domenica 21 agosto 2016

Augusto De Angelis : L’Albergo delle tre rose, 1935 – La Memoria N° 539, Sellerio Editore, 2010

Il più famoso autore poliziesco italiano dell’epoca fascista è Augusto De Angelis, l’unico i cui romanzi abbiano superato l’esame dei tempi, e che siano ancor oggi riproposti con successo, dopo la riscoperta anche mediata da due fortunate serie televisive nei primi anni ’70 della RAI in cui la parte del Commissario De Vincenzi fu affidato a Paolo Stoppa.

Il romanzo più famoso di De Angelis è senza dubbio “L’Albergo delle tre rose”, che è il suo capolavoro. Non è solo un romanzo poliziesco di prim’ordine, con false piste, indizi, personaggi estremamente sfaccettati e a tutto tondo, ma che ha una suspence crescente, un ritmo non indifferente e misteri a go-go. Ha anche un’atmosfera claustrofobica, in quanto è ambientato in un piccolo albergo, nell’arco di una notte, e propone per di più anche un mistero della Camera Chiusa, con una interessantissima variazione.
De Vincenzi, che è più giovane del suo Vice Commissario Sani (ma nello sceneggiato omonimo è più anziano in quanto interpretato da Paolo Stoppa), ma è da lui rispettato e stimato per via della sua non comune genialità, appena entrato in Questura, trova la posta e tra le varie lettere, una accende il suo interesse: è una lettera anonima che annuncia che qualcosa di sinistro sta accadendo all’Albergo delle tre rose, un albergo di terz’ordine, più pensionato che altro, dotato di sala ristorante. La frase molto d’effetto che richiama la sua attenzione parla del “Diavolo che sghignazza dietro ogni porta”. Colpito dalla lettera, quasi subito viene chiamato dal Commissario Bianchi, un suo amico, e viene informato che all’Albergo delle tre rose è avvenuto un delitto.

Arrivati sul posto, notano un certo trambusto. Siccome è sera, nel ristorante la sala è piena: oltre agli occasionali clienti, vi sono quelli che giocano a scopone, e poi i clienti fissi della pensione. I poliziotti vengono informati che al terzo piano, Bardi, un gobbo che abita nella pensione, ha trovato impiccato il giovane Douglas Layng. Sembra che sia stato messo per impressionare o Carlo Da Como, un tale che nato ricco ha dissipato tutte le sue ricchezze vivendo in maniera dissoluta, o un tedesco, Vilfredo Engel, amico di Da Como: si pensa che possa essere un avvertimento per uno di loro, perché per andare alle loro due camere bisogna obbligatoriamente passare per dove è stato impiccato il giovane.

Il giovane comunque pare appeso, non impiccato. Fatto sta che la Guardia Medica chiamata lì per lì, non può dire di più di quel che vede perché la luce è davvero fioca, ma alla luce di una lampadina di forte luminosità recuperata dabbasso, tolti i vestiti, si accorgono che il giovane è stato pugnalato. Gli abiti però non sono lacerati, segno che dopo essere stato denudato e pulito dal sangue, è stato rivestito, e poi appeso. Una orribile messinscena: perché? Portato il cadavere all’istituto di Medicina Legale fanno un’altra scoperta: il cadavere presenta la flaccidità secondaria, che si manifesta dopo la rigidità cadaverica. Ma, da quanto tempo è morto?  Quello che ancora non si capisce è come sia stato mutato il rigor mortis: si pensa ad una stufa, ma non se ne ritrova traccia.
Parecchie sono le persone sospette. Innanzitutto quelli che stanno sul piano dove è stato trovato l’impiccato, tra i quali spicca Engel, il quale dimostra di aver paura di qualcosa, oltre a possedere una cosa strana per un uomo: una bambola. La cosa ancor più strana è che anche Layng possedeva una bambola, come pure una svedese diciannovenne, tale Karin Nolan. Tre bambole uguali, in possesso di tre persone diverse. E’ chiaro che debba esserci un legame. E siccome per di più uno dei tre possessori è stato ucciso, De Vincenzi sospetta che l’assassino voglia ancora uccidere. E ucciderà ancora. Ma prima sarà trovato un foglietto in cui, a firma di un certo Julius Lassinger, si promettono in pratica altre morti, perché il giovane appeso è stato il primo di una serie.
Moriranno Giorgio Navarreno, un levantino di nazionalità cipriota, che sbarca il lunario facendo il chiromante e vendendo chincaglierie varie, che sapeva qualcosa e ha cercato di ricattare l'assassino; 
e l'italo-americano Nicola Al Righetti, per sua stessa confessione passato per parecchie città straniere, ultima delle quali New York. De Vincenzi sospetta, ma non ha prove che lo sia effettivamente, che sia un gangster americano. E Karin Nolan, pugnalata con un paio di forbici, si salverà solo per la prontezza di De Vincenzi.  
Chi è l’assassino?
De Vincenzi lo scoprirà non prima che la lettura del testamento avrà fornito gli ultimi tasselli perché il colpevole, pazzo, venga affidato alle cure di un manicomio criminale.
Tantissimi altri personaggi: Besesti, il ricco industriale;  i coniugi inglesi Flemington; l'attricetta Stella Essington; la bella Mary Alton, vedova del Maggiore Alton, dell'esercito inglese. E poi una vicenda oscura, terribile, accaduta durante la Guerra Boera, in cui c'entrano un Lessinger, il defunto Maggiore Alton, e altro militare, fratello di Vilfredo Engel, in cui erano morte Lessinger e le sue 3 figlie, mangiate dai coccodrilli; e tanto oro.
L’Albergo delle tre rose è uno dei più bei romanzi di narrativa poliziesca italiano del ‘900: innanzitutto è scritto benissimo, con descrizioni a tutto tondo dei personaggi (molto diversamente dalla normalità dei romanzi di quel periodo anche stranieri, in cui o i personaggi sono molto bene tratteggiati e il plot non è niente di speciale o è il contrario, fatto salvo quanto accade solo nel caso di grandi nomi della letteratura poliziesca in cui entrambi i caratteri sono presenti) tale da fissarli bene nella mente; gli stessi caratteri psicologici sono estremamente decisi, e assieme a quelli fisici, realizzano compiutamente un determinato soggetto; la storia è avvincente, e utilizza un espediente che deriva direttamente da Conan Doyle (La valle della paura): un qualcosa accaduto nel passato che è alla base della tragedia che accade nel presente;
sono presenti molte false piste, che distraggono il lettore e lo portano a considerare delle strade impossibili da seguire, mentre invece la storia è molto semplice, e anche il movente vero lo è; vi è una Camera Chiusa molto interessante: la finestra è aperta, e quindi apparentemente non vi è motivo perchè un mistero della Camera Chiusa possa esistere. Tuttavia proprio le circostanze e l'impossibilità dellla fuga (si è ad una certa distanza da terra, e anche un ginnasta cadendo si fratturerebbe qualcosa) creano il problema; peraltro la finestra si affaccia su uno spazio chiuso (nello sceneggiato RAI curiosamente invece il cortile aveva una uscita posteriore): non vi è la distesa di neve, ma un giardino interno completamente bagnato di pioggia, tale che l’assassino dovrebbe lasciare delle orme umide, ed invece non le lascia, e si comporta in maniera strana, non come si comporterebbe chi non vuole essere visto). Noto peraltro che De Angelis, che è interessato al mistero in se stesso e non alla particolarità della camera Chiusa, non vi fa caso: si manifesta qui, quindi, uno dei rari casi in cui, pur essendoci una impossibilità manifesta, essa non viene conteggiata.
Vi  sono anche continue messinscene: le bambole che appaiono; il cadavere pugnalato, poi denudato, rivestito in maniera tale che non si veda il sangue, e impiccato; il tentativo di eliminare il rigor mortis; l’apparizione della vera madre della vittima; due diversi testamenti; e infine anche un matrimonio di cui non si sapeva nulla. Quest’ultimo escamotage è tipico nei romanzieri inglesi (per es. in Agatha Christie).
In De Angelis si nota tuttavia una estremizzazione delle storie e dei caratteri che sono molto forti: non ci sono soggetti deboli, ma tutti potrebbero essere l’assassino, o comunque tutti hanno nascosto qualcosa che poi unito al resto, forma il puzzle ricomposto. Persino, Bardi, il gobbo, che dà inizio a tutta la storia con la lettera anonima, è un personaggio forte: siccome si sente una vittima del sistema per via della sua diversità morfologica, odia più degli altri, anche se ha sentimenti di protezione nei confronti di gente che lui considera debole come lui. Ed è proprio perché vuole salvare una di queste persone, che avvisa il Commissario di qualcosa di imminente che secondo lui sta per verificarsi in quella casa. Solo che nella sua lettera anonima c’è un equivoco che gioca a favore degli eventi. Lui si muove per salvare un’innocente, ma non sa che quella minaccia fa parte di una macchinazione ben più grande.
Al di là di ciò, il giudizio critico non può che appuntarsi anche su altre cose.
Lo spirito con cui è scritto risente della xenofobia strisciante contro gli stranieri (il popolo italico era perfetto, gli altri no: in questo, la propaganda fascista e nazista eran uguali), ma è purtuttavia un dato che doveva esserci altrimenti la censura fascista non avrebbe mai autorizzato la pubblicazione del romanzo. Per il resto, il romanzo narra di tre delitti avvenuti in un albergo (più un quarto presunto, più un tentativo di omicidio), in cui però parecchi clienti dimorano stabilmente. Più che albergo potremmo definirlo quindi “un pensionato”, con sala ristorante.  Questo è un particolare molto importante che raccomando:  infatti, anni dopo Steeman scriverà L’assassin habite au 21, romanzo che si svolge in un pensionato. Direi che Steeman potrebbe aver letto benissimo il romanzo di De Angelis, in quanto in quei tempi, De Angelis era il romanziere di polizieschi più famoso in Italia. Se nel plot Steeman deve qualcosa ad Agatha Christie, per quanto riguarda il luogo del dramma egli sicuramente ripropone quanto già scritto da De Angelis.  Rispetto a Steeman e a Ten Little Niggers della Christie, il romanzo di De Angelis possiede però un’atmosfera estremamente claustrofobica, che accentua spasmodicamente la tensione.
Per certi versi è molto vicino a The Greene Murder Case di S.S. Van Dine o The Tragedy of Y di Ellery Queen.  Inoltre, per il particolare che due dei tre delitti, tra cui una presunta Camera Chiusa, avvengono in circostanze impossibili o quasi, in un albergo presidiato dalla polizia, potrebbe esser stato tributario di Vindry, che in alcuni suoi romanzi (per es. Le Piège aux diamants e  La Bête hurlante, scritti il primo un anno e il secondo due anni prima) fà presidiare la casa dalla polizia.

Pietro De Palma


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