L'ingresso
trionfale di Anthony Berkeley sulla scena internazionale: questo è The
Layton Court Mystery, un romanzo del 1925, in cui fa la propria comparsa
quello che sarà uno dei più famosi detective della carta di tutti i tempi:
Roger Sheringham.
Quando
Berkeley lo creò, sicuramente guardò a Conan Doyle, il prototipo base,
l'archetipo vorrei dire: Sheringham ha il tipico abbigliamento britannico, e
immancabile una pipa, molto simile a quella di S.H. Inoltre per la sua prima
avventura, pone vicino al suo personaggio principale, che fa nella vita il
romanziere di libri polizieschi, genere che lui disdegna personalmente ma che
in definitiva gli da da vivere (è un tipo snob sicuramente), un altro
personaggio Alec Grierson, che gli fa da "dottor Watson". Come dice
Mauro, "il clichè era quello". Però lui (Berkeley) va oltre: Grierson
è impacciato, è goffo, irrinunciabilmente cavaliere, per lui le donne
soprattutto se di una certa classe sociale non possono essere assassine semmai
vittime. Insomma è la fotocopia del Cap. Hastings di Agatha Christie. Il
connubio Berkeley - Christie è uno da osservare ben bene, perchè entrambi si
stimavano reciprocamente: lui deve aver guardato ad Hastings, lei ammirava
Berkeley e il suo Sheringham.
Questo
loro reciproco apprezzamento vedremo nel prosieguo che produrrà un altro
sostanziale prodotto in questo primo romanzo di Berkeley.
Roger
Sheringham, scrittore di romanzi, e il suo amico Alec Grierson, sono ospiti da
alcuni giorni di Victor Stanhope, un ricco possidente, benvoluto da tutti, che
offre sigari di marca e vini prelibati ad ogni piè e si fa notare per la sua
simpatia. Nonostante questo, è trovato morto nella biblioteca di casa sua, con
porta e finestre chiuse dall'interno. Il messaggio lasciato è inequivocabile.
Tutto farebbe pensare in effetti ad un suicidio. E a tutti, compresa la
polizia. L'unico a non esser convinto della dinamica dei fatti è proprio Roger,
che comincia ad investigare, in coppia con l'amico Alec Grierson, riluttante
eppure convinto a fargli da spalla, come un Watson di un redivivo S.H.
Quello
che non comprende è innanzitutto la modalità di suicidio: perchè spararsi in
fronte quando è più semplice spararsi alla tempia? Inoltre nota sulla mensola
del camino tutta una serie di impronte che fanno pensare che lì ci fosse
dell'altro oltre un vaso, e dei frammenti lo fanno convincere saull'esistenza
di un secondo vaso, i cui frammenti però (tranne uno) sono scomparsi. Inoltre
molto sospetti sono sia le reazioni della Signora Plant, altra ospite e amica
di lady Stanhope, aristocratica, cognata del possidente, della stessa Lady
Stanhope e del Maggiore Jefferson, il segretario della vittima: se la cognata
non sembra per nulla addolorata, gli altri due sono stati sorpresi da Roger a
trafficare intorno ad una cassaforte nella biblioteca: la donna ha convinto
temporaneamente gli astanti, che la ragione per cui era impaziente di aprire la
cassaforte è che ci fossero là dentro i suoi gioielli. Le reazioni successive
più distese, lo convincono che qualcuno - probabilmente l'assassino - dopo aver
ucciso la vittima deve aver avvisato i due di quello che aveva trovato e fatto
sparire. Sono pur sempre congetture, ma intanto Roger ha risolto come
l'assassino è potuto uscire dalla sala: dopo aver verificato l'inesistenza di
porte ed uscite segrete, capisce che si è servito di un trucchetto legato
all'apertura della finestra che da sul giardino. Nell'aiuola sottostante nota
delle impronte che sembrano dirigersi verso la stanza e non fuori. Anche questo
viene risolto: con un'abile ragionamento sulla profondità delle orme dei tacchi
e della suola, Roger inquadra la situazione com'è stata realizzata: l'assassino
è saltato dal davanzale all'indietro, simulando un'andatura verso la finestra
anzichè una fuga. Quando però in seguito tornano indietro, trovano le impronte cancellate.
Roger
si convince della colpevolezza del magg. Jefferson e che la signora Plant gli
ha nascosto parecchio, quando trova sul divano della biblioteca, tra i cuscini,
un fazzoletto appallottolato umido, ma profumato di gelsomino - il profumo
della signora Plant - e delle tracce di cipria sul bracciolo.
Dopo
un interludio nel quale Roger è convinto a sospettare di un certo Prince, che
Stanhope temeva e di cui era invero terrorizzato, ghiacchè ha trovato nella
discarica dell'immondizia della villa un foglietto bagnato e puzzolente in cui
legge di questo Prince. Le successive indagini loi porteranno ad un campo, dove
pascola un bizzoso toro: è lui Prince. Dopo una tragicomica fuga, ecco
ricominciare le indagini questa volta intorno alla figura della vittima, che
riveleranno essere nient'affatto una brava persona come si pensava ma un losco
ricattatore, che ricattava sia la signora Plant, sia il maggiore Jefferson suo
segretario, persino il suo chaffeur, ex pugile, lady Stanhope e la signora
Shannon, madre di un'altra ospite della villa andata via la mattina della
tragedia. Tuti sono sospettabili a questo punto. e non solo il magg. Jefferson.
Dopo tanti tentativi e infruttuose ricostruzioni, Sheringham rivelerà al suo
poco convinto Watson, il nome dell'assassino, riservandosi purtuttavia di non
denunciarne la colpevolezza alla polizia, dato che la morte del ricattatore si
sarebbe rivelata come la liberazione per tutti gli altri coinvolti nella
vicenda.
L’assassino non è
estemporaneo, ma è sempre presente nella storia, dall’inizio alla fine:
partecipa all’azione, cercando in tutti i modi non di depistare, ma di mettere
in confusione le asserzioni di Sheringham. Il suo scopo non è quello tanto di
stornare i sospetti da sé, quando di impedire a Sheringham di accusare altri,
di accusare un innocente. Perché lui è quello: un innocente che è intervenuto
per difendere una donna, per evitare che un ricatto si trasformasse in un
dramma, e aggredendo Stanhope per sottrargli le prove, è stato sparato e per legittima
difesa ha ucciso. E poi ha inscenato tutto, rientrando da una finestra. E’ solo
per questo che Sheringham non lo denuncia. Anzi, quando quello tradendo la sua
vera natura, vorrebbe consegnarsi alla polizia, è lui, Sheringham a
rimproverargli il fatto di essere troppo
convenzionale.
Inizio
col dire che questa è una pietra miliare della letteratura poliziesca: anche
Berkeley si presenta quale sperimentatore, in un periodo, gli anni venti, in
cui c'erano le premesse perchè il genere giallo che allora era in gran voga,
fosse girato e rigirato e producesse i suoi migliori frutti, e in cui gli
sperimentatori (Agatha Christie, Philip MacDonald) sperimentassero una serie di
contorsioni del genere poliziesco, sfatando dei miti. Berkeley invero, si
presenterà proprio come sperimentatore nella sua prefazione a The Second
Shot, del 1930, quando inquadrerà il futuro del genere giallo in una
evoluzione da whodunnit puro a howdunnit in sostanza, puntando l'attenzione sul
genere sofisticato: spostando cioè l'attenzione dalla trama ai singoli
personaggi, abbandonando il puzzle di tipo matematico e lavorando ad un tipo di
romanzo più di tipo psicologico. Non chi ha ucciso X nel bagno ma come è
accaduto che X fosse ucciso nel bagno.
Ma
se Berkeley si presenta quale sperimentatore, facendo riferimento al romanzo
che gli aveva dato il successo, cioè The Poisoned Chocolates Case, in realtà, la sperimentazione è già attuata ed al massimo grado, in questo suo primo esordio: per certi versi, l'idea
base della soluzione, che è inaspettata e lascia di stucco - semmai qualche
idea peregrina era pure venuta, ma no, non poteva essere! E invece sì
- stravolse uno degli ultimi capisaldi del romanzo poliziesco: Zangwill
nel 1896 aveva distrutto la fiducia del lettore nell'imparzialità della
polizia, Anthony Berkeley nel 1925 e Agatha Christie nel 1926, distrussero gli altri due
possibili capisaldi: un altro soggetto detective, quando presente; e il narratore, che dovrebbero essere anche loro
imparziali.
Invero già qualche avvisaglia si potrebbe averla leggendo le prime pagine, quando Sheringham si dilunga nel rapporto delle figure che intervengono in un romanzo poliziesco. Però, devo dire che mai prima d'ora, avrei pensato di imbattermi in una situazione del genere, tanto più che l'assassino è un soggetto che normalmente, nei romanzi del periodo, e talora anche dopo, mai sarebbe dovuto esserlo.
Invero già qualche avvisaglia si potrebbe averla leggendo le prime pagine, quando Sheringham si dilunga nel rapporto delle figure che intervengono in un romanzo poliziesco. Però, devo dire che mai prima d'ora, avrei pensato di imbattermi in una situazione del genere, tanto più che l'assassino è un soggetto che normalmente, nei romanzi del periodo, e talora anche dopo, mai sarebbe dovuto esserlo.
Ecco
il motivo per cui questo romanzo è un gioiello, e bene ha fatto Polillo,
qualche anno fa, a riproporre la traduzione di Mauro in un volume della sua
beneamata collana de I Bassotti.
E'
tanto interessante anche perchè il personaggio è scanzonato. Talora i
ragionamenti possono essere anche ingenui o comunque sorpassati dai romanzi
posteriori: dibattere sul perchè la vittima presenti un foro sulla fronte e non
sulla tempia è paradossale in un contesto in cui l'ispettore di polizia
l'accetti placidamente e non si ponga il quesito che ognuno di noi si porrebbe.
Oppure rammento dei particolari troppo evidenti per non esser stati esaminato
da Berkeley: come fa nessuno ad aver sentito, non uno ma due spari di un
revolver (una pistola a tamburo) nel bel mezzo di una notte? Il bello è che
questo bug non viene neanche accennato nel corso del romanzo. Nessuno ci pensa.
Nemmeno Berkeley stesso. Io sì però (Berkeley non me ne voglia!)
C'è
un'atmosfera spiritosa e mai pesante. C'è ironia, sarcasmo, talora anche un
accenno patetico, quando Sheringham viene a sapere di come la signora Plant per
ricavare i soldi per il ricatto non avendoli, sia stata consigliata in sostanza
dal ricattatore, di prostituirsi: lui le avrebbe presentato chi avrebbe
ricompensato i suoi favori. In un periodo in cui la donna è ancora una vittima,
e non un assassino. Del resto questo è il convincimento di Alec Grierson,
il Watson di Sheringham, che laddove lui additi come possibile complice una
donna, Grierson immediatamente la salva, non ammettendo che una povera
innocente esponente del gentil sesso possa essere un'assassina.
Il
tono diventa talora anche farsesco, e ricorda molto ( a me ha ricordato almeno) il Fra
Diavolo con Oliver Hardy e Stan Laurel, quando i due malcapitati vengono
rincorsi da un toro: così Alec e Sheringham rincorsi, anzi caricati da Prince
(e Berkeley calcola anche l'arrivo alla staccionata e l'ordine di arrivo: primo
Alec, secondo Roger, terzo il toro, cioè dicendo che il sedere di Roger
Sheringham aveva corso il pericolo di essere incornato). Però tutto questo
insieme di atmosfere, di indizi, di situazioni paradossali (i due immersi in un
immondezzaio a cercare le carte dei cestini della casa), non inficia la bontà
delle idee, delle soluzioni: a parte quella finale che sconvolge il lettore,
che mai si sarebbe aspettato (o quasi) quella fine (e Sheringham dimostra come
sia un investigatore dilettante, innamorato nello scoprire l'assassino, e non
invece nel consegnarlo alla polizia: il divertimento della logica opposto al
rigore etico del male che pur sempre debba essere perseguito, anche quando sia
stato rivolto a sopprimere un delinquente).
Anche
la soluzione della Camera Chiusa è altamente originale. Tanto originale da aver
a parere mio influenzato pesantemente l'escamotage inserito da Agatha Christie
in Dead Man's Mirror, racconto che è del 1936: quando metti in
tensione il sistema di bloccaggio di una finestra, quando il fermo trova
il suo alloggio, la finestra si blocca e la maniglia ruota. Più o meno
questo. Ma strano è che la stessa idea si trovi prima in Berkeley, poi in
Christie.
Martin
Edwards ha commentato quando gliel'ho accennato: Very interesting as always.
Ancora,
c'è anche qui, ed è la prima volta, prima che de "Il caso dei cioccolatini
avvelenati", anche una specie di soluzione multipla: Berkeley sperimenta
la possibilità, cioè, di partire dalla medesima base indiziaria, ed arrivare a
persone completamente differenti: prima prende a colpevole il maggiore
Jefferson, poi, applicando la stessa metodologia, individua il vero assassino.
E
individuandolo, distrugge il mito dell'investigatore di Conan Doyle,
utilizzando un suo celebre aforisma, in sostanza: "Una volta eliminato
l'impossibile ciò che rimane, per quanto improbabile, dev'essere la
verità". Perchè in questo caso l'improbabile concorda con
l'individuazione dell'assassino. Solo che così facendo Barkeley, distrugge una
delle facce leggendarie del mito di Sherlock Holmes.
E così facendo, non potendo distruggere il detective, ne distrugge l’umanizzazione, creando il superdetective, che sarà il protagonista dei successivi anni.
Se non avete capito chi sia l'assassino, non dovete
fare altro che leggere il romanzo ed inchinarvi al cospetto di uno dei più
grandi: Anthony Berkeley Cox. E così facendo, non potendo distruggere il detective, ne distrugge l’umanizzazione, creando il superdetective, che sarà il protagonista dei successivi anni.
Pietro De Palma
Piero, tutto bene? Mi mancano i tuoi articoli
RispondiEliminaBeh è un dato confortante che ci sia qualcuno che senta la mia mancanza. Francamente stavo pensando di chiudere questo e altri spazi, visto che non ci sono commenti. Io scrivo per lanciare idee, per lanciare salvagenti nell'acqua, per stabilire ponti. Mi serve il commento per capire il bisogno, per capire se sto andando incontro al lettore.
RispondiEliminaPer di più questo è un periodo in cui per problemi di varia natura sto leggendo poco. A problemi di natura fisica si è aggiunto l'incontro con un vecchio amico, ritenuto perso. Igor Longo. Il più grande esperto di mystery in Italia. Incontro che si è trasformato in un faccia a faccia, e in una scoperta continua di tanto che non avevo considerato. Da due mesi sono impegnato nell'acquisizione di libri che non avevo considerato interessanti ed invece pare lo siano. E quindi lavorando e avendo impegni di natura familaire, anche gravi, tempo per scrivere ne ho di meno al momento. Comunque tra qualche giorno uscirà un articolo su un altro racconto di Shimada, anche questo purtroppo non disponibile in Italia, ma favoloso. E poi Dio piacendo o un Enzo Russo o un Edmund Crispin. Non so. O un Daly King.
Piero non scherzare! i tuoi articoli sono l'unico (o quasi) apparato di approfondimento sul giallo, dato che chi dovrebbe farlo l'approfondimento (vedi la mondadori) latita.
RispondiEliminaIo leggo tutti i tuoi post anche se, ammetto che mi manca il tempo per commentare a volte. e credo che siano molti a seguirti.
P.S. Facci sapere, se possibile, qualche chicca del grande Igor Longo.
io i tuoi blog li leggo sempre
RispondiEliminaLuigi Lauro
Il tuo blog è un mio costante riferimento, anche solo leggere un tuo nuovo post in pausa pranzo o la sera a letto è un piccolo piacere. Dai non mollare, anch'io avendo un mio modestissimo blog so per esperienza che scrivere avendo pochi o nulli feedback è frustrante, ma il tuo è davvero un ottimo lavoro e sarebbe un peccato perderlo. Ciao
RispondiElimina