Nata nel 1907 e scomparsa nel 1988, si chiamava Mary
Christianna Lewis. Prima di dedicarsi a pieno regime alla narrativa di genere,
la Lewis più nota come Christianna Brand, svolse molti diversi mestieri, dalla
commessa alla ballerina, modella e anche governante; ma non era inglese, pur
appartenendo al Commonwealth Britannico: infatti era nata in Malesia e per
molti anni visse in India. Figlia di un militare, Christianna, svolgeva ancora
il mestiere di commessa, quando scrisse il suo primo romanzo Death in High Heels, “La morte ha i tacchi alti”,
nel 1941: in questo giallo compariva come proprio investigatore l’Ispettore
Charlesworth, che comparirà in un altro romanzo quasi quarant’anni dopo, 1979:
The Rose in Darkness.
Tuttavia fu con l’Ispettore Cockrill, che la Brand raggiunse
il successo; e infatti, oltre che nel suo romanzo d’esordio, Heads You Lose, sempre del 1941, e conosciuto
in Italia col titolo “Cockrill perde la testa”, Cockrill comparve in altri
romanzi, alcuni dei quali degli autentici capolavori: Green for Danger,
“Delitto in bianco” (1944) che molti considerano il suo più bel romanzo; Death
of Jezebel (1948); Tour de Force (1955). La Brand scrisse anche
altri romanzi di genere poliziesco, introducendo l’Ispettore Chucky, per es. in
Cat and Mouse (1950), altro bellissimo romanzo, già pubblicato anni fa
da Mondadori e poi da Polillo. Christianna Brand scrisse anche dei romanzi per
ragazzi (quelli con Tata Matilde) che ebbero notevole successo.
Christianna Brand è uno di quei rappresentanti del mondo
della narrativa che provenivano da altre nazioni del Commonwealth, senza essere
pura britannica, come per es.i neozelandesi Ngaio Marsh e Norman Berrow o
l’australiano Arthur Upfield. La Brand, tuttavia, proprio per il fatto di esser
stata estremamente eclettica nei ruoli svolti fino al successo, e per esser
stata capace di mettersi sempre in gioco e di prendere la vita per quello che
offriva, riversò nelle sue opere una certe verve che manca in autori come Upfield
o Berrow o la stessa Marsh, molto più rigorosi e forse anche eleganti (la penna
di Ngaio Marsh è molto raffinata) ma non invece così originali nelle soluzioni
stilistiche e nei plot, e soprattutto più affettati. In certo modo, la Brand,
nel mondo della tradizione britannica del romanzo poliziesco, è quella che
secondo me si avvicina di più all’approccio americano, pieno di fantasia e
talora anche fantastico, e che deve molto alla sua origine più “plebea”
rispetto a quella aristocratica inglese.
Un esempio originalissimo e per certi versi emblematico di
questo modo di vedere la costruzione di un romanzo, è Death of Jezebel ,
meglio conosciuto in Italia con titolo “Morte di una strega”, ripubblicato
qualche anno fa da Mondadori. E’ un romanzo interessantissimo e superbo nella
costruzione, lineare e assieme complesso, come certe opere del primissimo
Ellery Queen, in cui Christianna Brand fa comparire non solo l’Ispettore
Cockrill, ma anche l’Ispettore Charlesworth, il primo dei suoi personaggi: la
presenza di entrambi, sancisce l’importanza del romanzo; inoltre, è stato
racchiuso da alcuni critici anni fa, in un elenco delle migliori 99 Camere
Chiuse della Storia del Giallo. Vediamo il perché.
Innanzitutto è uno di quei romanzi il cui avvenimento
principale accade sotto gli occhi di tutti, nella fattispecie una platea, e di
romanzi del genere, ve n’è un numero nutrito, per esempio: “Ventimila hanno
visto” (un rodeo) per esempio, di Ellery Queen; “Ottanta milioni di occhi” (in
televisione), di Ed McBain; “Tragedia in tre atti” (un ricevimento), di Agatha
Christie, “La Poltrona N.30” (in teatro) di Ellery Queen.
Il romanzo inizia con uno stravolgimento che lascia del tutto
esterrefatti, nella prima parte, quella che nel mystery più propriamente detto
era dedicato alla presentazione dei personaggi, dei loro propositi, dei veleni
e delle invidie, gelosie,cattiverie, motivo per la premeditazione o comunque
per l’estrinsecazione di un fatto delittuoso. E molto spesso nei romanzi più
tipicamente inglesi, per es. quelli della Heyer, passa del tempo prima che si
arrivi all’omicidio, o almeno parecchie pagine. Invece in questo romanzo,
nell’arco di sole due, si racconta di un amore sfortunato e di come un giovane,
raggirato, si sia potuto uccidere lanciandosi con la sua auto contro un muro; e
di come qualcuno, poi abbia giurato di vendicarlo, uccidendo coloro che si
fossero resi colpevoli della sua morte. Tutto in due pagine: nessuna perdita di
tempo, nessuna creazione di atmosfera ad hoc, ma in men che non si dica, si arriva
alla parte centrale: in un teatro, deve svolgersi un carosello equestre, in
costume: cavalieri con indosso elmi e corazze su cavalli bardati all’uopo, ed
una rappresentazione di amor cortese, con l’immancabile dama che si dovrebbe
sporgere dal balcone. Fatto sta che proprio la dama, è la strega che è stata
all’origine del suicidio: si chiama Isabel, ma tutti la chiamano Jezebel, nome
che la Brand usa sicuramente rifacendosi alla Jezebel biblica, regina dannata,
che morì sbranata dai suoi cani. E come la Jezebel biblica (la regina Cananea
sposa del re Acab, che portò il culto del dio fenicio Baal in Israele e si
trovò a fronteggiarla il Profeta Elia), o come la Jezebel dell’Apocalisse di
Giovanni, finta profetessa che induce e convince molti a commettere atti
impuri, questa odiosa donna, che tiene in scacco chi le sta attorno e cerca di
trarne il massimo del profitto, finisce per fare la fine che tutti vorrebbero
che facesse; perché è stata lei alla base del suicidio di Johnny.
In questo, è come se la Brand prendesse le parti
dell’assassino, e in certo senso, siccome la vittima è un personaggio odioso
che si indica come la causa di un suicidio, è come se ogni lettore partecipasse
alla vicenda, facendo quasi il tifo perché l’assassino potesse farcela questa volta
a scamparla. Del resto in alcuni casi il detective è dispiaciuto quasi di aver
dovuto arrestare l’assassino: in When in Rome di Ngaio Marsh, Roderich
Alleyn commenterà che “..quello era il più simpatico assassino che avessi mai
conosciuto”. Tuttavia, questa partigianeria del lettore per l’omicidio della
“strega”, finisce nel momento in cui l’assassino per poter portare a compimento
l’assassinio, premedita l’assassinio di un innocente, che solo per l’angelo
vendicatore merita di morire, ma che in realtà col suicidio di Johnny Wise è
c’entrato assai poco: era stato un fantoccio nelle mani e nei piani di
Isabel-Jezebel.
Tuttavia questo omicidio, che si scopre in un secondo momento
rispetto a quello di Isabel, avvenuto in teatro, sotto gli occhi di tutti, in
una ipnotica Camera Chiusa, è stato necessario perché in un certo istante del
carosello equestre, si potesse pensare che un certo cavaliere era su un
determinato cavallo, ed invece quello era altrove, ad assassinare Isabel.
Se io parlo di trama ed i plot superbi, è perché la Brand qui
riesce con un virtuosismo illusionistico a far convincere che davvero sotto
quell’elmo, un certo personaggio avesse visto degli occhi, e a farlo convincere
che davvero su quel cavallo ci fosse stato un cavaliere, il Cavaliere Bianco.
Che poi si trovi che possa essere stato il Cavaliere rosso a strangolare la
bella Isabel-Jezebel, e che addirittura quattro persone diverse giurino di
essere ciascuna, lo stesso Cavaliere, questo è un altro giochetto con cui
furbescamente la Brand rimescola le carte, e butta il povero lettore in pasto
ai leoni, tanto più che a dimostrare in un primo tempo che le cose non possano
essere andate in un certo modo, e che cioè il Cavaliere Bianco in realtà sul
cavallo ci fosse, è proprio Cockrill; come poi ciò possa essere spiegato, è
alla base di uno dei romanzi più indimenticabili che io abbia letto negli
ultimi anni; e solo quando si leggerà la spiegazione, si potrà capire
l’efferatezza dell’omicida e la sua lucida pazzia: come incastrare due fatti assolutamente
impossibili (su un cavallo non poteva esserci un cavaliere e nel tempo stesso
era provato che sotto l’elmo erano stati visti due occhi azzurri), sarà
l’elemento centrale di questo straordinario puzzle: solo in quel momento si
capirà come quello che viene scoperto come secondo delitto abbia invece
preceduto il primo, quello spettacolare, e non solo in ordine al tempo ma anche
alla stessa premeditazione dell’omicidio di Isabel. Infatti senza che fosse
ucciso Earl Anderson, non poteva essere organizzato il secondo omicidio (che è
poi il primo che ci viene presentato): la sua decapitazione era
necessaria.
Questo fatto di decapitare le vittime non è cosa comune nei
Gialli dei begli anni: si tendeva quasi sempre a evitare il sangue (Il mostro
del Plenilunio di Carr è un omaggio anche alla letteratura francese). Per cui
mi sembra di poter dire che la decapitazione è funzionale alla storia. A parte
poi che in altro giallo della Brand, ricorra lo stesso motivo, e possa essere
il retaggio di usi antichi delle isole del Borneo, in cui lei aveva abitato da
giovane (i daiachi tagliatori di teste), secondo me è un particolare che
riallaccia la Brand a Ellery Queen, e al suo Il mistero delle Croci Egizie,
dove anche lì la decapitazione delle vittime è funzionale alla trama del
romanzo. Tuttavia rispetto a quel romanzo la Brand opera un’inversione: lì
erano i corpi senza testa ad avere una funzione (quella di rammentare la
lettera T), qui è la testa ad averla (giustificare lo sguardo e quindi che
sotto l’armatura ci fosse in effetti una persona). Comunque, anche altri
scrittori ricorreranno a questo modo di eliminare la vittima: ad es. Ngaio
Marsh, un'altra scrittrice non pura britannica ma neozelandese, inserirà una
decapitazione in uno dei suoi capolavori, la sua magica Locked Room Off with
his Head, in cui la decapitazione non avrà significati reconditi ma solo
quello inerente ad un rito locale.
E quando l’assassino si rivelerà essere il vendicatore sordo
ad ogni richiamo di pietà, in quel momento avverrà il colpo di scena: se in un
primo tempo l’assassino avrebbe potuto in qualche modo anche essere scusato,
avendo tolto di mezzo una “bastarda” (ma poi l’omicidio anche di Caino può mai
essere scusato?), ora, il reo confesso diventerà il colpevole da assicurare
alla giustizia. Perchè la giustizia per essere tale dev’essere imparziale, e
non fare sconti a chi abbia ucciso per vendicare un suicidio rispetto a chi
l’abbia fatto invece per commissione o per rapina: qui però la scena finale
vede l’assassino ammanettato che viene portato via, quelli che assistono sanno
bene che sarà appeso per il collo fino a che non sarà morto, ma il bello è che
anche lui, l’assassino, lo sa, ma non gliene frega nulla, perchè lui comunque
ha fatto vendetta.
Il romanzo si segnala anche per
un'altra caratteristica, che è poi il marchio di fabbrica di Christianna Brand,
cioè le multiple soluzioni. Questa delle multiple soluzioni è una delle
metodologie che di più il lettore cerca nei romanzi, perchè mantengono viva la
tensione, l'attenzione e la curiosità; e del resto è una pratica che è connessa
alla natura indiziaria di ogni prassi investigativa: partendo dagli indizi, la
strada può essere una sola, come tante diverse, a seconda di come si guardi il
problema. Qui vi sono tre diversi approcci, e quindi tre ipotesi diverse, di
cui una sola si rivelerà essere la vincente. Non è da tutti inserire più
ipotesi in un romanzo, perchè denota una grande fantasia. Altri gli esempi da
ricordare oltre questo sono : il Connington di The Case with
Nine Solutions; l'Ellery Queen di The Greek Coffin Mystery, con quattro soluzioni
diverse la cui ultima porta ad una evoluzione della rivoluzione operata da
Zangwill; The Poisoned Chocolates Case, di Anthony Berkeley, in
cui una serie di sedicenti investigatori di un club del delitto formula ognuno
una ipotesi diversa giungendo a soluzione diversa del medesimo
avvelenamento; A
Case for Three Detectives di Leo Bruce, in cui tre
investigatori, parodie di atrettanti grandi detective della letteratura
Mystery, giungono ad una soluzione completamente diversa e sbagliata,
dall'ultima, la quarta, vera, del poliziotto. Non dimenticando che questo tipo
di soluzione, che designa in certo modo i grandi romanzi, esiste in molti altri
esempi, da Murder on the Orient Express di Agatha Christie a Trent's Last Case di Edmund C. Bentley, da Gammal Ost di Ulf Durling ad altri
ancora.
Bel romanzo della Brand. Personalmente gli preferisco, seppur di poco, Tour de Force. Non ho invece letto "Suddendly at his residence" ma spero di colmare presto questa lacuna. Saluti. Salv.
RispondiEliminaTour de force è magnifico lo ammetto, ma è un omicidio impossibile. Jezebel per me invece, seppur di poco, gli è superiore. L'ho detto tante volte. Questa è una delle Camere Chiuse più belle in assoluto. La pensa così anche Lacourbe, solo che in Francia a differenza che in Italia, la traduzione fatta si è rivelata pessima. E' una camera chiusa ipnotica. Bellissima
RispondiEliminaNon trovavo piu suoi commenti sul blog "la morte ..." , Stamattina ho scoperto questa alternativa. Leggere le sue valutazioni mi fa venire voglia di cercare ed acquistare molti dei libri commentati, alcuni dei quali- fortunatamente- già fanno parte della mia biblioteca. Mi è spiaciuto leggere che sia stato tentato di sospendere le pubblicazioni, nel mio piccolo le apprezzo moltissimo, anche quando non condivido il suo parere. Questi volumi della Brand, ad esempio, mi stuzzicano moltissimo e non so quanto riuscirò a resistere senza cercarli . Spero di continuare a leggerla.
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