Quattro Casi per Hercule Poirot
è un volume emblematico nell’ambito della produzione di Agatha Christie:
riunisce infatti quattro racconti e già questo è di per sé strano. Infatti
normalmente i racconti contenuti in una antologia sono sempre più numerosi; in
questo caso, invece, sono pochissimi. Il che significa, di per sé, che devono essere particolarmente voluminosi:
diremmo quindi che si tratti di quattro lunghi racconti, se la loro lunghezza
non fosse uguale. Abbiamo infatti, nell’edizione originale, un racconto che è
lungo 32 pagine ed uno addirittura 96 (una novella quindi), e due che si
collocano in mezzo per numero di pagine.
I racconti sono rispettivamente:
Delitto
nei Mews (Murder in the Mews)
The
Incredible Theft (Il furto Incredibile)
Dead
Man’s Mirror (Lo specchio del morto)
Triangle At Rhodes (Triangolo a Rodi)
A seconda delle prime edizioni – che si tratti di
quella inglese o invece di quella statunitense – il titolo del libro cambiò:
quella inglese, del marzo 1937, prese il
titolo dal primo racconto contenutovi, intitolandosi Murder
in the Mews and Other Stories; quella americana, del Giugno 1937, si
intitolò assunse il titolo dal terzo racconto, che evidentemente in America
sembrò essere il più rappresentativo (anche perché più lungo): Dead Man’s Mirror (Lo specchio dell’uomo
morto), mancando in questa edizione curiosamente The Incredible Theft. L’edizione del 1987 ha ripristinato tuttavia
il contenuto effettivo, inserendo il racconto saltato in quella del 1937.
Diciamo subito che i quattro racconti toccano
quattro situazioni altrimenti esplorate nella produzione della scrittrice
britannica: un’indagine tout court, con partecipazione di Poirot e
dell’Ispettore Japp, con un finto suicidio; un affare di spionaggio o che
sembrerebbe tale; un finto suicidio in una villa signorile di campagna prima di
una cena (un tema classico); un delitto maturato durante una vacanza in una
località del Mediterraneo (riporta alla memoria l’Egitto, l’Iraq) che questa
volta è Rodi: il triangolo in questione è uno amoroso.
Dei quattro racconti, quello che a me pare il meno
interessante è quello concernente il furto dei piani di un bombardiere ( è un
racconto di spionaggio) mentre l’ultimo, il più breve (31 pagine nell’edizione
italiana) è interessante per l’ambito e per questo lo analizzerò in altra
occasione.
La prima e la terza, sono tuttavia simili nella
concezione ed entrambe abbastanza lunghe (la prima è di 70 pagine , la seconda
di 96 nell’edizione italiana): entrambe infatti parlano di un omicidio truccato
da suicidio. Di esse la seconda è quella tuttavia più interessante per noi, in
quanto trattasi di una Camera Chiusa classica; per di più, data la sua
lunghezza, non è neanche rapportabile ad un comune racconto, bensì ad una
novella.
In sostanza tutto nasce da una lettera che un nobile
inglese di antico e riconosciuto lignaggio, Gervase Chevenix-Gore, invia a Poirot chiedendogli di andare da lui
per sottoporgli un problema spinoso. Ma lo fa con un tale atteggiamento imperioso,
sembrando più l’ordine che da il cavaliere al suo scudiero, che Poirot è restio
ad accettare, ed accetta solo dopo aver avuto un abbocco con personaggio che
quel nobile lo conosce. Solo che quando Poirot arriva a casa Gore, la tragedia
si è compiuta da poco: si è sentito un rumore, che a taluni è sembrato lo
scappamento di un’auto, ad altri lo spumante che veniva stappato, ad altri
ancora uno sparo. Fatto sta che tuttavia questo rumore è venuto dallo studio,
in cui c’è qualcuno, che non può essere altro che Gervase, visto che tutti gli altri
presenti sono lì in casa e lo aspettano per la cena; e Gervase non si è mai
fatto aspettare per la cena, anzi è stato sempre lui il primo a scendere. Solo
che la porta è chiusa dall’interno. L’abbattono e trovano Gervase morto,
presumibilmente suicida, per una ferita mortale da arma da fuoco alla tempia
visto che una pistola viene trovata per terra.
Il suicidio pare l’unica chance possibile. Eppure
proprio Poirot comincia a sospettare dell’altro. E sospetta in ragione della
particolare posizione che avrebbe dovuto avere il corpo e la testa per far sì
che il proiettile, fuoriuscito dal cranio, riuscisse a centrare uno specchio.
Questo è un
sospetto di natura fisica. Poi ve n’è un altro pure importante ma di
natura psicologica: il vecchio Gore non aveva alcuna ragione di uccidersi, e
non l’avrebbe mai fatto. Per cui quando arriva il Maggiore Riddle, Capo della
Polizia della Contea, e trova a casa Gore nientepopodimeno che Poirot, che già
conosce, la sola presenza del belga gli fa sospettare che ci sia dell’altro in
pentola.
A casa Gore è presente una fauna variegata: sua
moglie, gran bella donna un tempo, innamorata del marito, “è un po’ andata”; la
figlia adottiva Ruth, adottata quando era stato chiaro dopo un aborto che Lady
Chevenix-Gore non avrebbe potuto avere altri figli e figlia di lontani parenti;
il nipote Hugo Trent, figlio della sorella di Gervase, Pamela; il Capitano
Lake, amministratore delle proprietà di famiglia; il segretario di Gervase,
Godfrey Burrows; e infine la signorina Lingard, colei che ha vissuto di più
negli ultimi tempi a gomito con Gervase, visto che curava, in quanto
bibliotecaria, la realizzazione della storia di famiglia dei Chevenix-Gore
assieme a lui.
Tutti forniscono prove che che Gervase non aveva nessun motivo per uccidersi,
ma che tuttavia qualcosa lo aveva angustiato negli ultimi tempi.
Tuttavia in quello che sembrerebbe un suicidio, ma
che sempre più somiglia ad un omicidio, ad un certo punto avvengono due fatti
che pesano non poco nella dinamica del racconto: innanzitutto il testamento.
Come si sa, in ogni buon giallo che si rispetti, l’ingordigia e la brama di
possesso sono alla base di un bel po’ di omicidi; è quindi chiaro che si
aspetti con particolare trepidazione il momento di leggere le ultime volontà
della vittima, perché il lettore possa cercare a sua volta di arrivare alla
verità rivaleggiando col detective di carta: nonostante alcuni lasciti, tutto
dovrebbe andare alla figlia adottiva. Tuttavia il legato è condizionato da
alcune volontà: Ruth dovrebbe sposare il nipote. In questo caso entra in
possesso dell’eredità. E’ un modo per dotare la ragazza del lignaggio che
possiede il nipote, che tuttavia lo disprezza. Se tuttavia Ruth rifiuta,
l’eredità va a Hugo, se invece rifiuta Hugo l’eredità va a Ruth. Tuttavia in un
quadro in cui non sembrerebbero esserci crepe, ecco che si viene a sapere che
Ruth precedentemente alal morte del patrigno si era sposata con Lake. Quindi
questa potrebbe essere stata la molla che forse aveva costretto Gervase
Chevenix-Gore a servirsi di Poirot.
Il quadro sembrerebbe ogni momento ridimensionarsi.
Tuttavia Poirot assicura il Colonnello Riddle di avere la soluzione in mano.
Gli indizi sono: lo specchio, una scheggia di specchio finita lontano, una
matitina da bridge, un sacchetto di arance trovate nel cestino dei rifiuti (?),
la posizione della poltrona di Gore, le deposizioni di alcuni su come fossero
arrivati giù gli invitati, delle orme di piedi femminili nel giardino, e la
deposizione fulminante della fidanzata di Hugo, Susan Cardwell, che aveva
sentito non uno ma due gong: il gong veniva suonato per annunciare a padroni di
casa e ospiti che la cena era servita. Quindi l’altro, a che era servito? E lo
specchio si era rotto per un colpo di pistola? E lo sparo che si era sentito
era stato effettivamente prodotto da un’arma da fuoco.
Poirot consegna un assassino un po’ malinconico alla
giustizia.
La Soluzione della Camera chiusa è geniale, ma a me
sembra un po’ tirata per i capelli: se infatti fosse successo quello che
ipotizza Poirot, per terra ci sarebbero dovuti essere dei profondi graffi di
cui invece nessuno parla. Interessante è
invece come tratta gli indizi: Agatha Christie semina a iosa quelli veri e
quelli falsi confondendoli, e mettendoli assieme giustifica quelli falsi dando
loro una veridicità che non avrebbero avuto. Per esempio il gong: il colpo di
gong, quello vero è sempre quello che annuncia la cena, quello falso invece è
il primo. Ma si badi bene: lo sente solo una persona, e non è neanche tanto
sicura di averlo sentito, perché non è stato dato con la mazza. E per questo,
alla testimonianza non viene dato credito…lì per lì. Ma poi, supponendo che
fosse vero e che in quel momento la porta dello studio fosse aperta, allora…
Non capite vero? Già, perché questo racconto è costruito
con arte: è un vero capolavoro, un romanzo in miniatura. E a cosa serve la
matitina da bridge? A scrivere qualcosa? No. È un escamotage, per raccogliere
qualcos’altro, facendola opportunamente cadere per terra. E la scheggia come si
spiega? Un proiettile che avesse scheggiato lo specchio avrebbe avuto la forza
per far sì che una scheggia volasse lontano?
Unite tutto e avrete una rivelazione che è l’opposto
di quello che si sarebbe pensato prima, e che spiega perché la Camera Chiusa è
fasulla. Qui la Camera Chiusa non è il perno centrale della storia, ma è uno
dei perni. E questo perché risolvendo il modo, non si riuscirebbe a inquadrare
l’assassino. Che invece viene inquadrato solo dando risposta alle domande che
scaturiscono da indizi la cui risposta in un primo tempo non c’è.
Faccio notare tra gli altri uno che ha una
importanza particolare; il sacchetto di carta delle arance, rotto. Che
importanza potrebbe mai avere? Eppure, se si guarda al fatto che in una casa
importante come quella non si sarebbe mai potuto trovare nel cestino della
carte dello studio di un nobile, l’indizio assume una valenza sua peculiare.
Perché? Sì al perchè viene data una risposta. Ma quello che mi preme
sottolineare è il dato finemente psicologico che la Christie insinua: che cosa
si fa con un sacchetto delle arance? E chi mai potrebbe averlo potuto fare? Un
uomo o una donna? Un giovane o un vecchio?
Dicevo un assassino melanconico. Sì. Un assassino
che ha ucciso per vendetta ma anche per tutelare qualcun altro. Perché l’assassino
ha un legame molto stretto con altra persona. Solo che, l’assassino la conosce,
ma l’altra no. Eppure sono visceralmente legati l’uno all’altro.
E perché la Camera Chiusa in sé non sarebbe servita
a fornire la traccia per individuare l’assassino, e perché anche lo stesso
ragionamento che spiega il tutto non avrebbe per forza finito per individuare
inequivocabilmente una persona, anziché un’altra, Poirot lancia una trappola, e
accusa l’altra persona, quella da tutelare, per far sì che quella vera, l’assassino, esca allo scoperto. Quindi in questa novella,
sono presenti oltretutto due finali.
Ancora mi sembra importante sottolineare che Dead Man’s Mirror è un ampliamento di un
racconto precedente, The Second Gong
pubblicato nel 1932; il racconto fu poi compreso nella raccolta Witness for the Prosecution and Other
Stories, publicata in USA nel 1948, e in Problem at Pollensa Bay and
Other Stories,
pubblicata a sua volta in Gran Bretagna nel 1991. Mi è sembrato utile
segnalarlo anche per un altro motivo: pur restando sostanzialmente simile la
trama ( in Dead Man’s Mirror ovviamente viene ampliata), il colpevole invece è
diverso. Giusto per affermare l’estrema fantasia e versatilità di Agatha
Christie nel creare le sue storie. Tra le due versioni, unanimemente è ritenuta
migliore quella ampliata.
Insomma, un romanzo breve da leggere e gustare,
magari sotto un ombrellone.
Pietro
De Palma
Sono già iscritto da un po ma è la prima volta che scrivo... e vorrei esprimere la mia gratitudine che esista un posto dove vengono presentate altre camere chiuse (genere di cui mi sono inventato alcuni trucchi totalmente miei... visto che scrivo gialli) altri libri su cui posso tuffarmi.
RispondiEliminaSono già iscritto da un po ma è la prima volta che scrivo... e vorrei esprimere la mia gratitudine che esista un posto dove vengono presentate altre camere chiuse (genere di cui mi sono inventato alcuni trucchi totalmente miei... visto che scrivo gialli) altri libri su cui posso tuffarmi.
RispondiEliminaE allora non rimarrai deluso se continuerai a venire a leggere qui. I due prossimi articoli saranno su due romanzi, uno di Carr, l'altro di Crispin.
RispondiEliminaOttimo articolo Pietro...un bel corto di AC, forse uno dei migliori, e buona anche la trasposizione filmica della serie Suchet, se si esclude la fine incanonica.
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