sabato 20 febbraio 2016

John Dickson Carr : Il problema sbagliato (The Wrong Problem) – trad. Dina Corrada Uccelli – Ellery Queen presenta “ESTATE GIALLA” 1968 , Mondadori, pagg.275-289



The Wrong Problem nell’ambito della produzione di racconti di Carr, rappresenta uno dei suoi picchi. Tuttavia, quello che non tutti sanno, è che il racconto, nella sua versione definitiva, è la ritrascrizione di un radiodramma da lui scritto, “The Devil in the Summer House”, andato in onda in periodo bellico, alla BBC, il 14 ottobre 1940, in una puntata di un’ora; successsivamente, il radiodramma fu ridotto a mezzora, e presentato nella serie radiofonica “Suspence”, ma privato del personaggio di Gideon Fell. Quest’ultima versione, fu pubblicata in E.Q.M.M. nel 1946. Il luogo della vicenda è un padiglione, in cui avviene un delitto impossibile, ma i personaggi sono diversi.
Entrambe le versioni furono poi pubblicate nell’ambito di una raccolta di racconti di Carr, introdotta da Ellery Queen: Dr.Fell, detective, and other stories (Mercury, New York, 1947). Oltre a questi due suoi lavori, erano presenti anche: The proverbial murder, The locked room, The hangman won’t wait, A guest in the house, Will you walk into my parlor?, Strictly diplomatic.
Le fonti non chiariscono veramente quando questo racconto sia stato pubblicato in origine: alcune indicano il 1936, altre il periodo bellico (1940?) altre ancora dopo. Io, per una sorta di rassegnazione al male, che si intravede in numerosi passaggi, propenderei per la collocazione bellica, anche per una evidentissima tristezza di fondo che condivide con un capolavoro, scritto anche quello in periodo bellico, di Carr.
Gideon Fell e L’Ispettore capo del C.I.D. Hadley stanno passeggiando, quando arrivano nei pressi di un lago su cui si affaccia una villa, e nel quale, su una minuscola isoletta, c’è un pergolato di bambù. Lì vicino c’è un ometto vestito di nero, con gli occhi leggermente a mandorla ed i capelli bianchi lunghi ed un cappello di stoffa bianco.
L’ometto, appena li verde, chiede se si veda un cigno sull’acqua, un cigno morto con la gola squarciata; ma i due non riescono a vederlo. E’ il la, per una storia che quello narra ai due ospiti occasionali, capitati per caso in quella proprietà i cui proprietari da lungo tempo non sono presenti: la tragedia di una famiglia, formata dal padre Harvey Lessing, oculista e dentista, e dai suoi 4 figli, di cui tre di primo letto (moglie morta nel 1899) e un altro acquisito, già diciassettenne, con secondo matrimonio nel 1901, una famiglia in cui la morte si era affacciata già due volte prima, con la morte delle due mogli del capofamiglia, ma in cui si affaccerà altre due, con due omicidi impossibili.
Il fratellastro maggiore si chiamava Brownrigg ed era dentista, come il padre: aveva il fisico di un atleta, sempre sorridente e ghiotto di noci; il secondo fratellastro si chiamava Harvey Junior, era dinamico, socievole, simpatico: il terzo figlio si chiamava Joseph e lavorava come tecnico specializzato in ottica in una grande gioielleria; infine il quarto era una ragazza che si chiamava  Martha. Joseph e Martha avevano la stessa età e sentimenti in comune, anche se lei era innamorata  di un tal Sommers di cui Joseph era confidente, che stava ultimando il servizio militare.
Fatto sta che tutto sommato quella famiglia era felice. Ma il 15 agosto di una certa estate, accadde un fatto che mutò l’atmosfera e la concordia dei figli: mentre il vecchio Lessing, servendosi di una canoa, dopo pranzo era andato a fare il pisolino sotto il pergolato nell’isolotto, qualcuno lo uccise, violando quello spazio d’acqua senza che nessuno lo vedesse, nonostante  la superficie dell’acqua fosse rimasta piatta, senza che niente o nessuno la solcasse: gli conficcarono in un orecchio un’oggetto appuntito che gli perforò la membrana interna dell’orecchio, trafiggendo il cervello e determinandone la morte.
Gli unici due sospettabili erano stati Joseph ed il fratellastro Junior, mentre Brownrigg a sua detta era rimasto da solo nella sala da pranzo e Martha era andata da un’amica. Inoltre il giardiniere giurò che nessuno avesse solcato le acque del lago diretto all’isolotto. Junior sapeva condurre una barca e Joseph sapeva nuotare, ma pare che nessuno dei due potesse essere stato. Fatto sta che stranamente venne incolpato uno dei due, che si discolpò e per non essere accusato dagli altri, li ricattò con l’unica arma con cui possa tenerli in pugno: la loro madre era morta pazza, quindi… Inoltre se si fosse venuto a sapere ciò, la famiglia sarebbe caduta in discredito e la  carriera del dentista sarebbe stata stroncata.
I giorni passavano stanchi, in una sorta di non belligeranza, in una calma apparente, finchè avvenne il secondo omicidio impossibile: Martha, era nella sua camera, apatica, appena uscita da una malattia, quando, contemporaneamente all’arrivo dell’avvocato di famiglia, improvvisamente ella salì nella torretta che sovrastava la casa, come inseguita da qualcosa o qualcuno invisibile e si chiuse là dentro: era una stanza quadra, priva di mobilio, usata per vedere in lontananza, data la sua posizione più alta di altre finestre della casa le cui uniche aperture erano la finestra sbarrata e la porta. La cameriera le corrè dietro, rimanendo però fuori. Appena entrata la ragazza nella stanza, sentirono un grido raccapricciante ed, entrati nella stanza, trovarono la ragazza, morta, con un’occhio trafitto da qualcosa che non si trovò  che aveva raggiunto il cervello: una morte simile ma non uguale all’altra. Nessun assassino nella stanza, nessuna possibilità che passasse dalla porta, perché era sorvegliata dall’esterno dalla cameriera.
Uno dei tre fratelli maschi venne accusato formalmente del duplice omicidio e per salvarsi obbligò i fratelli a giurare il falso, cioè che pazza era stata sua madre e non la loro: così evitò l’impiccagione ma non il manicomio criminale.
Dopo tutta questa rievocazione, l’ometto, uno dei fratelli Lessing giura di non sapere chi mai sia stato a compiere il duplice omicidio. E allora?
Analizzando gli indizi, Fell scoprirà la verità e darà un nome all’assassino. Che è….  
Il titolo del racconto non si riferisce ad una errata deduzione, ma ad un interrogativo che ha una giustificazione solo nella mente malata dell’assassino: perché cioè è possibile che una madre pazza generi dei figli sani e una madre sana abbia generato un figlio pazzo? Cioè perché lui ha commesso il duplice omicidio (e Fell spiegherà la genialità delle soluzioni adottate perché i delitti apparentemente avvenissero per mano di persona ignota e in condizioni apparentemente impossibili) e come il cigno abbia avuto la gola squarciata: dopo la morte di Martha, sia Junior che Joseph mentre stanno passeggiando sulla riva del lago, nella parte posteriore dell’isolotto, notano tra alcuni giunchi a riva un cigno con la gola squarciata da qualcosa di affilato, come se qualcuno o qualcosa avesse voluto uccidere pure quel cigno.
Il racconto, che è uno dei racconti più famosi di Carr, forse meno di altri, ma che è memorabile giusta l’atmosfera che lo pervade, risente, come altre opere dello stesso periodo, di una certa malinconia di fondo, che lo avvicina ad altre opere come per es. She Died a Lady. Si nota anche l’accenno ad una certa ineluttabilità del male – che non si nota in altre opere carriane – al perché il mele avvenga e per il quale neanche chi lo commette si possa sottrarre alla sua sorte: come a dire che anche l’assassino è il pupazzo in un gioco che è molto più grande di lui.
Tuttavia vari accenni, secondo me, convincono Fell della follia dell’assassino, che però non è pienamente cosciente di quel che ha fatto, che non riesce neanche a spiegare per quale motivo lui abbia commesso i due omicidi (il primo per ragioni economiche: il testamento), il secondo per ragioni connesse all’amore tradito (la gelosia e il furore). Io penso tuttavia che il primo omicidio possa configurarsi anche come una vendetta, visto che il figlio aveva visto qualcosa di poco chiaro nella condotta del patrigno in occasione della morte di sua madre, perita nella stanza della torretta: non avrebbe detto infatti che essa era morta “..in una situazione speciale”.
Il fatto che giuri, prima, di non essere l’assassino: “..ve la sentite di giurare su quanto avete di sacro (se avete qualcosa di sacro, del che io dubito) che voi non conoscete la verità? Sì – rispose l’altro, serio, e annuì”; e di reiterare quest’affermazione, quando già Gideon Fell lo ha accusato di esserlo e ha spiegato anche come abbia ucciso senza che altri potessero metterlo in mezzo alle situazioni – e poi alcuni righi dopo ammetti di esserlo, dimostrerebbe anche una doppiezza dell’animo e della mente, una personalità dissociata in due entità completamente opposte, una innocente ed una non, una cosciente e l’altra incosciente, alla guisa di Mr. Hyde. Quello che dice (pag. 289, ultima pagina del racconto) è sintomatico di questo stato mentale alienato: “Voi non capite. Non ho mai voluto sapere chi uccise il Dottor Lessing o la povera Martha”. Chi parla è la parte incosciente dell’omicida, che non sa (ma suppone) se l’altra sua metà abbia o meno ucciso. Poi, pochi righi dopo, lo stesso personaggio, la sua parte cosciente, dirà: “..ma non è questo il punto. Non è questo il problema. La loro madre era pazza, ma loro erano innocui. Io uccisi il Dottor Lessing, Io uccisi Martha. Sì sono perfettamente sano di mente. Perché lo feci, tanti anni fa? Perché? Esiste forse un disegno razionale nello schema delle cose ed una spiegazione al male su questa terra?”. In altre parole un solo personaggio ma sdoppiato in due personaggi, una personalità divisa in due, una cosciente ed una incosciente.
In sostanza quello che si ricava è il dubbio che pervade anche il lettore se l’assassino quando ha commesso gli omicidi, fosse cosciente o incosciente. Sicuramente però, il fatto che egli veda continuamente anche dopo, sulla superficie del lago, il cigno morto con la gola squarciata, cosa che non esiste nella realtà, rivela una stato schizofrenico, stati allucinatori, dissociazioni dalla realtà; ma rivela anche che in quell’essere, con gli occhi profondi e neri, c’è comunque la coscienza che risale in quell’anima perturbata, il rimorso che il male che è (era )in lui lo abbia portato ad uccidere delle persone innocue: il cigno, simbolo di purezza e di innocuità, per lui è un ricordo ossessivo, in un’opera fortemente simbolica come questa, in quanto rimanda, nella mente perturbata dell’assassino a Martha, sempre vestita di bianco, il cui vestito “appariva inamidato”.
C’è per me anche un altro indizio che Carr inserisce nel racconto, un indizio psicologico: l’ometto è vestito di nero ma ha un cappello bianco. A parer mio si tratta di un altro indizio della doppiezza psicologica di colui che l’indossa: male e bene, coscienza e incoscienza.
Per certi versi è l’opera che più avvicina Carr al suo più famoso erede, contemporaneo a noi, Paul Halter, nei cui romanzi spesso si affaccia il tema della follia.

Il racconto è comunque indimenticabile anche per l’atmosfera che lo pervade, per la maestria insuperata, di riuscire a creare un pathos con poche pennellate. Prima Carr descrive i luoghi, idilliaci o quasi: la villa in una valletta tra le colline, il lago artificiale su cui si affaccia, il pergolato in un isolotto al centro del lago, le stormire delle fronde, i tappeti verdi ben curati. Poi introduce una nota che è più triste, come una modulazione armonica in minore che fa presagire che qualcosa di triste si stia addensando: “all’ultima luce del giorno”. Il crepuscolo, in cui il sole muore, e arriva il buio. In quel momento quando “il crepuscolo stava già cedendo il posto all’oscurità…due uomini apparvero sulla cresta dell’altura. Uno era alto e snello. L’altro, che portava un cappello a tesa larga, era alto e corpulento, e sembrava ancora più massiccio controluce per il mantello che gli svolazzava dietro le spalle” la storia comincia ad incalzare. Innanzitutto vedono un ometto. Poi egli parla di un cigno morto che non esiste. Poi narra una storia, e mentre parla il tramonto cede il posto all’oscurità: tre uomini seduti ad una panchina di ferro, e due che sentono l’altro narrare una storia di delitti e follia. E man mano che il racconto cupo si snoda fino alla sua fine, l’oscurità si sostituisce al chiarore del tramonto, e l’epilogo avviene nella quasi oscurità, rischiarata dalla luce di un fiammifero: come è attestato dalla fine della storia, in cui viene riportato che “il fiammifero si piegò e si spense”.
Inoltre c'è una tessitura cromatica non indifferente all'interno della trama. Qui i colori hanno una parte importante, tanto più perchè sono sublimati, sono colori carichi, non slavati: c'è il bianco che indica la purezza, il bene; e c'è il nero che invece ricorda il male; e poi c'è anche il rosso ( il sangue), che qui è però anche indizio di passione. 
Inoltre, il racconto, con le sue movenze oniriche, con una rievocazione che in effetti è mascherata, mi ha ricordato per associazione di idee, un film di qualche anno dopo, che ha più o meno le stesse sfumature allucinatorie: Improvvisamente, l'estate scorsa. Anche lì c'è la verità che è stata rimossa dal racconto originale, e tutto che si rivela grazie ad una sorta di seduta psicanalitica, mediata dal pentotal. Nel racconto di Carr, il pentotal è dato dalla forza di persuasione di Fell che costringe l'ometto, come in una seduta psicanalitica, a scavare dentro il racconto e a rivelare una parte di verità celata. 
Il finale è indimenticabile.
Perchè termina non con un’esplosione, ma una implosione, che dona un’accento fortemente melanconico alla storia: “Poi..si alzò dalla sedia. L’ultima cosa che videro di lui fu il cappello bianco di tela, che si allontanava attraverso il prato e sotto gli alberi”. Che già era stato annunciato con un altro: “Questo delitto era incredibile, intendo dire incredibile non solo per le circostanze materiali, ma anche perché la vittima era Martha…morta durante una vacanza”.

Pietro De Palma

5 commenti:

  1. Come sempre analisi e recensione strabilianti. Aggiungerei solamente, per chi fosse interessato a questo racconto, che è presente anche nella raccolta "Cinque delitti impossibili per Gideon Fell". Saluti. Salv.

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  2. Grazie.
    Il racconto è tra i più straordinari di Carr, proprio perchè ha una dimensione onirica ed una simbolica molto accentuate che donano insieme un fascino esclusivo a questo racconto. Fa parte di quelle opere concepite intorno allo scoppio della seconda guerra mondiale, che hanno qualcosa in più: un che di malinconico che è inusuale in Carr, tanto più che l'umorismo di Fell qui è assente. Nota qui come Fell sia molto cupo, invece. Sembrerebbe un Bencolin travestito da Fell.

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  3. Letto grazie all'Omnibus Mondadori...altrimentiintrovabile. Ricordo che lo lessi a 13 anni e la cosa del binocolo ancora viva in me dopo 23 anni che l ho riletto. Bellissimo corto carriano...e ammetto avrei preferito ne avesse fatti dì più.

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  4. Chi sono i personaggi seduti in foto?

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