Nell’ambito
dei racconti carriani, ce ne sono alcuni conosciuti, tipo La Casa in Goblin Wood, direi anche meritatamente, in quanto
trattasi di assoluto capolavoro, e altri meno, tipo Il Problema sbagliato, oppure La
Porta sull’Abisso, o ancor di più L’Orrore
dei Marvell, un racconto che pochissimi hanno letto in Italia, pubblicato
tanti anni fa su una Estate Gialla “Ellery Qeen presenta” del 1985.
Il
racconto dal doppio titolo originale - infatti il racconto, il cui titolo
originale è “New Murders for Old”, fu
ristampato in altra occasione col titolo “The One Real Horror”. La prima edizione
è quella inglese, col primo titolo citato, apparsa nella rivista “Illustrated London News” nel 1939 e
poi ristampata nella raccolta “Department
of Queer Complaints” l’anno dopo (precisazioni fornitemi, a domanda, da
Mauro Boncompagni) - è un racconto
oserei dire superbo, uno dei rari casi in Carr in cui un doppio finale, lascia
aperta la porta all’evento fantastico e non reale, in aggiunta e in
contrapposizione a quello più evidentemente logico, tuttavia venato da dubbi.
La
vicenda è quella dell’erede di una catena di hotel di lusso andati in malora,
fondati dal vecchio Jim Marvell. Ereditati dal nipote Anthony, giovane votato ad
una brillante carriera di matematico e costretto invece dalle ultime volontà
dello zio che lo amava, ad occuparsi dei suoi hotel, invece di venderli e di
ricavarci il più possibile, come avrebbe fatto il fratello Stephen, chirurgo,
vi si applica, “mente e corpo” in maniera indefessa, cosicchè dopo due anni di
durissimo lavoro ed abnegazione, rischiando l’esaurimento nervoso, riesce non
solo a salvarli dal fallimento ma addirittura a portarli ad un clamoroso
attivo, a farli diventare meta di tutti i ricconi desiderosi di una vacanza
lussuosa.
Ma
i contraccolpi sono di natura nervosa. E così suo malgrado, accetta di
rinunciare anche alla compagnia della sua fidanzata Judith Gates, una ragazza di
umili origini, e di fare una crociera che lo terrà lontano da casa sei mesi.
Tuttavia
appena imbarcato, cominciano le sue disavventure: entrato in cabina, non trova
più i bagagli che aveva lasciato assieme al fratello Stephen. Denunciata la
cosa al commissario di bordo, si sente rispondere che è lui proprio ad aver
dato l’ordine poco prima di sbarcare i suoi bagagli, direttamente, allo stesso
commissario. Tony non sa che pesci prendere e comincia a dubitare di sé, della
propria lucidità mentale. Ordina di andare a riprendere i bagagli, ma poi
quando rientra in cabina, trova sul materasso del letto una pistola con i proiettili
nel caricatore. E’ sempre più confuso, ma invece di buttarla via dall’oblò in
mare, la prende con sé. Dubita persino che sia effettivamente la sua. Ed è
sempre più persuaso di essere lui stesso la causa dei suoi guai: una parte
cosciente è perseguitata da una incosciente. Non accade più nulla una volta che
il bastimento ha lasciato il porto, tranne una cosa che lo fa dubitare delle
sue capacità mentali: ha l’impressione in più d’una occasione che il vecchio
zio Jim lo spii, intabarrato nel suo vecchio cappotto con un bavero antiquato
di pelliccia: il fatto è che Jim Marvell è morto e sepolto.
Dopo
circa sei mesi di assenza, perfettamente ristabilito e sentendosi nel pieno
delle sue facoltà mentali, decide di rientrare a casa. Ma ecco che nel treno che
lo sta riportando indietro, nello scompartimento trova un giornale del giorno
prima che parla della sua morte per suicidio. Riavutosi dalla sorpresa, scopre
con apprensione che non può trattarsi di un fake: l’articolo è troppo
circostanziato, le persone sono quelle della sua famiglia, i luoghi sono quelli
della casa avita. Tony non sa che pesci prendere, comincia persino a dubitare
di essere lui Tony Marvell. E intanto c’è qualcuno nel treno che non lo perde
d’occhio, una persona con un bavero antiquato di pelliccia.
Tony
cerca di prendere il taxi, ed ecco quel tale è dietro di lui. Nevica. Il taxi
arriverebbe a destinazione e soprattutto lui riuscirebbe a seminare una buona
volta quel visitatore indesiderato, ma il taxi ha un incidente avendo dovuto
scansare all’ultimo momento un uomo coperto da un pesante cappotto con un
bavero di pelliccia.
Tony
scende dall’auto ed ecco, il suo accompagnatore indesiderato è dietro di lui.
Accelera il passo e quello idem. Tony corre, ma anche quello dietro di lui.
Tony ha le chiavi di casa, sta per aprire il portone ma gli sfuggono. Quando vi
riesce, quella figura vagamente familiare è alle sue spalle. Colto dal terrore
cerca di reagire cercando di impugnare la pistola ma quella cade. Si rifugia al
piano superiore ed entra in camera sua. Accende le luci e si accorge che
qualcuno giace nel suo letto, coperto da un lenzuolo. Vince la paura, scopre il
lenzuolo e si ritrova un altro Tony Marvell.
Sconvolto
si volta e vede suo fratello Stephen che gli parla ma mentre ciò avviene ecco
che la figura che lo perseguitava è lì. Stephen urla, strepiti, una mano,
quella dell’essere chiude a chiave Tony in camera sua in compagnia del suo
doppio, e poi, dopo ancora urla di soccorso da parte di Stephen, dopo che la
governante è accorsa in tempo per vedere la porta della camera di Stephen
chiudersi, ecco un colpo di pistola: Stephen è ritrovato ucciso con un colpo di
pistola alla tempia.
E
l’assassino ? Volatilizzato: le finestre erano sprangate. Nessuno era presente
dentro quando hanno aperto la porta, e fuori c’era la governante che giura che
nessuno, proprio nessuno sia entrato. A testimoniare che sarebbe potuto esserci
qualcuno, solo una vago odore di pelliccia ammuffita.
Il
racconto termina così come era iniziato: il sovrintendente del CID ha
raccontato la storia di Tony alla fidanzata Judith. Tony è libero da ogni
sospetto e lo deve soprattutto al fatto di essere stato chiuso a chiave in
camera sua. Stephen è morto. Suicida, è
il verdetto finale. Nessuno c’era in quella stanza e nessuno poteva esserne
uscito. Ma perché mai si sarebbe ucciso? E chi era il doppio di Tony? Ma era
veramente Tony, Tony Marvell?
Straordinario
racconto di Carr, direi un autentico capolavoro, assolutamente sconosciuto in
Italia ( o quasi ), lo sarà ancora per parecchi da informazioni acquisite per
via personale. Direi che assieme a The
Door To Doom e Blind Man’s Hood compone una triade veramente
straordinaria, di racconti con tinte soprannaturali che sconfinano
abbondantemente nella letteratura fantastica.
Già nei primi righi si comincia ad
intuire l’orrore della storia: Sir Heargraves, Sovrintendente del CID, sta
raccontando una storia ad un’altra persona e stanno in una camera: l’identità
della persona è sconosciuta e verrà rivelata solo alla fine, perché se venisse
rivelata subito, verrebbe tolto un po’ di suspence alla vicenda. In più Sir
Hargraves allude ad una “cosa” che era lì sul letto. Badate bene: sta parlando di una “cosa”. Poi Carr scrive che l’aria
aveva un odore vagamente dolciastro. Dolciastro!
Quando in un romanzo poliziesco, un
mystery, si usa quest’accezione, il rimando è sempre alla decomposizione di un
corpo: la putrefazione da origine ad effluvi nauseabondi e dolciastri.
Il modo in cui Carr introduce la storia
ha in sé già il tocco del genio: fuori fa freddo e nevica, ma dentro
l’atmosfera è soffocante, e si sente ancora un che di dolciastro. Quando parla
di una cosa sul letto, a me fa venire alla mente un romanzo di Talbot. Sicuramente
questo chiamare il corpo sul letto “cosa”, è un rimando diretto a quell’altra
“cosa”, sul letto di un’altra stanza da letto, in The
Hangman's Handyman.
Il
romanzo di Hake Talbot è del 1942. Talbot e Carr erano amici: è cosa risaputa.
A me pare per lo meno strano, e lo sottolineo, che nel romanzo di Talbot
compaiano dei caratteri presenti in questo racconto che è precedente.
Cosa
voglio dire? Che potrebbe anche essere che Talbot abbia preso delle cose da
Carr, da questo Carr, nonostante egli avesse affermato che il suo principale
ispiratore era stato il Melville Davisson Post delle storie di Zio Abner: in
entrambi i testi si parla di un omicidio impossibile, in ambedue i casi vi
entra una situazione soprannaturale (solo che in Carr potrebbe essere vera, in
Talbot si dimostra che non lo fosse in realtà), in ambedue i casi vi è un
doppio cioè un sosia (nel racconto di Carr è vero, nel romanzo di Talbot no),
in ambedue i casi vi è il ricorso al tema della putrefazione dei corpi post
mortem (in Talbot è la causa del problema: una maledizione volta a far marcire
un corpo in breve tempo; in Carr l’effetto: il doppio si è ucciso qualche
giorno prima); in ambedue i casi si parla di una “cosa” adagiata sul letto e
coperta dal lenzuolo (in Carr si parla di cosa,
termine usato anche da Talbot; Talbot aggiunge che sembrava un “lumacone”).
Ma
Carr a sua volta mi sembra che citi nell’asfissiante pedinamento di Anthony
Marvel da parte del supposto zio Jim morto, un racconto di Joseph Le Fanu, in
cui un uomo viene marcato stretto dalla sua ombra, che per lui è sinonimo di
presagio di morte. Anche nel racconto di Carr,
la marcatura stretta della misteriosa figura in cappotto dal bavero di
pelliccia antiquato sembrerebbe essere un presagio, o almeno un’espressione di
un potere malefico. Invece, Carr rivoluziona il tutto, perché se Tony teme quel
pedinamento perché pensa che voglia in qualche modo attentare alla sua vita, in
realtà la figura vuole solo salvarlo. Zio Jim lo amava e non avrebbe quindi
neanche da morto voluto la sua morte. Invece è come se la sua asfissiante
presenza fosse l’unica mossa per garantire a Tony di restare in vita: infatti
egli è stato già vittima, non sapendolo, di un tentativo di “delitto perfetto”
non riuscito solo perché è stato scelto un assassino inadatto al ruolo perché
incapace di uccidere.
Sarebbe
dovuto essere un omicidio perfetto (Tony Marvell sale sulla nave e poi
sparisce, e al suo posto si materializza un altro Tony Marvell esattamente
uguale a lui, come sarebbe stato un delitto perfetto se “La maschera di ferro”
si fosse sostituito a Luigi XIV, condannandolo al posto suo ad una prigionia
avita nella Bastiglia). E invece no. Mentre quello di Stephen se non si crede
alla teoria del suicidio (per quale motivo avrebbe gridato e per quale motivo
avrebbe chiuso a chiave la porta della camera da letto di Tony dall’esterno,
perché sicuramente la governante non l’ha fatto?), è sicuramente un delitto
perfetto, compiuto però da un morto vivente, dallo zio svegliatosi dal sonno
eterno.
Devo
dire che la traduzione di Roberto Sonaglia, un antropologo che Mauro conobbe e
presentò a Gian Franco Orsi, in quanto sfegatato appassionato di Carr, è
magnifica. Lui dice di aver tratto giovamento leggendo le traduzioni di Maria
Antonietta Francavilla, che erano sospese tra il divertito e il drammatico dei
testi di Carr. A me francamente invece quel suo modo di tradurre, molto nero,
lo avvicina più ai traduttori di un tempo, per esempio Laura Grimaldi o Rossana
De Michele.
Proprio Roberto Sonaglia, mi da modo di sottolineare un altro
carattere di questo racconto che risiede oltre che nel suo avere un doppio
finale anche soprannaturale, anche nell’essere un racconto di genere Gotico.
Sonaglia, a questo proposito, scrisse un articolo proprio sul Gotico in Carr, pubblicato - in
appendice al G.M. 1821 del 1983, in cui era stato pubblicato l’inedito di Carr He Wouldn’t Kill Patience – assieme a
due articoli di Boncompagni e ad uno di Lippi. Ne riporto un breve estratto che
si applica anche al racconto in questione:
“Carr fa anche di più; proponendo
una particolare dimensione del misterioso, a suo tempo sviluppata da Gaston
Leroux, egli gioca addirittura sull'esistenza/inesistenza del soprannaturale,
artificio decisamente più adatto alle nostre menti smaliziate che sorridono
idealmente dei fantasmi e, tuttavia, non sanno ancora decidere se credere o
meno ad una realtà metafisica. Questo gioco elegante, come nei neogotici,
presenta tutti i sintomi di un biofilo gusto estetico, ripercorrendo il cammino
tracciato dalla ghost story
classica dove lo spirito, con la sua incorporeità, sposta già l'indice dal
carnale all'impalpabile, dall'orrore al mistero.”
Il pensiero
di Roberto è chiaramente
condivisibile, ed è applicabile – anche per quello che ho detto – quando
per esempio si insinua che la figura
che si nasconde dietro una pianta sul transatlantico, sia il vecchio Jim
Marvel, o meglio il suo fantasma, indicato da un particolare, il collo
di
pelliccia antiquato del cappotto che usava il vecchio Jim; o quando
questa
figura si insinua che sia presente sul treno, che segua Tony fino al
taxi che
lo condurrà a casa, che sia quella che faccia sbandare il taxi perché
Tony
arrivi a casa non subito in modo che lui, il morto vivente lo possa
tallonare,
appropriarsi della pistola e poi uccidere. Ma quell’artificio di cui si
parla , cioè l’esistenza/inesistenza del soprannaturale che è il quid
poi del
“genere fantastico” perchè genera una sorta di disorientamento nel
lettore, lo
abbiamo quando Sir Hargraves parla con Judith a pag.217:
Judith parlò dall’oscurità oltre il fuoco a gas.
"-Questa persona che seguiva Tony, non mi starete dicendo che era…insomma,
era…
-Era cosa?
-Morta, completò Judith.
-Non so chi fosse, rispose Heargraves, guardandola fermamente. –Tranne che
sembrava qualcuno con un collo di pelliccia sul cappotto."
Ancora di più, con il dialogo con cui si conclude il
racconto: anche qui c’è questo gioco a rimpiattino tra l’adombrare il
soprannaturale e il negarlo:
"-Ma è assurdo! –
gridò Judith. – Stephen non mi piaceva; ho sempre saputo che odiava Tony; ma
non era tipo da suicidarsi nemmeno se fosse stato scoperto. Vi rendete conto
che non avete chiarito l’unico vero orrore? Devo saperlo. Voglio dire, devo
sapere se voi pensate quello che penso io.
“Chi era l’uomo
con il collo di pelliccia marrone? Chi ha seguito Tony fino a casa quella
notte? Chi gli stava alle costole..? Chi era il suo protettore? Chi ha sparato
a Stephen per vendetta?
Sir Charles
Hargraves abbassò lo sguardo sul fuoco crepitante, il volto corrugato in
un’espressione indecifrabile. La sua mente racchiudeva molti segreti. Era
pronto a custodire anche questo, ora che si erano capiti.
-Ditemelo voi-
rispose."
Ma
perché uccidere Stephen se non si è ucciso ?
Qui gladio ferit
gladio perit.
Tuttavia
il racconto oltre ai caratteri gotico e soprannaturale che può accadere siano
complementari (per esempio la vecchia dimora austera, buia, con rumori e
scricchiolii, e uno spettro o comunque un morto vivennte, sono
due soggetti chiaramente abbinabili), ha
anche quello fantastico. Infatti il modo come lascia al lettore,
percorribile
alternativamente, la via dell’omicidio impossibile messo in atto da un
essere
che entra nella camera e poi vi svanisce letteralmente senza lasciare
traccia
oppure quello del suicidio altrettanto poco probabile conoscendo la
vittima (rintracciabile per esempio negli altri due racconti citati e
nel romanzo The Burning Court), fa
sì che il lettore venga interessato da quel tipo di straniamento di cui parla
Todorov nel suo saggio sul fantastico:
«Il
fantastico occupa il lasso di tempo di questa incertezza: non appena si è
scelta l'una o l'altra risposta, si abbandona la sfera del fantastico per
entrare in quella di un genere simile, lo strano o il meraviglioso. Il
fantastico è l'esitazione provata da un essere che conosce soltanto le leggi
naturali, di fronte a un avvenimento apparentemente soprannaturale».
Pietro hai un profilo FB?
RispondiEliminaVorrei aggiungere il tuo sapere a discussioni di gruppo che spesso facciamo in pagina a tema.
No. Non ho profilo FB
RispondiElimina