qualcosa, di strano: la guardia di due arcieri fuori dal barbacane, è immobile (i due sono stati uccisi in men che non si dica e nessun rumore proviene dalla torre, che è chiusa dall'interno, sia la pesante porta, sia la finestrella, sia si vedrà la botola che da sul tetto). Qunado riescono ad entrare con un artificio dall'esterno delal finestrella, trovano un massacro: tutti passati a fil di spada, comprese due prostitute mezze nude. Manca solo Hugh di Hornsey che non si capisce dove sia andato e se sia stato lui a commettere la strage.

John di Gaunt incarica Fratello Athelstan e il Coroner di Londra, Sir John Cranston, di appurare come si siano svolti i fatti, chi sia stato ad uccidere i sette uomini e le due prostitute, e soprattutto abbia sottratto la cassa piena zeppa di oro e argento, che doveva portare  nuova liquidità nelle casse sovrane.

Athelstan dovrà muoversi in un ginepraio di sospetti, dovendo innanzitutto capire se la strage sia da addebitare a Beowulf, il misterioso assassino, che ruba e uccide i ricchi normanni, erede della tradizone sassone, che pare si sia alleato agli Uomini Retti, i rivoltosi che si stanno armando per una insurrezione che molti temono, e di cui fanno parte anche alcuni parrocchiani di Athelstan, tra cui Watkin e Pyke, oppure se ad uccidere gli uomini e a rubare il tesoro sia stato altro soggetto. Ma dovrà anche capire il ruolo di Fratello Roger, un francescano che si muove sullo sfondo di questa prossima ribellione, e di Marcel, un domenicano che Athelstan ha conosciuto, e che è diventato inquisitore, incaricato dal Pontefice di verificare la sostanza dell'eresia dei Lollardi e di Wycliffe. E dovrà anche scoprire chi ha ucciso un marinaio, in possesso di informazioni sulla flotta inglese nel Tamigi, e chi abbia ucciso prima Scrope, il medico chiamato per analizzare i cadaveri dei sette uomini uccisi dentro e fuori del Barbacane, e poi il menestrello Ronseval che seguiva Marsen e il capitano degli Arcieri Hugh di Hornsey, nella chiesa di Athelstan. E anche Lascelles, il braccio destro di Thibault, Magister Secretorum di John di Gaunt. 

E se tutto si inserisca in un vasto piano, perchè e come. Oltre tutto, non solo non si sa come l'assassino abbia ucciso i cinque uomini e le due prostitute nel Barbacane, evadendo a porte sprangate dall'interno, ma anche come abbia fatto ad uccidere Scrope trovato trafitto da un dardo di balestra nella sua stanza chiusa dall'interno.

In mezzo a peripezie di ogni genere, in cui anche gli Uprights Men e soprattutto John Strike, Simon Grindcobbe e Wat Tyler, si muovono sullo sfondo di un'alzata popolare sempre più temuta, Athelstan e Cranston, scopriranno assassini e assolveranno e condanneranno i responsabili dei vari fatti luttuosi descritti nel romanzo.

Gran bel romanzo di Doherty (e una bella prova di Mauro che traduce si può dire tutto): viene da dire, come faccia Doherty a sfornare talvolta uno due romanzi all'anno, che abbiano una struttura narrativa così complessa ! In sostanza qui abbiamo due assassini che agiscono ognuno per proprio conto, e le loro gesta sono facilmente separabili: il primo che opera la strage del Barbacane, lo fa essenzialmente per cupidigia, per impadronirsi dell'oro; il secondo, per motivi "politici" (sarebbe quello che oggi definiremmo un "terrorista"). Il primo uccide anche gli altri tre e quindi in sostanza uccide da solo 12 persone, il secondo uccide Lascelles, il braccio destro di Thibault, con un agguato, e tenta di uccidere lo stesso Thibault. E poi c'è una spia francese, che è un personaggio di rango; e poi anche l'eresia di Wycliffe e dei Lollardi. E riesce a creare un magnifico arazzo comune.

Le due camere chiuse non hanno grado uguale di comprensibilità e difficoltà: la prima è molto complessa e difficile da capire, quella del Barbacane, e oggettivamente a me pare che Doherty per spiegarla, si arrampichi sugli specchi; la seconda, è  geniale nella sua semplicità: si appaia a quelle tipo He Who Whispers di Carr o Envious Casca di Heyer, che però comtemplavano omicidi con stiletti sottilissimi; qui invece è il caso di un delitto perpetrato con un dardo da balestra. Proprio la presenza di una serratura con grossa chiave, mi aveva fatto venire in mente il delitto di The Judas Window di Carr, ma queato di Doherty è geniale (e quasi originale) perchè unisce due momenti distinti che assieme creano l'impossibilità. 

Per il resto si tratta di un altro dei fantastici romanzi di Doherty, dotati di una grandissima atmosfera data dalla sua quasi unica capacità di creare delle ambientazioni così vivide da far pensare che le abbia vissute personalmente quasi sia un Viaggiatore del tempo: non solo è un grandissimo romanziere e ha una penna duttilissima, ma è anche un grande storico, che conosce tutto del tempo, persino i costumi di vita, vorrei dire un Alessandro Barbero che scrive gialli. E questo mi da l'occasione di dire la mia sugli autori di gialli storici: ci sono tanti autori (Oddio degnissimi e bravissimi !) anche italiani, che scrivono romanzi storici, magari anche documentandosi prima ampiamente (come Carr), ma che non sono storici di professione, e poi ci sono storici che scrivono romanzi (come Eco o Doherty). Qual'è allora la differenza? Che i secondi inseriscono spesso nelle trattazioni dei particolari che solo loro conoscono o che sono di ardua rintracciabilità, che danno una freschezza unica alle trattazioni. In particolare Doherty, che ricordiamo si è specializzato in storia inglese a Liverpool e Oxford, ed è stato per trent'anni preside del Trinity College, l'istituto cattolico più ambito d'Inghilterra, qui inserisce  dei particolari sulla Peasant's Revolt del 1381: inserisce nel quadro inventato, ma che sarebbe potuto essere anche reale, alcuni degli interpreti di quella sollevazione, Wat Tyler, Jack Straw, con Simon Grindcobbe (ma chi è?) un personaggio inventato, che ricorda il William Grindcobbe, un altro dei capi della insurrezione, li fa interagire con gli eretici di Wycliffe (e del resto la critica storica ipotizza che Tyler e Ball nella lotro richiesta a Riccardo II di confisca dei beni ecclesiastici, fossero anche loro dei Lollardi); cita il Vescovo di Canterbury, Simon Sudbury, che fu poi realmente assassinato vicino alla Torre di Londra, dai rivoltosi. Cita soprattutto John di Gaunt, reggente d'Inghilterra e zio di Riccardo II, facendolo interagire con personaggi come Thibault, Magister Secretorum, assolutamente inventati, ma che sarebbero potuti essere realmente esisititi; cita gli Hobelar di Sir Walter Manny, personaggio realmente esistito. Insomma, conferisce un alto grado di verità a delle storie inventate, riuscendole ad inserire perfettamente nel quadro di avvenimenti stiorici, assolutamente veri (del resto Vermi della Terra, The Worms of the Earth, e Uomini Retti, The Uprights Men, erano davvero gli appellativi con cui erano conosciuti i rivoltosi).

Romanzo stupendo.


Pietro De Palma