domenica 6 marzo 2016

Paul Halter : La notte del lupo. Antologia di racconti e racconto omonimo




Nel 2000, all’alba del nuovo millennio, Paul Halter volle riunire una serie di racconti che aveva scritto negli anni precedenti  in una raccolta, che intitolò La Nuit du Loup. Successivamente, nel 2006 uscì anche una edizione in inglese - affidata a quel John Pugmire che due anni prima ne aveva tradotto i lavori - che tuttavia si notò per essere diversa da quella originale. Infatti, mentre la raccolta La Nuit du Loup presentava 9 racconti, quella in inglese THE NIGHT OF THE WOLF ne conteneva 10.
Andando a vedere bene, tuttavia, si nota non solo la presenza ovvia di un racconto in più, ma anche l’aggiunta e la sostituzione di altri. Infatti, il racconto Un Rendez-vous aussi saugrenu causa l’intraducibilità in inglese della forma usata di francese che non si adattava ad essere altrimenti tradotta senza perdere i connotati su cui si basava essa stessa, fu sostituito nell’edizione in lingua inglese, dal racconto L’Abominable bonhomme de neige (The Abominable Snowman), mentre ad esso ne fu aggiunto addirittura un altro, Le Spectre doré (The Golden Ghost).
Non si deve pensare però che i racconti fossero stati tenuti in un cassetto e poi pubblicati per la prima volta in occasione della pubblicazione dell’antologia; parecchi di essi erano stati tradotti in altre lingue: 2 (The Tunnel of Death e The Night of the Wolf) erano apparsi tra il 2005 e il 2006 su EQMM, con traduzione di John Pugmire, mentre con quella di Peter Schulhman era apparsa nel 2004 sempre su EQMM, The Appel of Lorelei; 5 poi, erano stati tradotti da Tiziano Agnelli e pubblicati in Italia su “Il Foglio Giallo”, la pubblicazione de Il Club del Giallo, un’associazione che una ventina d’anni fa ancora riuniva parecchi appassionati e al quale apparteneva anche Paul Halter nella veste di socio onorario (che si è estinta dieci anni fa) : Ripperomanie e L’appel de la Lorelei nel 1999, La nuit du loup, Les Morts dansent la nuit e La Hache nel 2000. Perché furono stati scelti proprio questi racconti ?
Lo spiega Paul in due brevi righi, interrogato da me qualche giorno fa, che gli chiedevo, impressionato dalla qualità e dalla complessità de La Nuit du loup, se esso fosse per caso il racconto da lui preferito tra tutti quelli dell’antologia: «Cher Paul, depuis quelques années, je dois votre collection La nuit du loup, mais je ne l'avais jamais lu seulement l'histoire qui a donné son nom à la collection (comme je l'avais lu quelques-uns des autres). Je suis restée muette. Nous sommes face à un chef-d'œuvre, avec trois fins différentes, chacune plus étonnant que les autres. Je me suis senti la même forme d'aliénation je me suis senti à lire La quatrième porte. Vous avez appelé la collection La nuit du loup,  idéalement lacer l'histoire éponyme, je pense. Je dois penser que vous considéré comme le meilleur des neuf ? »
«Oui, Pietro, vous avez raison !Enfin oui et non...J'ai bien aimé cette histoire de loup, avec une chute un peu fantastique... La meilleure? Je ne sais pas... Peut-être ex-æquo avec La HACHE, LA LORELEI et LES MORTS DANSENT LA NUIT. Mais d'aussi loin que je m'en souvienne, j'ai dû emprunter son nom pour le recueil de nouvelles, sans doute par ce que c'est celui qui me plaisait le plus. »
Insomma, per chi non conosce il francese, Paul dice sostanzialmente che i racconti che tra i tanti ricorda con più piacere erano La HACHE, LA LORELEI et LES MORTS DANSENT LA NUIT, ma che ho ragione a pensare che in sostanza, essendo stata intitolata l’antologia con lo stesso titolo di un racconto, quello fosse senza dubbio il suo preferito.
Questo giudizio, che è quello dell’autore, toglie di mezzo tutti i giudizi arbitrari, apparsi su vari siti, secondo cui, uno più che un altro o un altro ancora, erano i migliori. Io personalmente oltre La nuit du loup che è un capolavoro assoluto, pari a qualche racconto del Carr più ispirato (The Door to Doom, per esempio) penso che un altro molto buono sia Les morts dansent la nuit, che ricorda per l’atmosfera (una cripta contenente le tombe di famiglia) The Burning Court di Carr o anche La chambre du fou dello stesso Halter , ma è un giudizio del tutto soggettivo.

Ecco a seguire il contenuto della prima edizione

L’Escalier assassin
Les Morts dansent la nuit
Un Rendez-vous aussi saugrenu
L’Appel de la Lorelei
La Marchande de fleurs
Ripperomanie
La Hache
Meurtre à Cognac
La Nuit du loup

Ed ecco quello dell’edizione inglese, in cui venne modificato l’indice originario:

The Abominable Snowman
The Dead Dance at Night
The Call of the Lorelei
The Golden Ghost
The Tunnel of Death
The Cleaver
The Flower Girl
Rippermania
Murder in Cognac
The Night of the Wolf

Di che genere sono i racconti presentati?

Ovviamente Camere Chiuse e Delitti Impossibili, anche se vi è anche qualcuno che sfugge a questa classificazione presentandosi come un racconto più libero.
Se andiamo ad analizzarli velocemente, cumulando tutti i racconti, sia dell’edizione francese che di quella inglese, possiamo tentare una classificazione veloce:

Camera Chiusa Classica

La Marchande de fleurs (apparizione dei doni di Natale in una stanza sigillata)
Murder in Cognac: (avvelenamento all’ultimo piano, chiuso all’interno, di una torre)
Les Morts dansent la nuit (Camera Chiusa classica: cripta sigillata da cui provengono orribili risate)

Variazione di Camera Chiusa sulla neve

La Nuit du loup
L’Appel de la Lorelei
L’Abominable bonhomme de neige
Le Spectre doré

Delitto Impossibile

L’Escalier assassinn (un delitto maturato su una scala mobile, a metà circa della stessa, tenuto conto che né da destra né da sinistra c’era qualcuno che potesse uccidere)

Esempi vari di deduzione poliziesca

Ripperomanie
Un Rendez-vous aussi saugrenu
La Hache

Non basterebbe certamente un articolo per descrivere e analizzare tutti i racconti, per cui dirò solo che i protagonisti sono diversi: Owen Burns, che si trova in storie affondate nel passato, è un personaggio modellato su Oscar Wilde, che ancora in Italia non è conosciuto, perché nessuno dei 5 romanzi in cui opera è stato pubblicato. A quel tempo tuttavia, solo due lo erano stati, tuttavia già bastanti ad assicurargli la fama : Le roi du désordre (1994) e Les sept merveilles du crime(1997);  Alan Twist invece vive avventure risalenti agli anni ’30-‘40. Si noti tuttavia che sia Burns che Twist in queste storie non sono accompagnati dalle rispettive spalle: Stock e Hurst.
Nonostante la presenza dei due personaggi, nessuno di loro compare nel racconto migliore in assoluto, che non esito a definire un autentico capolavoro. Se esiste il racconto perfetto in Halter, senza dubbio, a parer mio, esso è La nuit du loup.

Tengo a precisare che per sviscerare i suoi contenuti , darò la soluzione del racconto per cui chi non l’abbia ancora letto è pregato di non andare oltre questa analisi.

La storia comincia con un padre che sta rimproverando ai propri pargoli di non saper ancora andare a caccia da soli. E mentre i compagni sono intenti a dividersi un cervo, i pargoli pregano il padre di raccontare una storia. E così il vecchio, pure a malincuore, narra la storia di Pierre Lupo, un suo amico e della sua morte in circostanze impossibili.
Pierre Lupo era un tale che abitava in una casa di legno, provvista di laboratorio, al centro di una radura nel bosco. Nel vicino paese di Malmont, che in Lorena è ai piedi della catena montuosa dei Vosgi, stretto attorno ad una chiesa, sotto una coltre di neve che sembrava proteggerlo dall’esterno, si parlava sottovoce scongiurando che il lupo mannaro, che aveva ucciso vent’anni prima, non ritornasse ancora a mietere vittime.
Lupo era inviso alla comunità cittadina in quanto in tanti anni uno dei suoi sport preferiti era stato stabilire relazioni extramatrimoniali con molte donne del paese, cosicchè era divenuto inviso ai più e viveva ramingo in una casa nel bosco nel mezzo di una radura, assieme ad una cane; i suoi unici amici erano il Commissario Mercier e il vedovo dottor Loieseau.
Una notte accade che alla porta del Commissario Jean Roux bussi un tale: un piccolo uomo, talmente vecchio che l’età non era definibile, vestito con vestiti di buona fattura, ma coperto di neve che gli chieda di potersi riparare dalla tormenta di neve, in quella notte. Sulle prime il Commissario non sa decidersi: tuttavia anche se non si spiega perché mai in una notte nevosa come quella un tale sia ancora in giro, le sue condizioni lo rassicurano. E così, dopo averlo rifocillato e riscaldato, mentre quello fissa accanto al fuoco e con nelle mani un grog denso, un grosso cane lupo che dorme su una stuoia, gli racconta la vicenda impossibile a spiegarsi dell’assassinio di Pierre Loup: due giorni prima, il suo ex superiore il Commissario Mercier aveva sentito dei latrati nella notte; qualche ora dopo, il dottor Loiseau, lo aveva svegliato perchè preoccupato che dalla zona dove abitava Pierre Loup fossero prevenuti grida e schiamazzi nella notte. Così alla luce dei una lanterna si erano addentrati nel bosco, nonostante Loiseau camminasse zoppo (con il bastone) perché il suo cane lo aveva morso ad una caviglia, e qui, in una radura tutta ammantata di neve, avevano trovato la porta della casupola del vecchio Pierre, completamente spalancata: dal sentiero dove stavano loro, fino alla casa, erano visibili impronte di animale, probabilmente un lupo. Solo quelle. Nella casa trovarono il cadavere orribilmente sfigurato di Pierre, come se degli artigli e delle zanne lo avessero sbranato, per di più con un pugnale infisso nella schiena.
Il Commissario Roux indica a Dieudonne proprio in cane lupo addormentato e lo indica come possibile responsabile nel caso il padrone fosse stato solo sbranato, ma..egli è stato anche accoltellato e quindi, anche se fosse stato il cane a sbranarlo, poi chi l’avesse pugnalato avrebbe dovuto lasciare delle orme, che invece non sono state rinvenute.
Nella neve nulla che non le loro impronte fino alla casa, le impronte di un grosso cane o lupo, e ovviamente i fori prodotti dal bastone di cui si serviva il dotto Loiseau. Nient’altro.
Il sopralluogo da parte della polizia, chiamata da Mercier e comandata da Roux, non aveva sortito alcuna novità, se non ovviamente che la vittima pur essendo stata sopraffatta da un animale, era stato pugnalato. E quindi a meno di non trovarsi con qualcosa che potesse impugnare un coltello e che avesse le zampe da animale, non si riusciva ad attribuire ad altri la paternità dell’efferatezza. Ma dovunque si andasse non si riusciva a cavarne un ragno dal buco: chi aveva ucciso Roux e perché? Era un lupo mannaro o no?
Il vecchio ospitato da Mercier, di nome Noel Dieudonne, dopo aver sentito la storia, afferma che  di credere “che ci sia una spiegazione per tutto”. Roux è incredulo: lui stesso era stato svegliato da Loiseau, e con lui aveva trovato la vittima vegliata da Mercier, che gli aveva confermato la storia di Loiseau: lo aveva svegliato neanche un’ora prima chiedendo se avesse sentito urla provenire dall’abitazione di Loup. E insieme avevano trovato la vittima in uno stato raccapricciante, nello stesso in cui era stata trovata la moglie di Loiseeau vent’anni prima. Viene a sapere anche che qualche giorno prima, si erano diffuse notizie sulla possibile presenza di un lupo mannaro; e siccome prima dell’omicidio della moglie del dottore, il piccolo Henri, che nel frattempo  era diventato sì giovane aitante e forte ma anche avente il cervello di un bambino, era stato morso si diceva “da un lupo mannaro”, ora qualcuno aveva attribuito a lui quelle urla, schiamazzi e ringhi nel bosco. In particolare ad una cena a cui aveva partecipato Henri assieme a Pierre,  Mercier e Loiseau, questi due ultimi avevano avanzato ipotesi che il giovane diventasse nelle notti di luna piena “un lupo mannaro”. Loup si era risentito di questo, ma qualche giorno dopo proprio da zanne e artigli era stato quasi sbranato.
Le successive indagini avevano stabilito che Loup, donnaiolo impenitente, aveva fatto vittime femminili nella comunità, e che probabilmente anche Henri era un suo figlio, visto il lascito che Loup gli aveva destinato alla sua morte. Dei tre, sarebbe l’unico a beneficiare della morte di Loup. Tuttavia Didionne la pensa diversamente: chiede tuttavia se vi siano altri indizi, particolari di nessuna importanza che non erano stati narrati. E così viene a sapere che nel laboratorio di falegnameria di Loup, erano stati trovati in mezzo alle ragnatele e alla polvere, dei truccioli di legno fresco, segno che qualcosa era stato lavorato. Cosa?
Dieudonne raccogli gli indizi e annuncia di aver capito chi possa essere l’omicida: può essere che il Commissario Rouz che si sta scervellando da due giorni non abbia capito chi possa essere l’omicida, e Dieudonne l’abbia compreso?
E così rivela che tra i tre possibili sospettabili (Mercier, Loiseau, Henri) il solo possibile colpevole non poteva che essere Loiseau: ma come ha fatto, per di più zoppo a non lasciare impronte? E perché l’avrebbe ucciso? Perché nella notte della cena, Loup si era esposto troppo, indignato perché si fosse sospettato del suo figlio “scemo” di essere un lupo mannaro, ed aveva promesso ai due che lui avrebbe fratto giustizia e rivelato anche chi aveva ucciso vent’anni prima: il dottore, per poter sposare una giovane donna ed eliminare la vecchia).
Ecco la soluzione prospettata da Dieudionne: siccome nella notte dell’assassinio aveva nevicato per poi smettere, il dottore era arrivato alla casa di Loup in serata e lì lo aveva ucciso con una coltellata, per poi selvaggiamente ferire volto e braccia della vittima con una sorta di rastrello con cui aveva già vent’anni prima aveva simulato lo sbranamento della moglie da un cane o lupo mannaro supposto tale. Quindi nel laboratorio falegnameria annesso alla casa, ha il tempo per confezionare dei cortissimi trampoli che fissa alla suola delle scarpe e che realizza in modo che riproducano la parte finale del suo bastone. Così camminando presumibilmente un passo dopo l’altro, come se camminasse su una corda, si allontana dalla casa lasciando sulla neve solo impronte che sembreranno quelle di un bastone, quando ritornato più tardi sulla scena del delitto, infilerà il bastone proprio nei fori lasciati nella neve precedentemente. Per poi simulare le orme di un grosso cane, lascerà libero il suo cane di correre e latrare a perdifiato nella notte: saranno i suoi i latrati e i ringhi che si sentiranno nella notte. Poi va a svegliare il suo amico il commissario Mercier e insime andranno a casa di Loup e lui, avviandosi verso la casa, facendo vedere all’incredulo commissario le orme lasciate del suo cane che lui attribuirà ad un lupo mannaro, farà in modo come aveva previsto, che la punta del suo bastone cerchi i buchi fatti dai trampoli modellati sullo stesso. Dieudionne, inevitabilmente elabora lo stesso ragionamento che fa ogni lettore che legga la storia: di chi si parla, quali sono i soggetti del dramma? Solo tre persone erano così intime di Loup, che si era preclusa l’amicizia del paese in virtù della sua irrispettosa frequenza delle mogli altrui: i suoi amici: il Commissario Mercier, il dottor Loiseau, e il figlio scemo Henri per cui Loup nutre un profondo amore e anche la volontà di difenderlo da chi tenti di aggredirlo.
Il Commissario Roux non crede ai propri occhi: in poco tempo quel tale piovuto dal cielo gli ha risolto quel problema che non l’aveva lasciato dormire per due giorni.
Così finisce la storia, del padre che narra ai figli, mentre il resto dei compagni sta ancora mangiando la carne del cervo.
 Solo che a questo punto il padre rivela ai suoi figli che la storia era troppo assurda, troppo costruita per essere quella vera: in realtà ce n’era una molto più semplice, che cioè il lupo amico di Loup gli si fosse rivoltato contro quando alla luce della luna piena si era trasformato davvero  in un lupo mannaro. Cioè, qui abbiamo il secondo sovvertimento, dopo la spiegazione che ne è stato il primo: non è l’uomo che diventa lupo, ma è il lupo che diventa uomo. Una realtà troppo orribile a detta di colui che narra la storia: cosa c’è di così orribile? Il fatto che un lupo, che è un animale che caccia per nutrirsi, si possa trasformare in un essere umano. E a questo punto avviene il terzo shock per il lettore: chi ha raccontato la storia, era anch’esso un lupo, che narrava ai lupacchiotti la storia di un amico dei lupi chiamato Lupo,  che aveva chiamato il suo lupo col suo nome.
Ecco che acquista spiegazione il dialogo che poco prima ha concluso il racconto e la spiegazione del problema: “Wolf,” murmured Roux, “like his deceased master. I never understood why he called him by his own name”.“There’s always an explanation for everything, my dear sir…”. Cioè se Roux esclama : “ Wolf, come il suo defunto padrone. Non ho mai capito perché lo avesse chiamato col suo nome”, gli risponde Dieudonne a tono: “C’è sempre una spiegazione per tutto”.
In sostanza il racconto dispiega la propria azione su più piani:  in sostanza se La quatrieme porte, è una storia nella storia (noi leggiamo una storia e poi a metà del libro ci accorgiamo che a sua volta era una storia che qualcuno stava scrivendo), differentemente da essa che ha solo due piani su cui si muove, La nuit du loup, ne ha molteplici.
Innanzitutto noi leggiamo di un gruppo di soggetti che hanno cacciato un cervo e ora si apprestano a riposarsi dopo il pasto: nulla ci può far pensare che non si tratti di uomini. Solo che Halter semina indizi, modi di usare dei termini che in linguaggio lato valgono per gli uomini, ma che in origine indicano proprio gli animali. Sottolineo nel dialogo questi termini rivelatori:
“Daddy, Daddy, tell us a story.”
The chieftain looked at the little group that was devouring with gusto the deer that had been killed a few hours before. He pricked up his ears and glanced in exasperation at his son.
“Yes, Daddy, please,” insisted another of his children.
“Another one?” he growled. “You’d do better to occupy yourselves with more important things! You’re old enough to hunt now. The winter’s been hard and spring is still a long way off. How many times do I have to tell you that to live you have to eat, and to eat you have—”
“Yes, we know, but please, Daddy, please tell—”
“Now you’re bothering me! I don’t know what else to tell!”
His companion trotted through the snow to rub herself against him: “You can tell them the story of Wolf.” (traduzione di dal francese di John Pugmire).
Divorando, rizzò le orecchie, per vivere bisogna mangiare, trotterellò nella neve, sono tutte espressioni cui lì per lì il lettore non da peso, ma di cui poi si ricorda e rivaluta all’atto della rivelazione della fine del racconto, quando capisce che a raccontare era un lupo. Che parlava di un suo amico che era stato ucciso, Lupo, che aveva a sua volta chiamato il suo cane come lui. Fin qui arriva il racconto. Ma Dieudonne invita ad andare in fondo alle cose: perché Loup avrebbe chiamato il suo cane come lui? Perché entrambi condividevano la stessa natura? Loup da uomo si trasformava in lupo, e il lupo a sua volta si trasformava in uomo?
In sostanza quindi il lettore si improvvisa detective quando trova gli indizi che Halter ha disseminato nel brano perchè il lettore possa arrivare a capire (ma non vi riesce) che era una storia nella storia, in cui chi la leggeva era diverso da chi si credeva che fosse.
Anche La Quatriéme porte è una storia nella storia; anche La Tavola fiamminga di Perez Reverte è una storia nella storia.
Ma poi vi sono altri piani su cui la storia si muove.
Chi è Dieudonne? E’ il deus ex machina della storia, e si chiama proprio “Dio che da”: cosa? La soluzione. Ma che invita a guardare dentro le cose, perché tutto può essere guardato non per forza da una sola prospettiva. E' come se fosse un vecchio saggio, è come se fosse la coscienza personificata, una specie di "Γνῶθι σεαυτόν" personificata: l'istanza a guardare in se stessi, ad andare a fondo delle cose per trovare la soluzione; ma è anche l'invito a guardare le cose da una prospettiva diversa.
Poniamo che Loup e il suo loup condividessero la stessa natura:  poichè Loup si era fatta la triste storia di essere un dongiovanni impenitente, nulla autorizza a non pensare che davvero la moglie di Loiseau potesse esser stata uccisa da un lupo mannaro, cioè da Loup trasformatosi in bestia, allorchè con lui si era incontrata per avere un rapporto carnale.
In sostanza è come se gli stessi fatti autorizzassero una soluzione diversa nel momento in cui venisse contemplata una compromissione fantastica: un po’ come la doppia soluzione di The Burning Court. Se dovessimo credere alla soluzione razionale, il colpevole non può che essere Loiseau; se invece prestassimo fede al racconto fantastico, anche la soluzione lo diventa.
E perché non pensare che se Loup è davvero un lupo mannaro, non lo possa essere davvero il figlio, che era stato indicato tale da Mercier e da Loiseau?
Dieudonne avrebbe  potuto anche voler proteggere il figlio “minorato” di Loup: un figlio grande grosso, dotato di una forza bestiale, ma col cervello di un bambino. Mettiamo che il figlio avesse scoperto chi aveva ucciso la madre tanti anni prima e avesse concepito un piano per vendicare la madre, uccidendo chi l’aveva uccisa realmente (il padre, Loup) e facendo incolpare chi l’aveva tradita (Loiseau): anche così avrebbe un senso la cosa. A dirla in poche parole: se la storia viene elaborata in un universo reale può avere un solo sviluppo, per impossibile che possa sembrare in un primo tempo; se invece viene elaborata in un universo fantastico, le soluzioni possono essere molteplici.
Ecco perché parlo di un vero e proprio capolavoro.
Noto inoltre che per la somiglianza reale con la soluzione di un romanzo posteriore, Halter deve aver pensato di utilizzarla, magari variandola in qualcosa : infatti, come non ricordare la soluzione di A 139 pas de la mort ? Anche lì abbiamo una variazione di Camera Chiusa: in una casa in abbandono, viene rinvenuto un cadavere, seduto su una poltrona, in avanzato stato di decomposizione, provieniente da una tomba violata, e tutt’intorno il pavimento uniformemente coperto di polvere, in cui si noterebbero le impronte se ci fossero, e  nessuna orma che possa avvalorare l’ipotesi che qualcuno abbia scaricato su quella poltrona il corpo e, come vi sia entrato, sia poi uscito da quella casa. Eppure lì abbiamo una soluzione che direttamente si ricollega a quella de La nuit du loup: infatti i 2 travicelli di legno di un metro alle cui estremità sono infissi quattro grossi chiodi, corti di lunghezza, sfruttano la stessa soluzione usata qui: dei trampoli bassissimi ma tali nella loro doppiezza ( che nel racconto hanno lo scopo di confondere le orme ed attribuirle alla punta del bastone del dottore, e nello stesso tempo sorreggere il peso dell’uomo senza che vi sia la possibilità di cadere a destra o a sinistra).
Insomma tutto e il contrario di tutto nell’universo targato Paul Halter.

Pietro De Palma

 
P.S.

Chi voglia procurarsi l'edizione inglese, dato che quella francese è più difficile da reperire,  non ha che da rivolgersi a John Pugmire:

http://www.mylri.com/buy-books-and-e-books/

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