"The Locked House of Pythagoras"
(original title: P no Misshitsu) EQMM, Agosto
2013), "The Executive Who Lost His
Mind" (original title: Hakkyō-suru Jūyaku) (Ellery Queen's Mystery Magazine,
Agosto 2015), "The Running Dead"
(Ellery Queen's Mystery Magazine, Novembre-Dicembre 2017), The Executive Who Lost His Mind è il
secondo, ed è assieme al terzo più che una Camera Chiusa, un crimine con
sparizione impossibile. Inoltre, mentre in The Locked House of Pythagoras e in The Running Dead, chi risolve gli enigmi è il Mitarai interprete di The Tokyo Zodiac Murders, in The Executive Who Lost His
Mind, figura centrale è il Takeshi Yoshiki interprete di una serie alternativa di romanzi.
The Executive Who Lost His Mind ha un elemento molto marcatamente fantastico, che sconfina nell’Horror, prima di venir razionalmente spiegato.
The Executive Who Lost His Mind ha un elemento molto marcatamente fantastico, che sconfina nell’Horror, prima di venir razionalmente spiegato.
La storia è
raccontata da Yoshiki, un detective della polizia al narratore, che come spiega
al lettore, è un fan di mystery. In sostanza si parla di una vicenda che sconfinerebbe
nel fantastico se proprio Yoshiki non risolvesse il mistero.
Tutto accade
a Hibiya, dove ha sede una fabbrica. Un giorno un operaio, salendo nell’ufficio
del suo datore di lavoro, lo trova seduto alla scrivania che fissa una scarpa
femminile dal tacco alto posta davanti a lui, con l’espressione e lo stato
fisico di uno che ha perso la mente. E infatti poi lo ricoverano con un grave
esaurimento nervoso. Cosa era successo tanto da ridurlo così? Yoshiki racconta
l’avventura di quest’uomo, così come evidentemente l’aveva raccontata lui
stesso.
Il
protagonista è Shintaru Inudo, un 41enne capo d’industria rampante: la sua
fabbrica, un vecchio edificio, cade quasi a pezzi, almeno nei locali
adibiti al lavoro dei suoi operai, mentre
il suo studio è di tutt’altra pasta: nuovo, arredato con un divano scandinavo
ed una scrivania di pregio ed una collezione di rinomati e costosi brandy è a
disposizione. E per di più ha una bella vista sul giardino sottostante al piano
stradale: una distesa verde di forma triangolare, con un’oasi formata da cespugli
e arbusti posta al vertice di uno dei tre angoli. Quest’uomo, che non nutre
nessun rispetto per i suoi operai, ma fa la bella vita, ha una famiglia e due
figli in età scolare. E fin qui, poco male. Il fatto è che Shintaru è uno donnaiolo
della più laida risma: è attratto dalle donne, e con la scusa del lavoro fino
ad ore piccole, le porta nel suo grande studio sito nei piani alti della
fabbrica e fa sesso con loro.
Non è andata
sempre così bene. Anzi, da ragazzo ha avuto esperienze da riformatorio, e da
piccola delinquenza. Poi ha fatto vari lavori e ha anche venduto ghiaccioli.
Anzi, mentre ne stava vendendo, nell’estate del 1960, aveva incontrato una
ragazza, bella e sola e, approfittando del fatto che non ci fosse nessuno,
l’aveva violentata. Ikuko Koike, di antica famiglia, aveva portato con sé
questo ricordo scioccante e non ne aveva parlato neanche a suo marito, un
diplomatico. Fino al giorno in cui Shintaru Inudo aveva cominciato a
ricattarla. Lei avrebbe fatto di tutto perché la persona di suo marito e la sua
famiglia non fossero state interessate e quindi aveva pagato una grossa somma,
con cui Inudo,assieme a dei suoi amici aveva messo su una piccola fabbrica,
facendo sempre più carriera. Dopo un periodo in cui Ikuko non aveva più sentito
parlare del suo ricattatore, egli si era fatto vivo, e questa volta l’aveva buttata
sul sesso: Ikuko si sarebbe dovuta concedere sia a lui che ai suoi amici e
appagare le loro voglie sempre più spinte.
Anche quel
pomeriggio, Ikuko era da lui, nello studio della sua fabbrica: lui come al
solito le aveva chiesto di spogliarsi, ma questa volta si era fatto più
ignobile: l’avrebbe costretta a non ritornare a casa da suo marito e restare da
lui a sua disposizione per la notte e per questo aveva chiuso nella sua
cassaforte a combinazione i vestiti di lei: in mutandine e reggiseno non
sarebbe potuto mai andare via, senza scatenare un pandemonio. Questo pensava
Inudo andando via e lasciandola mezza nuda e sola nel suo studio. Ma al ritorno
non la trovò.
Possibile
che fosse andata via? Interrogando il personale di servizio seppe che si era
rivolta ad una donna delle pulizie per avere qualche suo vestito. Eppure il
guardiano giurava di non averla vista uscire, anche se lui talvolta dormiva
dopo avere bevuto.
Inudo la
chiama più volte, ma di Ikuko nessuno sa più nulla. Fino a quel maledetto
giorno del 1980 quando riceve una strana lettera in cui Ikuko lo contatta,
quasi dopo un anno. Una scrittura però strana: non quella elegante di Ikuko ma
goffa. Che gli chiede di farsi trovare nel suo ufficio di notte.
Inudo è
attratto da quella richiesta. Ma quando la notte dell’appuntamento si trova di
fronte non la Ikuko che conosceva ma quella che aveva violentato vent’anni
prima, ha un colpo. Prima di capire, per ammissione della ragazza, che non è
Ikuko, ma sua figlia. Una figlia segreta, tenuta a studiare in Francia, che era
giunta in Giappone sulle tracce della madre e fattasi riconoscere, aveva
trovato tra gli effetti della madre un notes e degli appunti da cui aveva
ricavato degli squallidi appuntamenti a cui aveva dovuto soggiacere la madre
con lui e i suoi amici, e il ricatto in soldi che aveva dovuto sborsare.
In quegli
appunti c’è la condanna di Inudo. Ci sono le prove che potrebbero distruggere
la sua vita e l’onore della sua famiglia. E allora matura la decisione di
uccidere la ragazza. Inudo pianifica come potrebbe fare per non destare
sospetti ed esce dal suo studio; dopo aver pianificato tutto, vi rientra ma non
trova in un primo tempo la ragazza; si accorge dopo della sua presenza, e
allora lei capisce i piani dell’uomo, anzi lui le grida che deve ucciderla
perché lui non corra rischi. I due lottano, lui perde gli occhiali, ma alla
fine fa volare la ragazza fuori dalla finestra. Si sente un urlo, uno stridio
di freni ed un rumore come di un corpo che atterra su qualcosa; poi di nuovo il
rombo di un motore che va via.
Inudo è
senza occhiali. Deve innanzitutto chiudere la finestra per evitare che si pensi
che la ragazza sia caduta da lì. Poi recupera gli occhiali e scende.
La ragazza è
lì. Stranamente è caduta sotto la finestra, nel giardino vicino agli arbusti.
Vede i suoi capelli, da dietro. La ragazza è affondata nel terreno, da esso
emerge solo il busto, la testa e le braccia. Vicino al corpo c’è una delle
scarpe col tacco alto della ragazza. Più si avvicina più Inudo nota delle
stranezze: le braccia sembrano più magre, anche i fianchi come se avesse perso
peso cadendo. Ma poi quando si trova dinanzi alla ragazza, i suoi occhi si
dilatano dall’orrore: la pelle ha un colorito marrone, il petto è avvizzito,
tanto che il reggiseno pende al vento e al posto della faccia vi è un volto
mummificato con al posto degli occhi due buchi. Solo i capelli sono rimasti
quelli di prima. Inudo è sconvolto, i suoi capelli sono diventati bianchi dal
terrore, dalla bocca cola una bava, gli occhi sono sbarrati, raccoglie la
scarpa e ritorna barcollando in ufficio, dove lo trova l’operaio. La ragazza,
volando dalla finestra, era ridiventata quella di un tempo: la donna che
sembrava essere la figlia di Ikuko era in realtà già l'Ikuko morta che era
tornata in vita
e che poi volando dalla finestra era ridiventata quella che era?
Inudo se ne
è convinto e per questo è impazzito.
Ma la storia non può avere una soluzione
irrazionale. E’ Yoshiko a svelare invece una soluzione assolutamente razionale,
in cui entra prepotentemente la collocazione degli arbusti nel giardino: il
cadavere ritrovato da Inudo è quello di Ikuko, la donna che si riteneva
scomparsa quasi un anno prima. Come era scomparsa? Rimasta in mutandine e
reggiseno, non sopportando l’onta e il disonore, si era buttata dalla finestra
e….
E la ragazza
che era volata dalla finestra davanti a Inudo? Era davvero la figlia di Ikuko,
anzi era anche la figlia di Inudo, la figlia di quella violenza carnale patita
da Ikuko, cresciuta in Francia lontana da tutti. La figlia ritornata in patria,
per capire se davvero Inudo era responsabile della scomparsa della madre, se
l’avesse uccisa.
Che fine ha
fatto? Yoshiko, risolve anche questa scomparsa con la sua pura deduzione,
spiegando l’origine dei rumori che Inudo aveva sentito privo degli occhiali. E
anche la presenza della scarpa, e la presenza di segni di pneumatici sul
marciapiedi del giardino e tangenzialmente agli arbusti.
E così da
una soluzione perfettamente razionale ad un problema che navigasse nel mare del
fantastico.
Dico subito
che questo dei tre è il racconto più metafisico, ed è anche il più letterario,
quasi un’opera d’arte: Soji va oltre il semplice racconto mystery e crea
qualcosa che ha origini lontane, con una scrittura finissima ed estremamente
allusiva. Un storia al limite del noir, dell’orrore puro, ma che poi, come il
doppio finale di The Burning Court di
Carr, spiega il finale che sembrerebbe relegato alla dimensione fantastica (un
morto che rivive, ma che nell’attimo in cui dovrebbe morire, ritorna ad essere
il corpo morto che era prima) con una soluzione perfettamente razionale,
veramente sorprendente.
A definire
la natura letteraria di questo piccolo capolavoro, le figure retoriche: per
esempio, la fabbrica cadente nelle strutture dove lavorano gli operai e invece
splendente di oggetti preziosi lo studio di Inudo, non è una metafora
dell’anima di Inudo stesso, della sua disarmante e vile persona, gretta e
debosciata e cadente nella sua intimità, ma riconosciuta come splendente e
ricca nella sua esteriorità? E la doppiezza degli ambienti della sua fabbrica e
della sua anima, è anche la doppiezza che egli applica al rapporto con le
donne: sua moglie e i suoi figli sono espressione del suo tentativo di crearsi
una sua aura di rispettabilità, le donne che egli paga per farci sesso e quelle
che conquista le porta nel suo studio, il suo mondo segreto, precluso a tutti
fuorchè a lui e alle sue conquiste estemporanee. Ma non finisce qui la vena
letteraria di questo racconto: infatti la tragedia di un uomo che violenta una
donna, che partorisce un figlio (una figlia) che ritorna nei luoghi natii alla
ricerca di risposte e che rischia di morire per mano del padre, ma che poi lo
uccide ( uccide l’anima: la pazzia è la morte della personalità) riducendolo ad
un vegetale, sembra tratta da qualche tragedia greca: per esempio quella di Creusa
violentata da Apollo che genera un figlio che abbandona in un posto lontano?
Al di là di
questo, il racconto ha tutte le sembianze di un racconto dell’orrore, fin
quando Yoshiki non rivela la sua verità allo sbalordito lettore di gialli e
narratore, ricamando una soluzione assolutamente perfetta e precisa, in cui i
rumori hanno una valenza visiva, perché, quando spiegati, ricreano visivamente
quello che è accaduto realmente. E il cadavere affondato a metà nel terreno è
quello di Ikuko scomparsa otto mesi prima, caduta nella macchia e lì marcita
senza che nessuno se ne accorgesse: del resto, la scusa di Yoshiko, affonda
nella realtà di ogni giorno: quante persone scompaiono, e magari un giorno se
ne trovano i resti, senza che nessuno si sia preoccupato della loro mancanza o
anche di certi odori?
Ancora una
volta Shimada rivela una vena matematica: ognuno dei delitti presenti in
ciascuno dei tre racconti, viene spiegato o con teoremi matematici, o con
figure geometriche, o con piantine molto precise e per nulla affidate al caso.
Si può dire che il caso non entri mai, salvo che in The Running Dead, quando la potenza del vento fa sì che…ma che
invece tutto sia accuratamente pianificato. E qui, dove a differenza dei due
precedenti racconti (in realtà questo è il secondo e viene dopo Pitagora) non
c’è quasi sangue (nel terzo non ce n’è ma possiamo immaginarlo pensando a cosa
deve essere rimasto di un corpo investito da un treno), in realtà l’orrore e la
malvagità, l’indifferenza al destino altrui e un egoismo ed una vanità
spaventosi connotano la storia più cattiva e più indimenticabile delle tre.
Pietro De Palma
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