Meurtre dans un manoir anglais, è un romanzo del 1997. Paul Halter lo scrisse dopo L'arbre aux doigts tordus, del 1996 e
prima di Le cri de la sirène del 1998, nel ciclo di Twist. Veramente nel
1996, aveva scritto un altro romanzo, Le cercle invisible, con soggetto
a se stante, pubblicato l’anno dopo in Mondadori. Erano gli anni in cui gli
Halter erano seguitissimi e per nulla disprezzati anche dai responsabili di
Mondadori, e se ne facevano anche due o tre all’anno, non uno ogni 2 o 3 anni.
Erano l’equivalente dei Bowen di ora, per quanto riguarda la frequenza di
pubblicazioni. Ed erano i migliori della produzione.
Ho sempre avuto il sospetto che a parte La Quarta Porta e Testa di Tigre, che erano romanzi che erano arrivati tramite le
agenzie, e che erano stati affidati da Mauro a Ciangottini per la lettura e
l’eventuale approvazione, i restanti, a partire proprio da Le cercle
invisible ( portati da Igor la
prima volta che andò a Milano da Magagnoli , che esclamò quando lui gleli mise
sulla scrivania : “Ma come? Halter ha scritto
altro? Ma perchè nessuno me l’ha mai detto?” ), intendo i primi ad essere stati
pubblicati dopo i primi due, devono esser stati scelti proprio per la loro
qualità, perché cioè continuassero e rafforzassero il successo avuto coi primi
due. Igor, che aveva letto in originale tutti i romanzi pubblicati fino ad
allora, sapeva benissimo quali fossero da preferire ad altri subito e quali
pubblicare in un secondo momento, quando cioè il successo dell’autore avrebbe
fatto accettare anche dei lavori di secondo piano. Non è un caso e nemmeno un
fatto che possa suscitare scandalo, che un autore attraversi degli alti e bassi
nella sua produzione: persino Carr scrisse dei romanzi meno brillanti di altri,
per es. Eight of Swords o Below Suspicion o
The Four False Weapons. E allora
perchè scandalizzarsi se altri autori ne abbiano scritti?
Innanzitutto questo non è un romanzo. Ho detto talvolta,
nelle mie analisi di romanzi di Halter, che secondo me, tranne alcuni casi ben
individuati (ovviamente tra i romanzi più importanti, Le cercle invisible, La quatrième porte, La mort vous invite, La mort derrière les
rideaux, La chambre du fou, La septième hypothèse, A 139 pas de la mort, La
toile de Penelope, Le brouillard rouge,
Le fleurs de Satan, La tête du tigre), Halter spesso costruisce i suoi libri unendo dei racconti separati e
poi unendoli in dirittura d’arrivo: per es. Le géant de pierre o L’image
trouble (in cui una vicenda nel lontano passato, viene legata ad una nel
presente), Le cri de la sirène (in cui le vicende di due persone vengono
legate tra loro), e vari altri. In questo caso addirittura, il romanzo diventa
un contenitore che mette assieme sette racconti e poi li unisce in quella che è
l’origine di un famoso gioco di società, il Cluedo, e in cui Twist e Hurst
compaiono nell'inizio, e nella fine che spiega tutto.
In sostanza è accaduto
qualcosa che non si sa se spiegare come incidente, omicidio o suicidio. Hurst
brancola nel buio, e Twist a cui si è rivolto, gli consiglia di leggersi le
sette storie di coloro che furono invitati una sera, a casa del dottor Lenoir,
per partecipare ad un nuovo gioco inventato dal loro ospite: ognuno di loro,
coinvolto in un fatto di sangue, o come spettatore o come interprete, avrebbe dovuto raccontare la
sua storia, davanti agli altri, assieme al padrone di casa, o in assenza dello
stesso ad un suo rappresentante. Poi avrebbero giocato assieme al tiro a segno,
avrebbero cenato assieme, e poi a fine serata il padrone di casa avrebbe
riservato loro una sensazionale sorpresa. Così Hurst legge le sette storie che
coinvolgono sette ospiti: la Signorina Rose, il colonnello Moutarde, il dottor
Lenoir, il Professor Violette, la Signora Leblanc, il dottor Olive, la Signora Pervenche.
In mezzo a loro, secondo Twist, si nasconde l’assassino, perché quello in cui
sono coinvolti, a suo parere è un omicidio premeditato.
Le sette storie sono:
Rose: Camera Chiusa. Il
fidanzato di Rose, Philip, mentre è in compagnia dello zio, in una biblioteca chiusa dall’interno, non sa
come spiegare come lo zio di Rose alle sue spalle sia stato ucciso mediante una
freccia, con la finestra spalancata, ma con dinanzi un alto muro e una neve
immacolata in cui non si notano le impronte di chi avrebbe dovuto scoccare la
freccia mortale
Dottor Lenoir: sparizione
della moglie e ricomparsa nella cassa panca di un inquilino dello stesso palazzo.
Il fatto che una chiave apra due appartamenti
del palazzo, da luogo a due ipotesi antitetiche, nell’ambito di un machiavellico
piano omicida, in cui entra un
candelabro sporco di sangue, due cassapanche, una per appartamento, euna chiave
che apre due appartamenti diversi e quindi permettere non solo al condannato di
uccidere ma anche a Lenoir di entrare nell’appartamento altrui e usarlo per stessi
fini.
Colonnello Moutarde:
premonizione di incendi dolosi, ricatto, e omicidio. Il Colonnello avrebbe
scoperto che all’epoca in cui prestava servizio nella polizia, un suo collega
aveva ricattato i proprietari delle proprietà in cui un sensitivo prevedeva che
sarebbero scoppiati incendi, affinchè pagassero se non volevano che davvero bruciassero
i loro beni.
Professor Violette:
premonizione, assassinio di una donna nel momento in cui un suo amico sogna che
avvenga. Il sensitivo viene sospettato di avere ordita una trappola per
mascherare la sua colpevolezza, ma poi viene riconosciuto innocente, salvo
scoprire che quando era bambino aveva assistito ad una stessa scena, in cui sua
madre era stata ucciso dal medesimo assassino della sua amica.
Signora Leblanc: delitto
impossibile e non suicidio di Sir Jerry Cadosh, archeologo. Apparizione di un
golem in casa sua prima del suicidio, nella cucina chiusa dall’interno. Una
misterioso statuetta raffigurante un toro alato, fa pensare ad una maledizione.
In un secondo tempo, sulla pistola non vengono trovate le impronte del morto, e
quindi si fa strada l’ipotesi di un omicidio impossibile, compiuto da un toro
alato, visto che oltre la finestra socchiusa in una distesa di fango rappreso al
di là di essa, non vengono trovate impronte.
Dottor Olive: delitto di un
celebre entomologo e scambio di persona alla base dell’omicidio. Presente una
grossa clessidra, e una scatola bucherellata da cui è uscito non si sa se una
grossa farfalla o un grosso ragno.
Signora Pervenche: suicidio impossibile di un suo amico, di cui è
accusata lei, mentre si scopre che è stata altra persona che aveva finto un alibi
di bomba con l’aiuto di una sosia.
La serata si era conclusa,
dopo l’apertura di due cassapanche, una delle quali apparecchiata per una cena
a buffet, e il ritrovamento di cuscini, e poi sotto un divano, di un flacone di
Veronal, e di un tirassegno, oltre che di numerosi oggetti riguardanti le
singole storie, con una ipotesi delittuoso riguardante proprio il dottor
Lenoir, che viene trovato oltre il bersaglio, accasciato su una sedia e colpito
dai proiettili dei sette invitati.
Tra di loro un assassino che
avrebbe lasciato nel suo racconto un importante indizio, scoperto prima da Lenoir
che avrebbe ricattato il sospettato per supportare i suoi capricci e i suoi
giochi di società, e poi dalla polizia molti anni dopo, dopo un bombardamento
dei tedeschi di un palazzo di Londra, dove l’assassino viveva indisturbato,
avendo ritrovato un importantissimo indizio che avrebbe rivelato una verità
tenuta nascosta. Nell’epilogo, Twist, senza conoscere questo indizio, inquadra
l’assassino e quale indizio sarebbe sfuggito all’assassino e presente nel suo
racconto, avrebbe dato la possibilità da solo di smascherarlo.
Il romanzo, come abbiamo detto
comincia dove finisce. E’ un modo di scrivere che troviamo altre volte in
Halter: lo troviamo per esempio in Le brouillard rouge, dove nel prologo
si vede un uomo che dipinge di rosso una stanza e poi nell’epilogo si capisce
che quella non è pittura ma sangue, perché….
; qui così come comincia il romanzo, finisce: con Twist e Hurst
impegnati ad individuare il bandolo della matassa.
Non è facile indovinare, come
mi è capitato altre volte, chi possa essere l’assassino, perché in quest’occasione
non c’è un unico fatto, un’unica storia che si snoda dall’inizio alla fine ( e
i finali di Halter sono per così dire quasi sempre pirotecnici, per cui quasi
sempre c’è un ribaltamento), ma più storie, più avvenimenti che si intersecano,
ma distinti in sé, e trovare l’indizio fuorviante è difficilissimo. Nondimeno
la capacità di affabulare, di incantare il lettore è immutata e sempre altissima: Halter è
paragonabile a Carr non tanto nelle Camere Chiuse, ma nella capacità di evocare
atmosfere, di raccontare. Con queste premesse, bisogna abbandonare la velleità
di competere con lo scrittore (questo è uno dei limiti però del romanzo, perché
l’indizio è molto sottile e flebile, non così appariscente, come una bottiglietta
priva di etichetta e contenente tintura di jodio, in uno dei primi romanzi di
Ellery Queen, The Egyptian Cross Mystery: scrittore e lettore dovrebbero combattere ad armi
pari, cosa che qui non avviene) e leggere il libro abbandonandosi alla storia.
Tutte le storie sono scritte
benissimo, e anche le soluzioni proposte sono plausibili: in particolare quella
della prima Camera Chiusa è notevole. Nonostante ciò troviamo pur sempre e
anche in questo romanzo, tutta una serie di richiami e rimembranze, non solo di
romani altrui, ma anche dello stesso autore alsaziano: la cassapanca in cui si
troverebbe il cadavere di Lenoir e non c’è e quella in cui viene effettivamente
trovato quello di sua moglie, richiama la cassapanca in La mort vous invite
in cui viene tenuto per qualche tempo un cadavere: del resto una cassapanca o
un baule usati per questo scopo, sono utilizzati in tanti altri romanzi e
racconti, da Smallbone Deceased di Michael Gilbert a The Mystery of
the Baghdad Chest di Agatha Christie, a Le Tueur N.2 di Pierre Mac Orlan; e
per di più una cassapanca apparecchiata per un buffet, richiama il baule apparecchiato
per un buffet di Rope di Alfred Hitchcock ( e la coincidenza mi sembra
per nulla casuale). L’ossessione del cadavere all’interno di un divano, deriva
da The Red Widow di Carter Dickson (lì era una poltrona) e si stabilizza
in Halter nel precedente La Quatrieme Porte. Il cadavere con una freccia
infilata nel collo, chiuso in una camera richiama subito alla memoria The
Judas Window di Carter Dickson; non solo: un cadavere ed una persona
innocente al di dento di una camera chiusa dall’interno, richiamano anche Dead Man Control
di Helen Reilly. E il ragno enorme del racconto di Olive, richiama altri ragni,
primo fra tutto quello del romanzo di Halter, La
toile de Penelope. Insomma, a
cercarne di riferimenti, se ne trovano a bizzeffe. Altro riferimento
interessante e ricorrente nelle opere di Halter è un adolescente assassino, già
trovato in La malédiction de Barberousse, e poi anche in Le diable de
Dartmoor, e Spiral. E a voler cercare il numero sette è già presente
in Les sept merveilles du crime, 1997 (inedito da noi).
La stessa forma utilizzata da
Halter e per lui originale, trova un corrispettivo storico in The Big Four
di Agatha Christie.
In quarta di copertina, si
allude a Ten Little Niggers, di Agatha Christie, come paragone di ambientazione
in cui snocciola la storia, ma in realtà 10 piccoli indiani c’entra qui
come un cavolo a merenda
Quello che a me lascia
perplesso, è cosa si prova dopo aver letto il libro: una specie di flop finale,
non il solito finale altamente spettacolare degli Halter (eccezionale quello
per esempio in Le Brouillard Rouge, o L'image trouble), quasi un’insoddisfazione
personale; che è tanto più grande, se si pensa ad altri romanzi di Halter più
spettacolari di questo.
Comunque sia un prodotto
altamente godibile.
Presentandosi come una origine
inventata del Cluedo, Halter intelligentemente fa riferimento alla versione
storica inventata da un impiegato di un avvocato, negli ultimissimi righi del
romanzo: questo, di Anthony Pratt è un riferimento reale storico, così come dei
sette sospettabili, il solo presente nella versione del Cluedo gioco, e nella
versione letteraria di Halter, è il Colonnello Mustard (qui Moutard), al pari
alcune delle armi citate nel gioco da tavolo e nel romanzo: la chiave inglese,
il candelabro, il veleno, il revolver, la corda.
Per me Halter si manifesta
ancora una volta, uno splendido cesellatore di racconti, perdendo invece nella
costruzione di grandi cattedrali narrative, laddove bisogna non solo spiegare
la soluzione ma anche tenere a bada le diverse personalità dei sospettati e
saperli far interagire al di dentro di un contenitore multi testuale. Eccetto
ovviamente alcuni esempi mirabili.
Ma il paragone tra l’Halter
scrittore di racconti e l’Halter scrittore di romanzi, per me fa spostare l’ago
della bilancia nettamente verso il primo termine di paragone.
Pietro De Palma
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