Guarda caso, nel 1941, Carr pubblica anche un romanzo, non lungo come altri (che alcuni critici ritengono più un racconto lungo, ma che a parer mio è un romanzo vero e proprio: e i romanzi francesi di Boileau e quelli di Halter, cosa sarebbero allora?), ma che a ragione viene ritenuto un caposaldo della sua produzione: The Case of the Constant Suicides.
E’ un romanzo particolare, in cui non solo trovano
posto ben tre omicidi avvenuti in Camere Chiuse, ma anche in cui vi è un’atmosfera
straordinaria (in Scozia), grandi momenti di capacità narrativa, e una vena
umoristica spassosa, estremamente brillante, che rende la lettura di questo
libro estremamente piacevole.
Il plot è originale; tuttavia uno dei subplot deriva
direttamente dal racconto The Empty Flat
(L’appartamento disabitato) del 1940,
ma pubblicato solo ventitre anni dopo, nel 1963: il romanzo si apre infatti con
due storici, che si scontrano sulle pagine di un giornale, rintuzzando gli
affondi altrui.
Alan
Campbell, storico che tiene una rubrica su un giornale con pretese letterarie,
Il Sunday
Watchman, ha recensito il libro “Gli
ultimi giorni di Carlo II, di un certo K.I.Campbell. La sua recensione, non lo ha stroncato, ma
comunque ha rilevato delle inesattezze storiche. Che però non sono tali per il
K.I Campbell che risponde a tono. Da cosa nasce cosa e ben presto un semplice
botta e risposta diventa una querelle, cui partecipa il pubblico inondando di
lettere il giornale che in un primo tempo trae profitto dal litigio mediatico,
ma poi comincia a preoccuparsi quando i rilievi sul fatto che Barbara Villiers,
Lady Castlemaine, avesse i capelli rossi e fosse minuta, cominciano a
riguardare la sua anatomia, in maniera specifica. In questa baraonda mediatica
entra persino un erudito, tale Gideon Fell che dice la propria, che non è
d’accordo né con l’una né con l’altra tesi. Per cui la querelle viene tacitata
quando i due ormai, incavolati neri, dimenticando persino l’oggetto del
contendere, si randellano l’un l’altro, menando mazzate alla cieca. Però ad
Alan Campbell che ad un certo punto del botta e risposta era stato offeso in
merito alla sua competenza di storico e gli era stata rivolta l’accusa di non
intendersi di donne, avrebbe voluto vedere K.I. Campbell friggere nell’olio
bollente.
Orbene, Alan Campbell ha preso il treno per andare
in Scozia, da certi suoi parenti, solo che nel suo scompartimento, il n.4, con
suo disappunto, trova che è stato occupato da una donna. Il suo disappunto si
tramuta in stupore e poi in rabbia repressa quando, guardando la targhetta
sulla valigia aperta, nota che appartiene a tale K.I. Campbell, colui, ora
rivelatosi una donna, che lo ha umiliato sulle pagine del giornale.
Qualificatosi, i due cominciano di nuovo a litigare. Così urge soprattutto
sapere di chi sia lo scompartimento e quindi la cuccetta, perché ognuno dei due
rivendica a sé il possesso della stessa. Viene chiamato l’inserviente, che con
imbarazzo proprio e disappunto dei due, rivela che la cuccetta è stata riservata
per un certo Campbell, senza distinguere se esso sia maschio o femmina. Inoltre
non c’è un posto a sedere in tutto il treno, neanche in terza classe. Dopo
nuove prese di posizione, e dopo che Alan ha deciso di lasciare alla donna la
cuccetta, la studiosa, Kathryn, gli offre di rimanere lì e di spartirsi la
cuccetta, con buona pace dell’inserviente di vagone che pagherebbe per uscire
da quell’incresciosa situazione. Va da sé che i due giovani, pur rimbrottandosi
a vicenda, ben presto fanno conoscenza l’un l’altro, capendo di essere cugini
di terzo grado, e diretti nello stesso luogo. E dagli stessi parenti.
E’ morto un loro parente, tale Angus Campbell,
cadendo dalla torre del castello di Shira ad Inveraray. I due, che sono lontani
parenti, figli di cugini, sono stati chiamati per partecipare ad una riunione
di famiglia. Quando giungono al castello, assieme ad un certo Swan, un
giornalista diretto dai loro stessi parenti per intervistare Elspat, l’amante
del vecchio Angus, anche lei anziana, donna di eccezionale carattere che però
lui non ha voluto mai sposare, inizialmente non sono ben visti dalla donna,
sulla base che non appartengono alla Chiesa di Scozia ma a quella Anglicana.
Al focherello
di questo difficile inizio di rapporti, aggiunge benzina Charles Swan, il giornalista
che era arrivato assieme ai due, che incappa in una serie impressionante di
gaffes, che fanno imbestialire prima Elaspat e poi Colin. E’ solo in un secondo
tempo, dopo che sono entrati in campo Alistair Duncan, legale della famiglia, e
Walter Chapman, agente assicurativo, e Alan si è spiegato alla vecchia e l’ha
ammansita tenendole una lezione dotta sulla Chiesa di Scozia, e la giovane
Kathryn è stata presa sotto l’ala benevola della vecchia parente, che i due
giovani vengono accettati. Ma poi, quando Alan, interrogato da Colin Campbell,
fratello minore di Angus e cognato di Elspat, sulla sua disponibilità ad
ingurgitare la “perdizione dei Campbell”, un whisky stravecchio di alta
gradazione alcolica, accetta e lo metabolizza allegramente, ubriacandosi e
cominciando a duellare con Colin con delle Claymore, indossando a mo’ di
mantelli delle tovaglie colorate e poi avendo visto Swan lo hanno rincorso
punzecchiandolo sul sedere, beh solo dopo questo, la vecchia Elspat riconosce i
due giovani parenti a pieno titolo di Angus e Colin.
A questo punto ecco emergere un altro dei subplot di
questo romanzo: il vecchio Angus aveva da poco tempo stipulato un’assicurazione
sulla sua vita per trentacinquemila sterline. Chapman vuole provare che il volo
dalla torre di Angus sia stato un suicidio, perché così non pagherebbe una
sterlina, mentre Colin è intenzionato a provare il contrario. Per questo ha
invitato al Castello di Shira il suo amico Gideon Fell, gaudente scopritore di
arcani e diabolici assassini, nonché grande fumatore di pipa e bevitore di
whisky, estasiato davanti all’offerta dell’amico di provare anche lui “la
perdizione dei Campbell”.
Gideon Fell comincia ad investigare sulle vicende
della morte di Angus. Ed ecco una serie inspiegabile di fatti: è scomparso il
diario di Angus; Forbes, il socio di Angus che aveva litigato con lui prima
della sua morte, è scomparso; è stata trovata una valigia strana in quanto una
parte ha una gabbia come se avesse contenuto un animale: prima della morte di
Angus, pare che Forbes l’avesse lasciata su, nella camera di Angus: secondo
alcune testimonianze era stata lasciata sotto il letto già, mentre altre
testimonianze successive negano che all’atto dell’uscita di Forbes ci fosse; la
camera era chiusa dall’interno; il letto era in disordine e la vittima
indossava un pigiama al momento della morte; sulla maniglia della finestra
c’erano solo le impronte di Angus
Poi c’è qualcuno che giura di aver visto qualcuno
con la faccia sfigurata affacciarsi dal castello, di tarda sera.
Un presagio.
Poi riappare il diario scomparso.
Fell comincia ha paura che Colin che vuole sfatare
il tabu della torre e dei misteriosi fantasmi o animali fantastici e invisibili
racchiusi, passando la notte nella stanza di Angus, sia in pericolo di vita,
visto che non ha ancora capito come Angus sia morto. E la sua paura diventa
certezza, quando Colin vola a sua volta dalla finestra della torre. Ancora una
volta si pone la domanda: suicidio, incidente od omicidio? Ma ancora una volta
la stanza è chiusa dall’interno e sotto il letto viene rinvenuta di nuova una
valigia con la gabbia, una sorta di canile portatile.
A questo punto Fell capisce cosa fosse contenuto
nella valigia. E pensando ad un tentativo di omicidio, vuole trovare Forbes per
interrogarlo. Ma non riesce a farlo perché quando trovano Forbes nella sua
baracca, è appeso per il collo ad un cappio formato dalla cintura del suo
accappatoio. Anche questa volta la porta è chiusa dall’interno per mezzo di un
catenaccio.
Tuttavia a questo punto, anche il Fato fa la sua
comparsa: Colin è volato sì dall’alto della torre, senza che nessuno l’abbia spinto, ma per
effetto di qualcosa che qualcuno gli aveva rimesso sotto al letto; e per di più
non è neanche morto. No, si è rotto femore, un braccio e qualcos’altro , ma la
pellaccia ha fatto il resto, Per l’assassino è un brutto colpo. Voleva farlo
fuori. Già, ma… perché? Perché qualcuno avrebbe voluto uccidere Colin? E perché
uccidere Forbes?
E’ vero che è stata trovata dentro la baracca una
lettera di addio in cui si addossa le tre morti, però è anche vero che la
suscettibilità di Elspat, la scomparsa e la ricomparsa del diario, le
condizioni economiche drammatiche in cui avevano vissuto Elspat, Angus e Colin,
ha convinto Fell che la prima morte sia stata la conseguenza di un suicidio:
Angus voleva già uccidersi, solo che avrebbe voluto farlo nella sua stanza, con
le imposte chiuse. Ma la cosa che era racchiusa dentro la valigia e che lo ha
ucciso, il ghiaccio secco poi trasformatosi in anidride carbonica, lo ha
costretto in un estremo anelito di vita, a correre dal letto alle imposte,
aprirle di schianto, perdere l’equilibrio e cadere. Così, il volare fuori dalla
finestra ha rivoluzionato gli intendimenti di Angus: se fosse stato trovato
dentro la camera, Forbes sarebbe stato accusato di un delitto non suo e la
vendetta di Angusa contro il suo ex socio si sarebbe concretizzata (e Elspat e
Colin avrebbero approfittato delle 35.000 sterline dell’assicurazione); ma il
volare fuori dalla finestra, ha sostanziato la presunzione del suicidio, e volatilizzandosi l’agente
killer nell’aria e non rimanendo invece nella stanza, è volata anche via la
prova che l’avrebbe legato a Forbes.
Nel momento in cui Fell sa che Angus ha voluto
uccidersi, e non è stato ucciso, ed con una lettera Forbes si accusa di averlo
ucciso e quindi scusa la sua morte, Fell sa che è una lettera falsa e
conseguentemente anche la stessa morte di Forbes si tramuta da suicidio in
omicidio. C’è un assassino che uccide per cosa? Perché tutti pensino che i due
fratelli siano stati uccisi da Forbes e che Forbes poi si sia ucciso; che non
sa che Colin è scampato; e non sa che Fell ha preso informazioni dai volontari
del servizio civile.
Fell ha capito anche come Forbes sia stato ucciso.
Quando è stato rinvenuto, in casa c’era un puzzo di paraffina molto forte, e
soprattutto la lampada in casa era spenta e la paraffine finita, e la cortina
di oscuramento (un pannello incatramato da applicare alla finestra), escamotage
per evitare che la luce interna uscisse all’esterno e quindi permettesse ad un
cacciabombardiere di capire che lì c’erano abitazioni (il romanzo è scritto
durante la Guerra ed i bombardamenti tedeschi sull’Inghilterra). Perché
l’assassino uscendo non ha lasciato la cortina al suo posto? Perchè
evidentemente non doveva esserlo. Così Fell pensa e ripensa e analizza le cose
che lì dovrebbero esserci, perché quella è una baracca di pesca, e quindi ci
sono strumentazioni per pescare, eppure manca l’unica cosa che dovrebbe esserci
ed invece non c’è e che viene invece rinvenuta altrove, una canna da pesca
smontabile: perché l’assassino l’ha portata via? Perché è stata usata per
mettere in esecuzione il trucco della Camera Chiusa. Per farlo Fell ricorre
alla geometria: lo sottolineo…alla geometria(ricordatevelo, che poi spiegherò
il perché). La stanza è quadrata. La porta è al centro di un lato, e la
finestra al centro di un lato adiacente alla base (non opposto, si badi bene).
Il chiavistello è nuovo e in quanto tale riflette la poca luce nella stanza.
Tramite un uncino con del fil di ferro, fatto passare attraverso le maglie
della grata della finestra e collegato alla canna da pesca, l’assassino ha
agganciato l’occhiello del catenaccio e in diagonale lo ha tirato a sé, chiudendo
la porta dall’interno: ecco perché la cortina doveva essere rimossa dalla
finestra, ecco perché ha svuotato al lampada come se la fiamma l’avesse
esaurita (ma nessun volontario, pur notando la targa dell’auto dell’assassino
ha notato luci dall’interno uscire all’esterno della casupola), ecco perché ha
fatto sparire la canna (perché la modifica avrebbe potuto far capire il suo
intendimento omicida).
L’assassino vuole che si pensi a due morti per
omicidio, perché l’assicurazione paghi. Perché così lui intaschi. Chi allora è
l’assassino? Elspat,la vecchia Elspat? No. Uno dei due giovani? Potrebbe.
Tuttavia ecco affacciarsi anche un altro sospettabile, il terzo fratello,
Robert, scappato dalla Scozia molti anni prima perché coinvolto in una truffa
ed in una sparatoria, e riparato all’estero. Chi potrebbe essere? E non è forse
un suo discendente, magari un figlio, ad essere interessato anche lui delle
35.000 sterline? Chi potrebbe essere? Uno dei due Campbell, Kathryn e Alan?
Oppure il sedicente giornalista Swan ? Oppure l’agente assicurativo Chapman?
Fell ricostruisce, acquista informazioni e inchioda l’assassino, a cui tuttavia
offre questa volta una via di fuga, a patto che mantenga il suo intendimento,
che cioè la morte di Angus venga presentata come un suo omicidio, e che egli si
addossi anche la morte di Forbes e il tentato omicidio di Colin: se farà
questo, Fell gli garantisce 48 ore di tempo per ritornare all’estero. Solo così
Elspat potrà vivere gli ultimi anni della sua vita felice che il suo Angus non si
sia suicidato.
Questo è un capolavoro!
Carr nel 1941 era al massimo della sua forma, e non
ancora provato dalla guerra come testimoniò la sua produzione successiva (per
es.
She Died a Lady), quando la sua casa risultò distrutta da un
bombardamento.
Un capolavoro ho detto perché oltre ad esserci tre
delitti risolti brillantemente uno per uno, con
smaglianti e brillantissime esposizioni e ragionamenti di prim’ordine,
Carr dimostra il suo lato umano, dimostrando quello di Fell.
Fell non è un membro della polizia, a lui non
interessa che il reo paghi o non paghi il fio delle sue colpe, ma che venga
messo nelle condizioni di non nuocere; e qui addirittura gli offre una via di
fuga, che non avrebbe meritato, perché ha ucciso spinto dall’avidità, e ha ucciso
per di più un essere che non gli aveva fatto nulla come Forbes, per solo
calcolo, al fine di far ricadere la colpa su di lui. Un assassino spietato, che
avrebbe meritato ben altra sorte. Eppure Fell, per consentire ad Elspat di
godere senza rimpianti e senza rimorso gli ultimi anni della sua vita, non
esita a consentire all’assassino di mettersi in salvo purchè egli si addossi la
colpa anche di quello che non ha fatto.
Ma il romanzo è capolavoro anche per la capacità
narrativa di ammaliare il lettore, soprattutto attraverso passi di grande
umorismo mediante i quali Carr riesce a svelenire la storia e a divertire. Tra
i tanti personaggi , una grande rilevanza è data ai due Campbell, due studiosi
di storia che si affrontano prima sulle pagine di un giornale con grande piglio
e rasentando il vilipendio e l’offesa personale, per ritrovarsi (guarda caso)
nello stesso scompartimento di un treno che corre alla volta di Glasgow; un
treno affollatissimo, in cui per un disguido (altro caso) finiscono nello
stesso scompartimento che ha un’unica cuccetta. Dopo aver ognuno dei due
rivendicato il possesso di essa, dopo aver ognuno dei due chiesto un’altra
lasciando quella all’altro (ma ovviamente non si può fare perché, altra
fatalità, tutti gli scompartimenti sono occupati), l’atmosfera nera si risolve
quando lui galantemente si offre di passare la notte in piedi nel corridoio
lasciando la cuccetta a lei. E’ Kathryn Campbell allora a addolcire i suoi toni
e ad offrire metà cuccetta a lui: cosa significa? Che dormiranno uno accanto
all’altro (se non uno sull’altro). Dio li fa e li accocchia! Carr non dice
anche stavolta come finisce però lo fa capire con un dialogo ad effetto:
“A sense of intimacy, uneasy
and yet exhilarating, went through Alan Campbell They were both crowded close
to the window. The two cigarette-ends made glowing red cores, reflected in the
glass, pulsing and dimming. He could dimly see Kathryn's face.
The same powerful
self-consciousness suddenly overcame them again. They both spoke at the same
time, in a whisper.
"The Duchess of
Cleveland -'
'Lord William Russell -'
The train sped on.”
Bellissimo. E il lettore
capisce subito che tra i due si è instaurato già qualcosa di più di
un’amicizia, nonostante ciascuno dei due rimanga arroccato sulle sue posizioni.
Si arriverà verso la fine
del romanzo alla piena coscienza di essere innamorati.
Per indicare questa
tappa, il Nostro si servirà delle prime tre strofe di una canzone molto
conosciuta al tempo di Carr, “I Love a
Lassie” di Sir Henry “Harry” Lauder, inserendole in un dialogo pomposo e bombastico:
"Colin lifted the shotgun and waved it in the ait as
though conducting an orchestra. His bass voice beat against the windows.
'I love a lassie, a bon-ny, bon-ny las-sie - ‘
Swan, drawing his chin far into his collar, assumed
an air of solemn portentousness. Finding the right pitch after a preliminary
cough, he moved his glass gently in time and joined in.
'She's as pure at the li-ly in thedell-!
To Alan, lifting his glass in a toast to Kathryn,
there came a feeling that all things happened for the best; and that tomorrow
could take care of itself. The exhilaration of being in love, the exhilaration
of merely watching Kathryn, joined with the exhilaration of the potent brew in
his hand. He smiled at Kathryn; she smiled back; and they both joined in.
'She's as sweet as the heather, the bon-ny pur-ple heather - ‘
He had a good loud baritone, and Kathryn a fairly
audible soprano.'Their quartet made the room ring. To Aunt Elspat, returning
with a set of bagpipes - which she grimly handed to Colin, and which he eagerly
seized without breaking off the song."
(Traduzione di Maria Antonietta
Francavilla)
“Colin brandì il fucile da caccia e lo sventolò in
aria come la bacchetta di un direttore d’orchestra. La sua voce i basso fece tremare la finestra:
Io amo una ragazza, una
bella ragazza…
Swan ..si schiarì la gola trovando il tono giusto e attaccò anche lui,
marcando il tempo col bicchiere
Pura come il giglio della
valle!
Alan alzò il bicchiere in un brindisi a Kathryn e si sentì pervadere
dalla confortante sicurezza che tutto andava per il meglio e che era inutile
preoccuparsi pensando al domani. La felicità di essere innamorato e distar lì a
guardare la ragazza che aveva accanto si unì al potere esilarante della
dinamite che stava bevendo. Sorrise a Kathryn. Lei gli restituì il sorriso e tutti e due si
unirono alla canzone.
Dolce come l’erica,
l’erica purpurea
Lui aveva una bella voce di baritono e Kathryn una gradevole voce di
soprano. Il quartetto ora faceva vibrare addirittura le pareti della stanza. La
zia Elspat tornò con le cornamuse e le porse con aria severa a Colin, che le
acciuffò senza interrompere la canzone.”
E’ l’evoluzione del
dialogo tra K.I. Mills e Douglas Chase in The
Empty Flat: lì Carr non si era spinto tanto oltre perché la brevità
dell’impianto narrativo di un racconto gli impediva l’accumulo e la risoluzione
della tensione anche con dialoghi di amore.
Il dialogo dimostra
ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno, quanto Carr fosse scrittore nel
vero senso della parola: se la cosa lo avesse interessato, come la sua collega
Georgette Heyer, anche Carr avrebbe tranquillamente potuto sfornare con
nonchalance romanzi sentimentali.
Laddove invece Carr
dimostra di nuovo il cambiamento di rotta e la sua versatilità, e come sapesse
anche affrontare con grande verve e spirito una parte brillante, in vari passi
veramente spassosi: è quello che già avevamo messo in luce analizzando The House in the Goblin Wood, dove alla
tragedia che si sta per consumare, Carr oppone l’ilarità della scivolata e caduta buffonesca di Merrivale per le scale
dovute ad una buccia di banana. Prima le gaffes a ripetizione di Swan che lo
rendono antipatico a Elspat e Colin; poi l’ubriacatura di Alan e Colin, di
whisky stravecchio chiamato “La perdizione dei Campbell”, con conseguente
duello con le Claymore, ammantati di tovaglie a quadri a indicare ipotetici
clan, e successivo affondo contro le natiche del povero Swan, vittima designata,
su istigazione di Kathryn, anche lei brilla;
Swan che viene omaggiato da due secchiate di acqua dall’alto della torre
da parte di Elspat, proprio quando l’atmosfera si era rasserenata e lui era
ritornato al castello; di nuovo Swan preso a schioppettate con un cal.20 prima
da Colin e poi da Kathryn, dopo altra ubriacatura.
Non solo! Ci sono tutte
le espressioni e relativi corollari di invocazioni molto colorite di Fell
quando si accorge di aver commesso degli errori di ragionamento:
-“ la sua espressione si mutò in una smorfia che intendeva esprimere il
più gargantuesco tatto: - Posso sapere se voi die siete fidanzati?” (pag.87)
-Neanche per sogno!, gridò Kathryn. - Allora per amor del cielo, cercate di
sposarvi. E fatelo il più presto possibile!...Ma ciò che probabilmente
leggerete sul vostro conto nel prossimo numero del Daily Floodlight, non
piacerà affatto né all’università di Highgate
né a quella femminile di Harpenden : quella storia travolgente
dell’inseguimento notturno di due tagliagola armati di claymore, mentre la
signora gridava incoraggiamenti ai criminali che volevano assassinare il povero
giornalista, è il colmo dei colmi (pag.88)
-Alan
s’interruppe perché sul viso del dottor Fell si era stampata all’improvviso
un’espressione di pura completa idiozia. Il dottore stava strabuzzando e
roteando gli occhi, e la pipa quasi gli cadde dalla bocca. – Oh tuoni e
fulmini! Oh Bacco! Oh il mio vecchio cappello!” (pag.152)
-Alan vide di
nuovo diffondersi sul suo faccione l’aria di stranito stupore e di totale
imbecillità che aveva già notato tempo prima. Stavolta però sembrava più
profonda e più esplosiva. “Oh cielo! Tuonò l’omone. – Che razza di cetriolo
sono stato! Che somaro sesquipedale! Che idiota cosmico!” (pag.158)
Chi dice che l’essenza di Carr è nel racconto e che
Carr migliorerebbe con parecchie pagine in meno dice qualcosa di assurdo
secondo me: l’essenza di Carr non è nel racconto ma nel romanzo! Senza la
possibilità di narrare, di mutare i toni, di variare l’atmosfera, di passare
dal tragico al comico, di stupire , avendo naturalmente lo spazio e il tempo,
Carr perde molto della sua forza espressiva. Carr non è come Hoch, come
Commings, come Rawson che riescono a sintetizzare in pochi righi quello che lui
può fare in molti. Anche se la grandezza della sua arte si esprime ai massimi
livelli anche nei racconti. Pochi però assurgono al rango di capolavori.
Questo romanzo è straordinariamente interessante
anche e infine come risposta di Carr ad una provocazione di Rawson.
Intendiamoci, la provocazione è solo nelle corde di Carr, non in quelle di
Rawson. Abbiamo accennato nel caso di un racconto di March, come Carr avesse
risposto con una sua invenzione alla invenzione di un romanzo di Rawson. Qui io
leggo un’altra risposta di Carr. Si esplica nella soluzione della camera chiusa
nella baracca di Forbes. Cosa dice Fell ? Ecco:
-“Signor
Duncan ve ne intendete di geometria?” (pag.197).
Geometria? Chi aveva già parlato di geometria?
Rawson, attraverso il Mago Merlini in Death from a Top Hat (Morte
dal Cappello a cilindro, 1938).
Il disegno si presentava così.
La
X – precisò Merlini – rappresenta il
centro de cerchio. BC misura
venticinque centimetri e BA dieci.
Qual è il diametro del cerchio? Non è richiesto nessun calcolo…. Sbirciai
sospettoso il diagramma e azzardai: Il quadrato dell’ipotenusa di un triangolo
rettangolo è uguale alla somma dei quadrati degli altri due… Già - fece Gavigan
– il quadrato di venticinque meno il quadrato di.. di.. – ma si impappinò. No,
non possiamo trovarlo, se conosciamo soltanto l’ipotenusa. Dovremmo avere la
lunghezza di XC per trovare XB….Il tempo è scaduto. Tutti e due sul
banco degli asini.. La risposta è lì che vi guarda, sotto i vostri occhi. Vi ho
chiesto il diametro e vi ho dato il raggio. Basta moltiplicare per due, non vi
pare? “.
(Clayton
Rawson: Morte dal cappello a cilindro,
pag.174, trad. Giuseppina Caricchio – C.G.M.
417 del 1983).
Anche qui c’è un problema di geometria.
“-La
geometria appartiene al limbo dei vecchi giorni di scuola, insieme all’algebra,
all’economia e ad altre materie ugualmente funeree. Non son mai riuscito a
dimenticare che il quadrato dell’ipotenusa è uguale alla somma dei quadrati dei
cateti…Pure in questo caso potrà esserci utile considerare la casupola di
Forbes nella sua forma geometrica. Si tolse di tasca una matita e abbozzò un
disegno nell’aria.
(L’abbozzo a matita è mio)
-La
casa è quadrata, su per giù tre metri e mezzo per tre metri e mezzo. Immaginate
la porta al centro della facciata; immaginate la finestra al centro della
parete di destra…. Va alla finestra. Introduce la canna da pesca, tra le maglie
della grata… e allunga la canna stessa verso la porta, in diagonale” (pag.
198-199).
Non si può non pensare ad una risposta di Carr, non
vi pare?
Il romanzo di Rawson è del 1938, quello di Carr è
del 1941.
Io alle troppe coincidenze non credo. E pertanto…
Anche per questo dico che quest’opera di Carr è un
capolavoro.
Pietro
De Palma
Questo articolo l'avrei dovuto postare da molto tempo. Poi ogni tanto qualcuno me chiedeva se l'avrei mai presentato. E così...
RispondiEliminaPiero complimenti ottimo articolo come sempre! Mi sembra di ricordare che il trucco del capanno è stato ripreso da Hoch in un racconto col dottor Sam!
EliminaTra i prossimi, Dramma sull'Isola di Alan Green, citato nella lsta di Lacourbe
RispondiElimina