Il terzo dei grandi romanzi di Pierre Boileau è il mai
dimenticato (ma in Italia sì), Le Repos de Bacchus del 1938 (tradotto in
Italia, come Il Quadro maledetto nei
Grandi Gialli Pagotto nel 1950: da allora nessuna traduzione da parte di
altri).
Riportato in tutte le grandi serie di romanzi con
Camere Chiuse, il romanzo propone 3 crimini impossibili: in sostanza una Camera
Chiusa propriamente detta e due eventi impossibili.
Il romanzo, nella serie di Boileau, viene prima di Six crimes sans assassin, e questo ha la
sua importanza, come vedremo.
André Brunel, l’investigatore risolvi enigma, non
appare subito, ma solo dopo che i tre crimini impossibili sono già avvenuti:
come in tanti romanzi di Agatha Christie, Brunel ricostruisce nella sua mente
le modalità intercorse dei tre crimini, sulla base degli indizi e dei resoconti
fornitigli.
In sostanza tutto si basa sulla collezione modesta in
quantità ma eccezionale in qualità, che Gilbert de Moncelles, conte di
Chaumigny, possiede: in gran parte quadri di pittori italiani: Lotto, Mantegna,
Vivarini, Moroni e altri, tra cui il pezzo forte, Il riposo di Bacco di Leonardo da Vinci, quadro di eccezionale
fattura pagato da lui, per sottrarlo all’acquisizione da parte dello stato
italiano, un milione e mezzo di
franchi.
Il Conte ha destinato questi quadri su una parete di
una stanza, mentre sull’opposta si aprono tre finestre che danno luce alla stanza;
sui lati corti ci sono: l’entrata su uno e un caminetto sull’altra.
La collezione è la passione del conte: ogni sera fa
mettere la poltrona davanti ad un diverso quadro, per poterlo ammirare nelle
sue sfumature. Ovviamente il suo quadro preferito è Il riposo di Bacco
Il conte, anche per legittimo orgoglio, ha sempre
permesso ai visitatori di ammirare le sue opere, e la vita nel castello è
regolata in modo che due dei servitori, Auguste e Manuel siano a disposizione
dei visitatori: uno controlla il passaggio, l’altro fa da cicerone e accompagna
il visitatore nella visita che dura 40 minuti.
Un bel giorno arriva un tale Bras Roulé al castello.
Vuole vistare la galleria, ma il lettore sa già quale sia il suo scopo: è di
genere truffaldino. Ma quando lui getta la maschera, vediamo che ancor più
criminale: infatti Roulè, spostatosi nella visita alle tele, dietro a Manuel,
lo colpisce con una piccola mazza di piombo, fracassandogli il cranio e
ferendolo mortalmente. Poi si mette all’opera, e quando sedici minuti dopo,
Manuel riesce a dare, pur ferito gravemente, l’allarme e Roulè viene
accerchiato e catturato dai servitori del conte, come indica lo stesso Manuel
prima di morire, al conte esterefatto, Il Riposo di Bacco è sparito. Lo cercano
ogni dove, ma non lo trovano. Perfino qualcuno si spinge ad ipotizzare
nascondigli segreti. Persino un funzionario di polizia, dopo che è accorsa, si
spinge a ipotizzare dei doppi fondi in alcuni quadri più grandi tali che una
tela di 50x70 possa essere stata nascosta in una di esse. Macchè: non si trova
e basta!
A distanza di una settimana mentre il conte non si da
pace, un altro fatto inspiegabile accade: un uomo assale un poliziotto che è
stato messo di ronda di guardia al castello, nel parco, lo immobilizza e mentre
egli è ben immobilizzato e legato come un salame, l’uomo va ne cortile del
castello e dopo meno di un minuto riappare con un involto piatto avvolto in
tela cerata, sicuramente il quadro. Anche in questo caso l’allarme viene dato
prima di quanto il malfattore si aspetti e così, spinto dai gendarmi verso
l’alto muro di cinta e verso il cancello dalle alte sbarre, egli non avrebbe
alcuna possibilità di fuggire; senonchè di fronte agli sbalorditi agenti, il
quadro appare miracolosamente in men che non si dica, dall’altra parte del
cancello e così il fuggitivo, senza che egli sia stato visto scavalcare muro o
cancello.
Dopo sei mesi si celebra il processo a carico del ladro
e assassino Bras Roulé che si è sempre rifiutato categoricamente di parlare, ed
egli viene condannato a morte. Una volta messogli la camicia di forza,
incatenato e portato nel carrozzone carcerario, che lo condurrà nella prigione
dove poi avverrà l’esecuzione, egli non arriverà mai a destinazione perché… il
cellulare, condotto da uomini estremamente fidati, dopo il rituale colpo di
clacson che annuncia al guardiano l’arrivo, dopo che egli si precipita dopo un
minuto, ad aprire il cancello, il cellulare è scomparso. Come è stato
possibile? In meno di un minuto non può scomparire nulla e ancor meno un grosso
cellulare, con dieci celle, cinque per lato, con un agente armato, e l’autista,
tutti e due di provata fede ed esperienza. Si pensa ad allucinazione del
guardiano. Ma il colpo di clacson l’ha sentito anche il direttore del
penitenziario, e per di più dopo indagine accurata della polizia, fino al ponte
a schiena d’asino, che porta dalla lunga via che va dal palazzo di giustizia,
alla prigione, tutti gli esercenti dei negozi lì vicino, e anche il piantone
della caserma, affermano che un cellulare è passato, ad una determinata ora su
cui tutti sono precisi e concordi, che esso per poco non ha fatto incidente con
un’auto ma che poi esso ha continuato a procedere spedito verso la prigione,
solo che..alla prigione non è mai arrivato.
Si giunge persino ad ipotizzare che una grande gru
abbia potuto arpionare il mezzo, da una fabbrica posta esattamente di fronte
alla prigione, e portarla dentro la fabbrica: ma poi i duecento operai se ne
sarebbero pure accorti e allora…
Insomma nessuno riesce a trovare cellulare, uomini e il
condannato a morte, né spiegare come sia potuto accadere.
A questo punto accade che Brunel torni a Parigi da un
precedente viaggio, e il conte, non essendo la polizia riuscita a venire a capo
del tutto, gli si rivolge. Fatto sta che proprio dopo che Brunel ha accettato
di occuparsi della cosa, un tale uomo si presenti dal conte e dopo neanche
tanti convenevoli gli dice di essere il capo della banda che compiuto i tre
fati inspiegabili e come volevasi dimostrare gli offre di restituirgli la tela
di Leonardo da Vinci a patto che il conte versi il riscatto di un milione di
franchi, in un posto isolato della campagna, detto Il Calvario, per l’esistenza
di una grande croce, il giorno dopo.
Sempre il giorno dopo, Brunel appena arrivato dal
conte, prima che si sia fatto un’idea del tutto, viene fatto oggetto di un
attentato: da un’auto in corsa, affiancatasi alla loro, parte uno sparo e
Brunel viene gravemente ferito ad una ascella: solo per un caso non viene
ucciso. La sera stessa, il conte dovrebbe versare il riscatto per riavere il
suo Leonardo, e ancora sperava di poter non pagare se Brunel fosse riuscito a
spiegare il tutto ma ora…
Eppure Brunel, con supremo atto di volontà, pur
febbricitante, si fa rinchiudere nella galleria con una tela insignificante
pressochè delle stesse misure di quella trafugata, e lì nei sedici minuti
calcolati dal momento in cui Brunel si è chiuso nella galleria, come si chiuse
nella galleria, Bras Roulé, avviene ancora una volta una sparizione
impossibile: la tela scompare dal muro. Ancora una volta non si sa come essa
sia potuta uscire: la porta era bloccata, le finestre sono nello stato come
furono trovate sei mesi prima dopo la prima sparizione, bloccate dall’interno,
e nel camino scoppiettante, la canna fumaria è troppo stretta. Eppure il quadro
è scomparso e Brunel spiegherà come sia potuto accadere: una Camera Chiusa
infernale.
E spiegherà anche il fatto inspiegabile del parco, e
ancor di più la sparizione del cellulare.
E’ bene dirlo che Pierre Boileau prende in giro il
lettore nei tre casi, perché, ovviamente, ci troviamo a tre abili messinscene:
in tutti e tre i casi, si è attuata un abilissimo inganno, e almeno nei primi
due fatti, sparizione del quadro, e sparizione dell’uomo da un posto e comparsa
in altro (una sorta di bislocazione) il tutto è stato possibile con un’identico
trucco: in sostanza il secondo mette Brunel nella condizione di ipotizzare il
primo, più complesso. A volerla dire tutta, il trucco fa uso del raddoppio del
suo elemento fondamentale.
Non avete capito. Sì lo so, ma svelare l’arcano non
posso. Dico solo che Boileau inganna il lettore in maniera molto molto sottile.
Non si tratta di nascondere un dato: no, i dati ci sono tutti. Boileau inganna
il lettore, facendo uso della psicologia applicata: in sostanza chiunque al
posto degli attori del dramma, una volta scoperta la sparizione del quadro, si
sarebbe comportato alla stessa maniera. Anch’io beninteso, perché…
Nella soluzione c’è tutto il celebre enunciato
sherlockiano: Quando hai eliminato l'impossibile, qualsiasi cosa resti, per quanto improbabile,
deve essere la verita' (Il segno dei Quattro). Boileau amplifica e codifica il celebre enunciato, dividendolo in una triplice azione: Separare accuratamente il possibile dall’impossibile; escludere
l’impossibile; concludere con gli elementi che rimangono (pag.72).
L’improbabile sherlockiano
che è uguale all’elemento che rimane in Boileau, è il principio per cui tutti
noi saremmo stati ingannati qualora ci fossimo trovati in simili condizioni.
La sottigliezza e la
genialità della soluzione della Camera Chiusa (è la variante in cui scompare
qualcosa da una stanza sigillata, come La
coppa del cavaliere di Carter Dickson o La
Spada del vescovo di Norman Berrow), contempla sia lo spazio ovviamente che
il tempo quando il quadro viene ritrovato. Perché mai il ricattatore che fa
rubare il quadro, invece di proporlo subito, fa passare sei mesi? Questo tempo
dilatato, entra di forza nella soluzione, perché ha la sua importanza. E in
questo caso spazio e tempo riguardano espressamente il furto e la ricomparsa
sei mesi dopo. Se infatti il quadro venisse proposto l’indomani e dopo un tempo
relativo, potrebbe accadere che ….
Pietro De Palma
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