La camera chiusa più nota di Ngaio Marsh è “Rito Macabro” (Off with his Head, 1957), pubblicata nei Gialli del Secolo nel 1958,appena due anni dopo la pubblicazione in lingua originale: infatti la prima edizione è quella americana del 1956, col titolo Death of a Fool. Perchè poi quella inglese fu intitolata in altro modo, secondo me è probabilmente da mettere in relazione con la frase che la Regina di Cuori spesso grida in Alice nel paese delle Meraviglie: "Tagliategli la testa!".
Questo ci dice una cosa importante: che questa collana così bistrattata (per le traduzioni molto tagliate) era però curata da gente che aveva contatti tali che un'opera uscita due-tre anni prima, in altra lingua, potesse essere subito pubblicata.
Diciamo
subito che ridurre un simile romanzo, da 230 a 270 pagine a seconda delle edizioni (la mia in lingua madre ne ha 231), è
quasi uno sfregio: tenendo conto che i caratteri tipografici della
pubblicazione Casini sono piccoli, potremmo azzardare 110-140 pagine in
un formato più moderno, ma comunque avremmo il taglio di almeno 100 pagine. E siccome Ngaio Marsh è conosciuta innanzitutto per le sue
descrizioni mozzafiato, e questo romanzo, tipico di atmosfera,
ambientato in Scozia ne ha parecchie, è lecito ipotizzare
che una edizione integrale ci avrebbe riservato ben altra lettura!
Perché al di là del mero problema proposto dal plot e della sua
soluzione, anche questo romanzo di Ngaio Marsh è caratterizzato da
splendide descrizioni di personaggi e luoghi. Cosa che però non riscontrai anni fa leggendo il Casini.
Teatro delle vicende sono le rovine del
castello di Mardian, su una collina, in cui ogni anno ha luogo la danza
dei 5 fratelli, una pantomima antichissima, di origine pagana, a cui è
interessata la Signora Bunz, una tedesca scampata al nazismo, studiosa
di letteratura e storia ed esperta di folklore, che ha saputo di questa
rappresentazione e vuole informarsi in merito. Tuttavia le persone a cui
si rivolge, sono estremamente riservate e non vogliono assolutamente
collaborare con lei: probabilmente la guerra è ancora troppo vicina e
pur sempre è una tedesca.
A rappresentare la danza sono i 5
fratelli Andersen ed il padre William: mentre loro devono danzare prima
con dei campanelli attaccati ai calzoni e poi devono continuare la danza
con le spade, il padre che impersona il Vecchio Buffone, deve recitare
alcuni antichi versi, rompere uno specchio, legger il testamento, e poi
deve morire sulla scena, decapitato: all’uopo indossa un copricapo che
rappresenta la testa di un coniglio, che poi, al momento cruciale viene
slegato, dando la sensazione di una testa recisa.
Il vecchio è
avaro e possessivo: vuole che i figli gli siano asserviti e pretende di
decidere anche della loro vita. Così è accaduto per la sua unica figlia,
che ha deciso, anni prima, di fuggire per sposare chi al padre non era
gradito, e per questo è stata diseredata: ora però si presenta la figlia
dell’erede diseredata, Camilla Campion. Il nonno è felice di rivederla,
meno felici i figli che temono di essere privati di parte della loro
eredità alla morte del vecchio padre.
A completare il quadro
“idilliaco”, ci sono Trixie, una bella ragazza del posto che ama uno dei
5 fratelli Andersen, Chris, ma che in passato ha avuto una storia con
Ralph Stayne, pronipote focoso della vecchia castellana Alice Mardian,
figlio del di lei nipote, il pastore anglicano Stayne. Ora Ralph è
innamorato, ricambiato, di Camilla, ma la cosa non piace né al vecchio
William Andersen, né alla zia Alice. In più c’è Simon Begg, ex
colonnello della RAF ed eroe di guerra, che ha un’officina e che come
gli Andersen, e Ralph, ha una parte nella pantomina, in cui recitano
solo soggetti maschili: Simon impersona il cavallo, il Crack, calato in
una pesante armatura di ferro, mentre Ralph impersona il Betty, un
ermafrodito, metà donna metà uomo (che ora chiameremmo transex) in
quanto ha una lunga e grande gonna.
Il
giorno previsto per la rappresentazione, tuttavia, qualcosa va storto:
anche se infatti assistono alla rappresentazione oltre 50 persone tra
cui Trixie Plowman, Alice Mardian, il sergente Carey del posto, il
dottor Otterly, dopo la finta decapitazione, il vecchio (che dovrebbe
rinascere a nuova vita e quindi risorgere, sollevandosi dalla buca
dietro la vecchia Pietra di Mardian, laddove Ernie, il figlio epilettico
di Andersen, ha decapitato un’oca battagliera) non si alza e così
andando ad investigare casomai si senta male, lo trovano lì dove doveva
essere, decapitato per davvero, con la testa volta in posa innaturale
come se avesse fatto un giro di 180° rispetto al suo asse, cose se
qualcuno l’avesse messa lì, ancora sotto la maschera del Buffone, per
qualche oscuro motivo.
Chiamato ad investigare è Roderick Alleyn,
di Scotland Yard, che, figlio di una nobildonna, ha più dimestichezza di
altri a trattare i nobili. Si trova a districare una matassa per nulla
facile: un uomo è morto decapitato, eppure nessuno, dico nessuno, dei 50
presenti alla rappresentazione si è accorto di nulla, né quelli più
lontani né quelli più vicini. Per di più, l’unica spada che avrebbe
potuto decapitare il vecchio, la spada del figlio epilettico Ernie, la
più affilata di tutte, tanto da essere più affilata di un rasoio, è
immacolata e non reca nessuna macchia di sangue. Anche le altre spade
non sono servite a questo scopo: e allora, chi e con cosa, ha decapitato
il vecchio William? E soprattutto come?
Al di là di una serie di
fatti (il vecchio non avrebbe dovuto impersonare il Buffone che sarebbe
stato invece impersonato da Ernie, e questo spiega l’astio tra questi ed
il padre; l’ira di Ernie verso Ralph che gli aveva sottratto la spada
affilata; un barile di pece che improvvisamente ha preso fuoco durante
la rappresentazione, al di là di un muro del castello; il fatto che
Ernie vorrebbe rivelare qualcosa che Begg, suo comandante in guerra lo
dissuade dal fare), Roderick riscontra in tutte le testimonianze
raccolte, oltre che una linea comune, tante discrepanze quando non bugie
dichiarate, che rendono ancora più faticosa la sua ricerca della
verità. Tanto più che, andando a esaminare bene la faccenda, non è che
il vecchio Andersen in vita fosse stato molto simpatico e gradito;
tutt’altro! Di possibili moventi e quindi di assassini potenziali ne
abbiamo parecchi: innanzitutto i 5 fratelli, che da tempo immemorabile
vogliono trasformare l’officina di fabbro che resiste da secoli, in una
moderna stazione di servizio, cosa a cui è interessato anche Simon Begg
che possiede già un’officina; poi lo stesso Ralph, in quanto il vecchio
era contrario che lui e la nipote si mettessero assieme: la stessa
Camillla potrebbe avere avuto interesse ad uccidere il vecchio, giacchè
si vocifera che egli fosse stato interessato, all’apparire della nipote,
a cambiare il testamento e ad inserirla tra gli eredi, cosa che a
Camilla avrtebbe fruttato parecchio se è vero – come si diceva – che il
vecchio avaro fosse ricco. Inoltre Begg impedisce ad Ernie, il figlio
epilettico di William Andersen, di parlare ogniqualvolta egli sia sul
punto di farlo, e questo rende sospetti sia lui che l’ex sottoposto; e
sospetta è anche la signora Bunz, per l’astio che le riservava il
vecchio. Possibile che lei non sia quella che dice di essere?
Ci
sono delle cose che Roderick Alleyn nota: la sig.ra Bunz soffre per dei
dolori alle spalle ma non vuole assolutamente spogliarsi davanti al
dottor Otterly; tra i resti del falò e del barile di pece trova ciò che
resta di un grosso coltello; la testa della vittima, appariva messa in
una posizione innaturale rispetto al resto del corpo, come se non fosse
caduta lì ma fosse stata a bella posta voltata di 180°; l’interesse
molto insistente della sig.ra Bunz per conoscere lo svolgimento della
Pantomima; l’astio tra Ernie e suo padre per l’interpretazione durante
la pantomima; il fatto che Begg non voglia che Ernie si metta nei
pasticci; la mancata inclusione di Camilla tra gli eredi, cosa che
potrebbe significare un suo estraniamento dai possibili assassini; e
infine, qual è il vero motivo per il quale il barile di pece viene
incendiato?
Il plot verrà svelato dopo che la Alice Mardian avrà
parlato ad Alleyn di un certo diario nel quale era descritto il
cerimoniale della pantomima, che gli Andersen da generazioni,
recitavano, conoscendo a memoria i versi. E dopo che lo stesso Alleyn
avrà preteso che tutti coloro che avessero assisitito o interpretato un
qualche ruolo durante la pantomima, fossero presenti, dicendo
espressamente che uno solo dei partecipanti può aver recitato in due ruoli
diversi.
La soluzione sarà magnifica, e consegnerà alla giustizia
un assassino che avrà ucciso non per calcolo ma per altro motivo, e che
si sarà servito di un complice, per la messinscena.
Ancora una
volta ci troviamo dinanzi ad una messinscena, e come dico da tempo, le
più belle Camere Chiuse son quelle preparate, con l’aiuto di un’altra
persona che svolga la funzione di complice. E’ evidente che se 50
persone non hanno notato nulla, il delitto deve essersi consumato non
nel luogo dove la decapitazione avrebbe dovuto avere luogo ma altrove;
ma come avrebbe potuto essere decapitato in altro luogo ed esser portato
lì senza che nessuno vedesse nulla?
Ci troviamo davanti ad un
delitto impossibile, più che ad una camera chiusa, se la intendessimo
secondo i canoni usuali, cioè un luogo chiuso; e qui ci troviamo in uno
spazio aperto, dove neanche le orme stanno a rendere impossibile una
fuga dell’assassino. Però è anche vero, che la stessa natura
dell’evento, una rappresentazione “teatrale” avvenuta in uno spazio
prefissato, davanti a 50 persone, che non hanno visto nessuno scappare e
tantomeno uccidere il vecchio, fanno di questo “delitto impossibile”
una altamente suggestiva Camera Chiusa. Che presenta numerosi punti di
contatto con altra Camera, di Christianna Brand, però: il cavallo (lì
vero, qui falso), la corazza, una decapitazione, il fatto che in
entrambi i casi la testa sia imprigionata in qualcosa (lì un elmo, qui
una maschera). A me sembrerebbe che Ngaio Marsh, pur imbastendo una
delle sue storie più originali e meglio scritte e concepite, possa aver
preso a modello il romanzo della Brand, o comunque che qualcosa di
quello sia rimasto nel suo inconscio, dato che tra Death of Jezebel e Off with his Head, ci sono 8 anni di differenza.
A rendere incredibilmente affascinante questo romanzo c'è anche una doppia sorpresa, di cui mi sono reso conto a posteriori.
Innanzitutto
non vi è movente. Normalmente quando c'è un delitto ci si chiede: Cui
prodest? A chi giova? Chi trae beneficio dalla morte di qualcuno e
quindi chi ha un motivo valido per sopprimerlo? Qui di moventi ve ne
sono tanti, ma guarda caso proprio l'assassino non ha un movente valido
per uccidere.
La seconda sorpresa riguarda la morte in se per sé:
essa è la risposta ad un'aggressione. In linguaggio tecnico la potremmo
configurare come un'eccesso di legittima difesa. Tuttavia l'assassino,
per mascherare il suo coinvolgimento ordina di decapitare William. Si ha
quindi la formazione di una coppia: l'assassino vero, e quello finto,
che invece viene ritenuto vero. In altre parole chi decapita non uccide
ma oltraggia un corpo morto. La coppia dei due assassini (quello vero e
quello falso) è diversa però da un'altra coppia formata dall'assassino e
dal suo complice che preparano la messinscena. Ed essa stessa, e qui
sta la genialità del romanzo, viene attuata senza che vi sia una
premeditazione dell'omicidio. Normalmente quando vi è una messinscena è
per far credere ad una cosa invece che ad un'altra, e quindi,
nell'ambito di un delitto, possiamo parlare di premeditazione: qui
invece la messinscena non è tale perchè il delitto non è premeditato.
Semmai si utilizza una rappresentazione come messinscena dividendola in
due parti ben distinte: la prima parte della rappresentazione è tale a
tutti gli effetti (fino a che il Buffone, che nella rappresentazione è
stato decapitato, giace nella buca in attesa di risorgere), mentre nella
seconda essa può essere assimilata ad una messinscena (quando viene
usata per nascondere la morte altrove).
Comunque mi vien da
augurarmi che si possa tradurre integralmente il romanzo perché
sicuramente una lettura integrale di questo splendido romanzo darebbe la
possibilità all’appassionato di godere appieno di una delle migliori
opere della scrittrice neozelandese.
Pietro De Palma
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