Joseph Commings è un autore che ogni amante dei Delitti
Impossibili e delle Camere Chiuse dovrebbe conoscere.
Nato a Monte Craven nel 1913, Commings sognò per tutta la
vita di diventare famoso. Ma nella vita bisogna anche avere fortuna, e Commings
non la ebbe, anche se è considerato dalla critica uno dei maggiori autori di
storie con delitti impossibili, al pari Hoch, di Rawson o di Carr. Creò il
colossale Senatore Brooks U. Banner, l’equivalente del Fell di Carr, che fece
esordire nel racconto Murder Under Glass
del marzo 1947, pubblicata nella rivista 10 Story Detective. Successivamente
cominciò a pubblicare storie in un altro magazine, Ten Detective Aces con altro personaggio, Mayor Thomas Landin.
Pare che fosse stata una scelta dell’editore, che Commings diversificasse le
storie pubblicate qui da quelle pubblicate nell’altro magazine, puntando su un
personaggio diverso. Tuttavia tutte le storie pubblicate con Landin vennero poi
ristampate cambiando il personaggio nel senatore Banner.
Il Magazine più importante era E.Q.M.M., ma pur sottoponendo
suoi lavori a Dannay, non ebbe la fortuna che essi venissero accolti, non
piacendo a Dannay – pare – le caratteristiche del Senatore Banner. Deluso e
depresso, Commings non scrisse altri racconti con Banner sino al 1957, quando
la rivista Mystery Digest accolse tra le sue pagine sue
opere. Se la collaborazione con tale rivista andò avanti sino al 1963 –dal 1961
ne era stato anche redattore capo – fino al 1968 cominciò quella con altra
rivista, The Saint Mystery Magazine,
per cui pubblicò pochi racconti.
Non riuscendo a tirare avanti facilmente, si improvvisò
anche autore di storie porno, visto che i suoi sogni puntualmente si
infrangevano; e pure le sue speranze che qualcuno si offrisse di pubblicargli
un suo qualche romanzo con Camere Chiuse o Delitti impossibili, cosa che non
accadde mai. Si sa però che almeno un romanzo con delle Camere Chiuse lo
scrisse, per poi essere bruciato per la disperazione che nessuno accettasse di
pubblicarlo.
A partire dal 1979, la fortuna pensò bene di arridergli in
minima parte, e finalmente un altro racconto con Banner, scritto a quattro mani
con Hoch, potè essere pubblicato, sulla rivista Mike Shayne Mystery Magazine,
su cui continuò a scrivere sino al
1984.
Morì a Edgewood nel
1992
L’ultima storia
scritta, The Whispering Gallery, rimase inedita finchè fu pubblicata nel
2004,nell’antologia Banner Deadlines, dalla Casa Editrice di Douglas G. Greene,
Crippen & Landru.
Ghost in the Gallery, fu pubblicato nel 1949 dalla rivista Ten Detective Aces con altro personaggio, Mayor Thomas Landin, e
successivamente ripubblicata cambiando solo il personaggio principale.
La storia comincia con un colpo di scena, e già in questo
denota una certa originalità: Linda Carewe ha ucciso il marito DeWitt Carewe. E
dopo averlo ucciso corre tra le braccia dell’amante Borden Argyll, un affermato
pittore. Un classico. Lo ha ucciso propinandogli cinque grani di arsenico. Non
è assassina per malvagità e neanche per avidità anche se in questo caso i presupposti
ricorrerebbero, ma per necessità: ha sposato il marito otto mesi prima,
avendolo conosciuto un anno prima. Nella conoscenza che mai era diventata vero
innamoramento quanto invece una sorta di turbamento, erano confluite varie
istanze: la ricchezza dell’uomo e la sua modestia economica, e l’età: quaranta
lui, ventitre lei. Ma quello che aveva attirato lei era stata la sua energia
disumana: ostentava una sicurezza che lei non aveva, e produceva ricchezza
laddove gli altri fallivano. Tuttavia su
di lui giravano voci su una sua natura demoniaca che anche se non vere
testimoniavano che il fare del bene non era sua prerogativa.
Qual è invero la sorpresa quando Linda vede entrare nella
galleria, laddove si trova lei e Borden, proprio suo marito con un ghigno
crudele, che rinfaccia loro di non averlo ucciso, perché è immortale o quasi e
li sfida a portarer a termine la loro impresa. Detto ciò scompare dietro una
curva di un corridoio. Loro gli vanno dietro, tanto per fermarsi davanti ad una
porta su cui è scritto AMMINISTRAZIONE. La porta a vetri, fa vedere tutto all’interno
della stanza: c’è proprio lui, Satana in persona, DeWitt Carewe dietro una
scrivania. Solo lui. Nessun’altra uscita tranne quella dietro cui sono loro.
Spegne la lampada che sta sul piano. Argyll a sua volta accende un fiammifero
ed apre la porta. Linda non vuole perché teme per la vita di Borden ma qual è la
sorpresa quando, dopo aver acceso la luce, trovano nella stanza non DeWitt ma
Phillis Remington, la modella di Borden, appena uccisa. Ma DeWitt? Dover si è
cacciato? Come è potuto uscire dalla stanza, la cui porta era presidiata dalla
moglie, e dentro cui si trovava il pittore che lo aveva ritratto in un quadro
che si ispirava al soprannaturale?
Mentre si stanno lambiccando arriva il Direttore della
galleria, George Honeywell. Interrogandolo, vengono a sapere che da dove viene
lui, cioè dalla sua stanza, non ha visto nessuno. In altra parole. Carewe è
scomparso. Mentre camminano nella galleria si trovano dinanzi un quadro dipinto
da Borden a soggetto soprannaturale: rappresenta un lupo mannaro che ha le
sembianze di DeWitt Carewe intento a dilanbiare le carni di una donna con le
fattezze della modella assassinata. Si viene a sapere poi che i due erano stati
amanti già prima che lui si sposasse con Linda, e che lei lo ricattava perché non
spifferasse alla moglie che avevano continuato a vedersi anche dopo il
matrimonio. Il movente dell’omicidio quindi sarebbe il ricatto.
Honeywell va a chiamare la polizia e in quel mentre Linda
sente uno strano rumore, simile ad una veneziana che viene abbassata. Solo che
nella galleria, veneziane non ve ne sono.
Le ore passano, e la polizia non viene a capo dell’arcano.
Borden decide di rivolgersi al Senatore Banner, esperto di delitti impossibili:
lo conosce perché lo ha ritratto tempo prima.
Banner viene introdotto nella Galleria da un poliziotto che
lì presta servizio.
Dopo aver esposto tutto a Banner, anche dello strano rumore,
egli viene a sapere che lì vicino c’è una saletta dove vengono proiettate le
ombre cinesi. Srotola lo schermo e vede…
Il racconto è una chicca, un piccolo capolavoro, scelto
insieme ad altri racconti, da Jack Adrian & Robert Adey per la loro
fortunatissima antologia The Art of The
Impossible.
Inutile dire che dietro lo schermo trovano il cadavere di
DeWitt Carewe, impiccato. Risolta la sparizione.Il cadavere era in uno spazio
di soli trenta centimetri, tra lo schermo e la parete di fondo: suicidio o
omicidio?
Il Senatore Banner risolve l’enigma spiegando come non era
stato possibile che avessero trovato nella stanza Carewe, mentre avevano
trovato il cadavere della sua amante; e lo fa, applicando nozioni di fisica
ottica. In questo mi sembra che la spiegazione si avvicini a quella del secondo
omicidio ne The Hollow Man di Carr. E
come lo stesso Carewe e la sua mante siano state vittime di uno spietato
burattinaio, che li ha uccisi, fingendo di essere d’accordo con lui per
imbrogliare la moglie.
Il racconto comunque non ha solo un fantastico enigma della
Camera Chiusa risolto brillantemente, che in sostanza non risponde a nessuna delle tre istanze
temporali, valide per spiegare un delitto in una camera chiusa (delitto
compiuto prima, delitto che si compie nell’attimo, delitto compiuto dopo) perché
la sparizione di DeWitt Carewe avviene altrove, e proprio la natura particolare
della porta a vetri, del buio e della
luce flebile, fa sì che si crei un effetto illusionistico tale che si creda che
DeWitt sia in una stanza invece che altrove; no, il racconto ha anche una
atmosfera straordinaria.
Commings sin dalle prima battute crea le condizioni perché si
creda a DeWitt come ad un essere dalla natura demoniaca: il suo aspetto; le
dicerie circa la sua natura demoniaca (vampiro o lupo mannaro); il luogo dove
Linda lo aveva incontrato per la prima volta, un bosco, in cui terra e cielo
era dello stesso livido colore (il colore della morte); lo stormire delle
fronde che Linda avrebbe dovuto interpretare come un monito sulla natura di
quell’essere le stava dinanzi quando si erano incontrati.
Non solo.
A me pare straordinario come Commings, con un parallelismo,
con una figura retorica di indubbio fascino, insinui prima che il delitto si compia,
anzi prima che i delitti si compiano, l’idea stessa che la morte sia di casa lì:
il pomeriggio è uno piovoso e tetro di fine autunno; l’acquazzone fa sì che la
Galleria Honeywell, ricoperta da marmi di color verde scuro (un marmo usato nei
cimiteri), luccichi come una tomba.
E che lo stesso delitto e la sparizione dell’omicida, siano
da addebitare a fatti di natura soprannaturale, da mettere in relazione con la
pretesa natura demoniaca dell’essere di cui precedentemente sono stati
ipotizzati i caratteri. In sostanza quindi, tutto il racconto è un’illusione.
Fino alla spiegazione finale, ogni cosa che accade ha lo
scopo di trarre in inganno: la pretesa natura di DeWitt, l’omicidio perpetrato
in suo danno dalla moglie (ci troviamo in un altro caso in cui l’arsenico viene
utilizzato come arma di delitto senza esserlo, delitto d’impeto intendo:
infatti l’arsenico uccide a distanza di almeno tre giorni, e non immediatamente),
il primo delitto e la sparizione di De Witt, il secondo delitto, il rumore che
sente Linda, il dipinto che è quasi la rappresentazione del delitto che si
pretende sia appena avvenuto (uccisione di Phyllis ad opera di DeWitt), la dislocazione
di DeWitt, l’uccisione della modella, l’assassino complice assieme della
modella e di DeWitt. Il suo stesso movente è offerto al lettore, prima che si
capisca che lui è stato l’omicida.
Altre due cose mi sembrano estremante interessanti in questo
racconto: come vengano introdotti gli assassini
(il presunto e l’effettivo), e il
Senatore Banner.
L’omicida presunto, cioè DeWitt Carewe, abbiamo già detto
come venga introdotto, perché cioè si pensi a ragione che egli sia un essere di
natura demoniaca. Che si serve delle sue arti per perpetrare un delitto
impossibile: forse che il diavolo non possa scomparire da un luogo e apparire altrove?
Del resto è degli essere soprannaturali (demoniaci o divini) avere il dono dell’onnipresenza.
Tuttavia anche il vero omicida viene introdotto in un certo modo: ha la testa
calva, un faccione rotondo, una veste da preghiera, gli occhiali legati ad un
laccio nero. Una descrizione che si avvicina molto a quella del Dottor Fell.
Possibile che l’omicida venga paragonato a Fell? Può essere se si vede in lui,
non tanto lo spietato omicida quando l’essere che realizzi un delitto quasi
perfetto, che sublimi il concetto stesso di Camera Chiusa, realizzandone uno
che richiami quello dell’omicidio più straordinario spiegato da Fell stesso in The Hollow Man.
Inoltre il Senatore
Banner, anche lui, viene descritto in un modo caratteristico: la pancia
prominente, la camicia a righe verdi color menta e bianche, la figura da King
Kong, le bretelle rosse, la cravatta unta come se fosse stata inzuppata nella
minestra (ed era accaduto proprio questo!!!). A chi si assomiglia? Secondo me a
Merrivale, al Grande Vecchio. Che molto spesso viene ridicolizzato nell’aspetto,
prima che come al solito riesca a risolvere l’enigma più pazzesco: perché il
paradosso riesca e sia godibile, è necessario che il delitto venga risolto non
tanto da un Philo Vance che alla lunga risulta antipatico ma da chi sembrerebbe
essere l’unica persona non in grado di risolverlo.
Come in questo caso lo è Banner.
Pietro De Palma
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