Anni fa Luca Conti, che ora è Direttore Editoriale
del magazine Musica Jazz, si occupava di traduzioni dall’americano, occupandosi
di Crime Fiction Contemporanea (Ellroy, Lansdale, Bazell, Crumley, Sallis,
Ellmore Leonard, etc..) per varie case editrici. Una volta che ci sentimmo per
telefono, mi disse che lui era entrato in Giunti ed era diventato un
consulente, e se le cose fossero andate in un certo modo, avrebbe anche fatto
tradurre certe cose che mi erano care, e che lui aveva già letto in inglese, tra
cui per esempio The Tokyo Zodiac Murders,
di Soji Shimada. Poi la sua esperienza finì in un certo modo, e così non
abbiamo più visto il romanzo di Shimada.
Qualche
giorno fa ho potuto, tramite un amico, leggere un racconto che Shimada ha
scritto e che è stato pubblicato su EQMM quattro anni fa, di cui parlo oggi.
Come anticipato nell’annuncio di qualche giorno fa, i miei lettori dovranno
fare affidamento sulla mia analisi perché, a meno di non procurarsi la copia di
EQMM di 4 anni fa, e di non leggerla in inglese, non potrebbero mai sapere
nulla di Shimada. La mia analisi viene pertanto anche pubblicata allo scopo di
creare un bacino di lettori che possa sollecitare in futuro la pubblicazione di
opere di autori ancora colpevolmente ignorati in Italia.
Il racconto in questione si intitola The Locked House of
Pythagoras
Eriko è un
ragazzo. Sta a scuola e sta togliendo dall’aula una serie di cose inutili tra
cui dei manifesti. Incontra un altro ragazzo che è il figlio di Tomitaru
Tsuchida, un famoso pittore cui è stato affidato il compito di selezionare una
serie di opere effettuate da allievi di scuola elementare e media, e che è
stato vittima di un cruento omicidio qualche giorno prima, assieme alla sua
amante Kyoko Amagi. Eriko si stupisce un po’ per la richiesta di un foglio di
carta velina da usare per creare un copricapo, però non troppo poi, giacchè il
ragazzo e la madre sono rimasti poveri giacchè il padre non passava gli
alimenti alla ex moglie e al figlio; anche per tutto questo si ricorda il
giorno dopo quando incontra il suo amico Kiyoshi Mitarai, che ha concorso
anch’egli alla selezione.
Del resto, per
chi vive in quella scuola, l’omicidio del pittore incaricato della selezione
delle opere, tiene banco: è stato ucciso nella sua casa assieme all’amante,
solo che la stanza dove son stati trovati i corpi era chiusa dall’interno e la
casa pure, intorno alla casa c’erano solo impronte che la circondavano ma
nessuna che entrasse o uscisse, nel terreno bagnato fradicio per la continua
pioggia. I due corpi erano stati trafitti da numerose pugnalate che avevano provocato
un vero lago di sangue. In un primo tempo si era supposto a caldo che Tsuchida avesse
ucciso l’amante e poi si fosse ucciso, ma, sia il numero delle coltellate che
lo avevano raggiunto, tutte mortali, sia il fatto che l’arma non fosse stata
trovata assieme alle vittime, aveva escluso l’ipotesi del suicidio e avvalorato
quella invece del duplice omicidio.
Il concorso era
stato annullato non solo per la morte dell’esaminatore, ma anche per la
contaminazione delle opere in concorso: contaminazione da cosa? Dal sangue.
Infatti la sala chiusa dall’interno in cui erano stati trovati i corpi era
coperta dalle opere in concorso, che si erano impregnate del sangue delle due
vittime.
Cosa strana un
particolare: non tutti i disegni erano incrostati di sangue ma anche di vernice
rossa. Perché?
Altra cosa
strana: la commissione aveva proposto 90 opere delle scuole elementari e 50
delle scuole medie, ma Tsuchida aveva invece optato per 88 e 48. Per quale
motivo?
I due ragazzi
delle scuole medie sono sicuri di poter addirittura risolvere il mistero, in
particolare Kiyoshi: conosce delle cose attinenti il concorso, fa delle ipotesi
e dice di poter anche risolvere il caso, riuscendo a capire il perché quei
quattro disegni fossero stati eliminati dalla competizione: 90-88=2, 50-48=2;
2+2=4. Deve però sapere altro, e per
fare questo, si reca con l’amico alla casa del pittore, che è di fronte a
quella in cui vive la ex moglie e il figlio. Nel terreno circostante la casa
sono state trovate impronte, ma non dirette dentro o fuori la casa, e non della
donna o di suo figlio, nel qual caso si sarebbe supposto un uxoricidio, ma dell’ex-marito
della Amagi, che è stato arrestato: dopo estenuanti interrogatori ha ammesso di
essere stato lui ad uccidere i due, ma nel tempo stesso non ha saputo dire
come. Qualcuno sospetta quindi che egli abbia ammesso solo per far finire
quella vera e propria tortura psicologica nei suoi confronti.
I ragazzi
chiedono ai due detectives della polizia di poter visionare la casa, ma vengono
derisi. Tuttavia Kiyoshi è in grado, pur non essendo mai entrato al di dentro,
di fornire le esatte dimensioni della stanza in cui si è commesso l’eccidio,
nello sbalordimento generale. E di indovinare persino quelle delle due stanze
poste al piano di sopra. I due poliziotti, che non sanno che pesci pigliare,
colgono la palla al balzo, e accettano, anche se non proprio di buon grado, di
far visionare la casa, i cui pavimenti e muri coperti di sangue non sembrano
infastidire molto i due ragazzi.
Kiyoshi saprà
innanzitutto spiegare il perché Tsuchida avesse richiesto un numero di opere
inferiore di quattro unità rispetto ai numeri delle opere selezionate dalla
Commissione del Sindaco: esso è in relazione alla superficie quadrata della stanza
chiusa dall’interno e a quelle di due stanze al piano superiore una quali è un
laboratorio e l’altra uno studio. Esse sembrano costruite sui cateti di un
triangolo la cui ipotenusa è la base di un’altra stanza. Siccome i due piani
sono identici e anche struttura, planimetria e disposizione delle camere, ne
deriva che il principio sulla base del quale Kiyoshi risolve l’enigma, è il
Teorema di Pitagora.
In sostanza, le
opere erano state richieste da Tsuchida sul presupposto che esse ricoprissero assieme,
esattamente il pavimento della grande stanza al piano terreno, e separate a seconda delle provenienza (Scuola
Elementare e Scuola Media) le due stanze al piano superiore: camminando sopra,
egli avrebbe scelto le più meritevoli. Ne deriva da ciò che il duplice omicidio
non si era svolto nella stanza al piano inferiore ma in quelle al piano
superiore: qui l’assassino aveva ucciso i due, massacrandoli con il coltello,
poi il sangue aveva letteralmente coperto le opere che tappezzavano il
pavimento, e così facendo si era posto il problema che altre opere non fossero
coperte di sangue (quelle dell’altra stanza): ecco perché si era pensato alla
vernice rossa. Poi i corpi e i disegni insozzati di sangue erano stati portati
al piano di sotto, tutto erano stato accuratamente pulito, in modo che non si
risalisse alla vera scenda del delitto, e poi si era apprestata la scena
finale: la stanza era stata chiusa dall’interno e l’assassino era uscito con
uno stratagemma da un vasistas stretto del tokuroma, troppo stretto per averlo
fatto ritenere una via di fuga. Solo che l’assassino si è servito di un
escamotage.
Di questo si renderà conto Kiyoshi, individuando anche il perché si
fosse nascosto il vero luogo del delitto, come si fosse potuto uscire dal primo
piano non lasciando impronte, e capendo anche l’identità dell’assassino dall’unica
prova lasciata (dimenticata) all’interno della casa: un ombrello.
Straordinario racconto di Shimada, è “nero” fino al
midollo. John Pugmire che ha curato assieme a Yuko Shimada la traduzione in
inglese, ha risposto qualche giorno fa, al sottoscritto che notava la morbosità
della vicenda, l’estrema violenza e le scene grandguignolesche, quasi da cinema
splatter, e come le scene del poliziesco made in Japan sia più forte nelle
tinte rispetto all’asetticità quasi di quello di marca anglo-sassone e
statunitense, con un’affermazione lapidaria ma estremamente precisa: No "cozies" in Japanese fiction,
only "gories".
In questo indubbiamente la crime fiction
giapponese è simile a quella francese, e Shimada in particolare mi sembra che
possa essere messo a confronto per esempio con Paul Halter. In ambedue
soprattutto, protagonisti indiscussi sono i ragazzi: come non ricordarsi dei
vari romanzi di Halter che hanno come protagonisti i ragazzi? Anche qui “protagonisti”
sono i ragazzi. Uno è addirittura il vero detective che scopre l’arcano, e che
deriva indubbiamente – secondo me – da Detective Conan, il protagonista cartoon
giapponese alla base di molte storie di crimini impossibili.
Shimada è sensazionale anche e soprattutto per la
sua delirante visione del sangue: il sangue ricopre i pavimenti
delle stanze superiori, imbevendo le tavole dei disegni (fogli A3), ce n’è
talmente tanto da scivolare in rigagnoli tra i vari fogli, e da costringere l’assassino/gli
assassini a ripulire accuratamente la scena del delitto, e le scale, utilizzate
per trascinare i corpi e portare giù tutti disegni coperti di sangue,
apprestare la messinscena finale al piano di sotto, e sporcare finanche i muri,
e coprendo di vernice rossa di un colore simile al sangue altre tavole. Tutta
questa febbrile opera di pulizia e risanamento verrà scoperta solo grazie al
Luminol. Il confronto con Halter è quello imperniato su un romanzo come La Brouillard rouge, dove una camera è tinteggiata col sangue.
Shimada è sensazionale anche e soprattutto per aver concepito un plot
basato sulla geometria, la cui stessa soluzione della camera chiusa è in
relazione al fatto che i due quadrati al piano di sopra fossero come costruiti
sull’ipotenusa, base del quadrato della stanza chiusa dall’interno; e per il
fatto che se non si fosse allontanato il sospetto che il delitto fosse stato
compiuto al piano superiore invece che a quello sottostante, qualcuno avrebbe
subito intuita la strada per uscire dalla casa. E finanche, forse, scoprire l’assassino.
Il giallo nipponico, invero, pur pagando il proprio
tributo al giallo occidentale di marca anglosassone, se ne differenza
sostanzialmente per un carattere ben preciso: il giallo di tipo anglosassone,
quello che si rispetti beninteso, presenta un’indagine effettuata dentro un
certo gruppo di sospettabili dei quali bisogna smontare gli alibi, poi bisogna
individuare le prove e soprattutto i moventi e infine capire il “modus operandi”
dell’assassino. In altre parole, quasi sempre, quando si presenta una
situazione impossibile, essa deve essere capita indipendentemente dall’individuazione
dell’assassino, secondo due momenti ben distinti; nel giallo giapponese invece,
almeno in questo di Shimada, laddove ci sia una situazione impossibile, basta
risolvere la situazione impossibile e qui “la Camera Chiusa”, per capire chi
sia l’assassino. In altre parole, l’azione del delitto non presume un’indagine
basata sul Whodunnit ma sull’ Howdunnit: non chi sia l’assassino (da cui si
desume come abbia assassinato), bensì come l’assassinio si sia svolto (da cui
si desume chi sia l’assassino). Cambia tutta la prospettiva. In questo mi
sembra di poter asserire una verità sostanziale: il giallo nipponico, almeno questo di Shimada, è molto vicino a quello francese di Halter, di
Boileau, di Vindry, in cui i sospettabili sono pochi, estremamente risicati, e
che possono essere messi in discussione solo nel momento in cui l’azione arcana
del crimine venga esorcizzata attraverso la soluzione del crimine impossibile,
che indirizza inequivocabilmente l’attenzione degli inquirenti nei confronti di
un solo ed evidente assassino.
Per di più la soluzione della Camera Chiusa relativa non alla stanza dove vengono trovati i due corpi, ma al modo di lasciare la casa, è molto simile a quella adottata da Halter in Le Tigre borgne.
Per di più la soluzione della Camera Chiusa relativa non alla stanza dove vengono trovati i due corpi, ma al modo di lasciare la casa, è molto simile a quella adottata da Halter in Le Tigre borgne.
Che poi abbia seguito quella soluzione o vi sia arrivato da solo, è comunque vero che Paul Halter è molto amato in Giappone.
Pietro
De Palma
Grazie per i tuoi articoli Pietro, sempre ricchi di spunti interessanti. Avendo apprezzato molto il Tokyo Zodiac Murders, questa tua anlisi mi aveva molto incuriosito, cosi' dopo qualche mese e un pò di fatica ieri sono riuscito finalmente a reperire i due EQ Magazine con i racconti di Shimada, questo della casa pitagorica l' ho davvero godibile. Domani leggerò l'altra (e ultima) storia breve di Shimada tradotta in inglese "The executive who lost his mind" (EQM Aug 2015)
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