Era da tanto tempo che desideravo scrivere qualcosa
su Chesterton, il grande scrittore cattolico inglese, autore di fenomenali
libri, come quello su San Tommaso d’Aquino, che gli valsero l’apprezzamento del
pontefice di allora, Papa Pio XI ( il Papa dimenticato, quello che stava per
pronunciare la storica enciclica contro il razzismo e l’antisemitismo, quando
morì nel 1939 prima di averla firmata). Nell’apprezzamento, Papa Pio XI appellò
Chesterton con titolo di Defensor Fidei,
titolo che non fu divulgato in Inghilterra visto che sarebbe apparso umiliante
che un suddito inglese fosse stato chiamato nello stesso modo ereditato dai Re
d’Inghilterra a partire da Enrico VIII. Però così è la storia: Chesterton,
convertitosi alla fede cristiana, dette così tante prove di conversione vera
nei suoi scritti da meritarsi il plauso del Vaticano. Alla sua morte ad
officiare la cerimonia del funerale fu chiamato un altro scrittore cattolico e
prelato, Mons. Ronald Knox , autore di molti romanzi mystery.
La conversione a tutti gli effetti data 1922. Ma
evidentemente dovette avvenire per tappe, e già parecchio tempo prima, almeno
un decennio, nei suoi scritti si
trovavano accenni, neanche tanto reconditi, ad una volontà di convertirsi.
Anche in quelli, tra i suoi scritti, che apparirebbero meno confacenti a ciò:
sto parlando de I Racconti di Padre Brown,
racconti di carattere poliziesco incentrati sulla figura di Padre Brown, un
prete cattolico molto acuto nei suoi ragionamenti, che sa andare in fondo al
cuore degli uomini e scoprire le peggiori nefandezze con la forza delle Fede.
La figura di Padre Brown fu conformata a quella del prete che operò in lui la
conversione, tale Padre John O’ Connor, cattolico irlandese, che gli stette
vicino fino alla morte. Tuttavia mentre il Padre Brown protagonista delle sue
storie è un omino trasandato, sempre con un vecchio ombrello, quello originale
non lo era affatto.
A Padre Brown vennero dedicati vari libri, una volta
che il personaggio si meritò un inatteso successo. L’innocenza di Padre Brown è il primo di essi. E’ formato dai primi
folgoranti racconti: La croce azzurra, Il giardino segreto, Gli strani passi,
Le stelle volanti, L’uomo invisibile, l’onore di Israel Gow, La forma errata, I
peccati del principe Saradine, Il martello di Dio, L’occhio di Apollo,
All’insegna della spada spezzata, I tre strumenti di morte. I primi quattro di essi ad essere stati
pubblicati, furono messi assieme a formare una raccolta chiamata I Racconti di Padre Brown, poi estesa a
riunire tutti i racconti.
Essi
sono: La croce azzurra (The Blue Cross, Settembre 1910), Il
giardino segreto (The Secret Garden,
Ottobre 1910), Gli strani passi( The
Queer Feet, Novembre 1910), La forma errata (The Wrong Shape, Dicembre 1910).
Il più metafisico dei primi racconti, un autentico
capolavoro, al pari del primo “La croce azzurra” (che presenteremo
prossimamente), è La forma errata.
Il racconto comincia con una descrizione: viene
presentata una costruzione bassa, di color bianco e verde pallido, con delle
persiane ed una terrazza, con delle tettoie ad ombrello ,e con una strana forma
a T . In questa, che era una villa estiva, appena al di fuori di Londra, verso
la campagna, all’atto degli eventi, vive il poeta Leonard Quinton famoso per i suoi poemi esotici, in cui parla spesso di paradisi e
inferni orientali. Qui è ospitato anche Padre Brown, perché il suo amico ex
ladro Flambeau era stato amico del padrone di casa a Parigi. Appena arrivato,
il prete avverte nell’atmosfera un’aura strana, maligna, malvagia. E forse la
stessa forma a T, una T non perfetta alimenta le sue perplessità. Questa forma
a T, è tale che la gamba della t, più corta del braccio trasversale, sia
formata da sole due stanze allungate e intercomunicanti: lo studio, in cui il
poeta mette per iscritto le sue emozioni; e la serra, un ambiente ricco di
fiori esotici e piante strane, dove Quinton, aiutato dai narcotici, sogna e
medita i suoi slanci pindarici.
Nella villa, il poeta accoglie per metà dell’anno un
guru, un santone indiano che lì gode di ospitalità, e che fornisce al poeta gli
spunti per i suoi poemi. Oltre a lui, altre poche persone: la moglie del poeta,
una donna che da molti anni assiste il marito che ha ecceduto nell’uso di oppio
per descrivere gli stati onirici da esso provocati ed ora , ed ora è diventato
di natura astiosa ed instabile; lei invece è una creatura adorabile, seria,
posata e con una gran massa di capelli d’oro, ma, come dice Brown, “E’ una di
quelle donne che compiono il loro dovere per vent’anni ; e poi commettono cose
terribili”; infine c’è il fratello della donna, Atkinson, un parassita, che
compare vestito di bianco, con una sgargiante cravatta rossa di sghimbescio ed
un cappello sul cocuzzolo della testa, che è sempre a caccia di quattrini da
sperperare, senza un lavoro e un’occupazione. E’ detestato dal medico del
poeta, il dottor Harris,un omino, con un paio di baffetti, molto ordinario ma
dall’aria capace.
Padre Brown avverte qualcosa di malvagio lì. Lo
attribuisce al santone indiano, un mago: un primo segno è dato dal ritrovamento
di un pugnale strano, dalla lama ondulata, fatta non per tagliare ma per
torturare, nell’erba alta del giardino. Al santone indiano e alla sua strana
religione, e alla scrittura indiana, così ricca di linee che che sembrano “come serpenti che si attorcigliano per
scappare”, Padre Brown guarda torvo, perdendosi “in una nebbia mistica”. Lo
stesso suo compagno Flambeau riconosce davanti all’attonito medico, che quando
Brown sembra perso in discorsi mistici che sembrano folli, accadono poi cose
cattive. In un certo senso egli è un sensitivo. Davanti al medico che gli
contesta le sue affermazioni, Padre Brown afferma che mentre la casa è ridicola
per forma ma non è errata, quel pugnale lo è. Ed è il prologo alle forme
sbagliate.
In quel mentre Quinton saluta i presenti perché deve
andare a fare il solito riposino pomeridiano. La signora Quinton rincasa, e il
dottore si reca dal suo assistito per assicurarsi che riposi bene e che prenda
il tonico, ma in quel mentre il cognato inetto riesce ad intrufolarsi nello
studio prima che la porta venga chiusa, sì da spuntare una mezza sterlina allo
stesso Quinton prima che questo di addormenti.
Le nubi si addensano e l’aria manifesta quella
tipica elettricità che annuncia l’imminente nubifragio: Padre Brown e Flambeau
vedono prima il santone indiano, che
avevano visto prima mentre pregava e lo rivedono di nuovo ora, come se fosse un
uccello di cattivo augurio. Mentre lo vedono ancora una volta sostare nel
giardino vicino alla casa, arriva trafelato il dotto Harris che accusa il
cognato di aver fatto qualcosa a Quinton: infatti lui ha visto attraverso la
vetrata che il suo assistito giace in una posizione innaturale. Preoccupato, si
slancia verso la casa, tallonato da Padre Brown mentre Flambeau e Atkinson
rimangono dietro.
Aprono lo studio ed ecco, trovano sulla scrivania un
foglio dalla forma strana cu cui sono scritte le parole sibilline: “Muoio di mia mano; tuttavia, muoio assassinato”. Mentre
Padre Brown guarda allibito il foglio, il dottore si slancia per la serra,
tanto per tornare immediatamente dietro ed annunciar e la morte di Quinton: si
è pugnalato al cuore. La mano giace sul pugnale. Ed il pugnale è proprio quello
trovato prima nell’erba dalla forma ondulata.
Viene chiamata la polizia.
Il suicidio è lampante. Eppure non convince Padre
Brown. Cosa non lo convince: la forma del foglio. Un’altra cosa sbagliata,
errata. Infatti non è un foglio rettangolare ma da un angolo manca una parte,
come se fosse stata asportata.
Padre Brown sta a meditare, guarda, esamina persino
le carte buttate nel cestino della carta straccia, trova delle forbicine ed una pila di fogli
tutti mancanti di un angolo. Prova le forbici, congettura, conta i fogli (23) e
gli angoli (22) e poi, mentre si sta aspettando l’arrivo della polizia, lui e
Flambeau si siedono sotto una tettoia in giardino a fumare e a discutere della
vicenda. Padre Brown definisce il caso “molto strano”, come strano lo definisce
Flambeau. Tuttavia l’approccio deduttivo del prete definisce la complessità
psicologica della questione: “Voi lo
chiamate strano ed io lo chiamo strano , e tuttavia intendiamo due cose
completamente opposte. La mente moderna confonde sempre tra loro due idee
diverse: mistero nel senso di ciò che è meraviglioso, mistero nel senso di ciò
che è complesso…Un miracolo è sorprendente ma è semplice…E’ una forza che viene
direttamente da Dio (o dal diavolo)…La qualità di un miracolo è misteriosa, ma
la sua maniera di accadere è semplice. Ora la maniera di accadere di questa
faccenda è tutt’altro che semplice…E’ intervenuto in questo incidente un che di
contorto, di brutto, di complesso, che non è proprio dei colpi diretti del
cielo o dell’inferno. Come uno può conoscere la traccia tortuosa di una
chiocciola, così io conosco la traccia tortuosa di un uomo…di tutte queste cose
tortuose la più tortuosa è stata quel pezzo di carta: più tortuosa del pugnale
che uccise il pover’uomo…cioè il foglio sul quale Quinton scrisse: “Muoio per
mia mano”. La forma di quel foglio, amico mio, era errata, se ne ho mai viste
di simili, in questo cattivo mondo” (pag. 131).
In sostanza, laddove gli altri pensano che Quinton
si sia suicidato, perché nessuno può averlo ucciso, visto che egli dormiva fin
al momento in cui è morto, davanti ai loro occhi, al di là dei vetri della serra,
e tutti i presenti erano nel giardino, Padre Brown sospetta, anzi sa già che
egli è stato ucciso. Ma come? Un delitto che sa tanto di illusionistico. Come
il guru indiano? Ma anche lui era nel giardino! Un delitto avvenuto con
l’ipnotismo? No. Eppure i fatti non danno ragione al prete. Ma lui appunta
tutto il suo castello di carte, su quell’altra carta, dalla forma sbagliata. A
Flambeau che gli chiede perché mai Quinton abbia confessato di essersi ucciso
se non si è suicidato come dice Brown, il prete risponde che quello non ha mai
confessato di essersi suicidato. L’altro gli controbatte chiedendo se lo
scritto sia stato falsificato, ma la risposta è no: la frase trovata è proprio di mano di
Quinton, come egli ha potuto rilevare, solo che fu redatta su un pezzo di carta
dalla forma errata. Ventitre erano i
fogli con l’angolo tagliato, compreso quello con la frase, ma soli ventidue
angoli di carta ha trovato, e quindi quello che proveniva dal foglio
incriminato doveva essere stato distrutto. Perché? Perché su di esso vi doveva
essere qualcosa non più largo di una virgola, cioè…due virgole. In altre parole
chi ha tagliato l’angolo l’ha fatto perché una frase con le virgolette, che per
caso cominciava un foglio bianco, fosse privata degli apici e sembrasse una
frase scritta di pugno da un suicida.
Padre Brown sa chi ha ucciso il poeta tra Atkinson,
tra il santone, il dottore o la moglie. Eppure concede una via di fuga
all’assassino: il suo scopo non è quello di acchiappare il reo e consegnarlo
alla giustizia, quanto quello di redimere un peccatore, di salvare un’altra
pecorella che si stava perdendo. Gli offre di scrivere una relazione in cui
menzionare cose che sa solo lui e di consegnargliela confidando nel fatto che
egli, il prete, eserciti una professione del tutto confidenziale. In sostanza,
gli chiede di confessarsi attraverso una lettera che gli consegnerà. Cosa che
viene fatta.
L’assassino si confessa e confessa il perché abbia
ucciso il poeta, e nel tempo stesso conferma l’ipotesi del prete circa la forma
errata del foglio. E confessando il suo delitto, ammette che per la prima volta
prova rimorso di quello che ha fatto, lui che sempre ha agito secondo una
natura che non ammetteva la religione.
Il racconto è uno di quelli chestertoniani che tanto
piacquero a Carr, tant’è vero che il personaggio del Dotto Fell fu creato
guardando proprio alla figura mastodontica di Gilbert Keith Chesterton stesso.
E’ infatti un racconto con Delitto Impossibile, anzi con una Camera Chiusa
classica: la serra è uno spazio chiuso da pareti di vetro, la cui unica
entrata/uscita è costituita dalla porta di intercomunicazione con lo studio, la
cui porta a sua volta è rimasta chiusa, e d’altronde tutti i personaggi di
questo mini-dramma hanno interagito fuori della serra, nel giardino, tranne la
moglie che è andata in camera propria, ma che era visibile dal giardino
sottostante; e ciascuno di essi è stato sorvegliato per così dire dagli altri.
Per cui diventa arduo dimostrare come l’assassino abbia fatto ad uccidere, se è
vero che fino ad un dato momento Quinton era vivo e poi muore, suicida..ma non
tanto.
Individuare l’assassino non mi sembra tanto arduo,
mentre lo è capire come abbia ucciso e soprattutto capire il movente
dell’omicidio, perché ciascuno degli attori del dramma, apparentemente non ha
motivi per uccidere Quinton…anzi. Per tutti infatti il poeta rappresenta la
classica “gallina dalle uova d’oro”.
E’ chiaro che nella actio delicti una parte
importantissima la gioca una sorta di gioco illusionistico, che ben si sposa
con l’atmosfera in cui si muove per esempio un guru indiano; ma anche il
depistaggio del foglio dalla forma sbagliata è un must, essendo un saggio
sorprendente di deduzione. A questo gioca – non l’ho detto prima ma ora sì – il
fatto che il libro che il poeta e drammaturgo stava scrivendo, incentrato su
come un santone indiano potesse riuscire con la forza del pensiero a far sì che
un colonnello inglese si uccidesse con le proprie mani , sia scomparso,
bruciato nel camino, com’è rivelato nella confessione dell’omicida. Il fatto
che lì dimori un guru indiano non significa però automaticamente che egli sia
l’assassino.
Mi sembra che Chesterton sia debitore almeno di
Zangwill, così come lo stesso Carr può aver tratto da questo racconto
l’ispirazione per quei suoi lavori in cui si parla di delitto a distanza, tipo
“The Reader is Warned”. E può aver
influenzato sia Vindry che Agatha Christie.
La messinscena si sostanzia in tre
momenti ben distinti che sono indispensabili gli uni agli altri: si deve
aspettare che Quinton dorma (e che il dottore quindi gli propini il narcotico),
si deve creare l’ultimo finto messaggio del suicida, ed infine bisogna
uccidere. Tuttavia sottolineo come lo stesso messaggio del suicida rivela nella
sua doppiezza, come la stessa premeditazione dell’omicida fosse non proprio
scevra da una riflessione su quello che stava facendo: l’omicida non è un
essere malvagio che uccide per interesse, oddio è anche quello, ma non è detto
che il suo fine non sia meno nobile di altri, perché tende ad una situazione
migliore sia per l’omicida stesso che per la vittima (che è meglio che sia
morta, una volta per tutte!); inoltre, essendo una persona che cela una sua
natura morale, nell’amoralità esteriore dell’atto che ha compiuto, è come se
avesse, nel momento in cui ha compiuto l’atto, voluto suggerire che il suicidio
non era veramente tale: utilizzare infatti uno scritto della vittima in cui
afferma di morire per mano propria ma che in effetti sia morto per mano di un
altro, fotografa esattamente quanto in realtà accadrà a Quinton stesso. E
quindi suggerisce che anche se l’apparenza della situazione suggerisce che si
sia trattato di suicidio (la vittima è stata trovata con la mano che impugnava
ancora il pugnale affondato nel cuore), in realtà l’interpretazioneesatta dello
svolgersi dei fatti dimostrerà l’omicidio. Per di più premeditato. A questo punto, giacchè l’omicida premeditava
da tempo di uccidere la vittima, non sarebbe stato più semplice falsificare una
lettera per volta e realizzare un messaggio che parlasse solo di suicidio?
Comunque sia, ci troviamo dinanzi
ad un piccolo capolavoro.
Che è tale anche per la
raffinatissima scrittura (la descrizione dei luoghi rivela perizia narrativa
per esempio). Non a caso Gramsci nella sua Lettera
a Tania, del 6 ottobre 1930 ( da Lettere dal Carcere), analizza l’opera
di Chesterton raffrontandola per esempio a quella di Conan Doyle:
“Ti
ringrazio per tutto ciò che mi hai mandato. Non mi sono stati ancora consegnati
i due libri: la «Bibliografia fascista» e le novelline di Chesterton che leggerò volentieri per due ragioni. Primo
perché immagino che siano interessanti almeno quanto la prima serie e secondo
perché cercherò di ricostruire l'impressione che dovettero fare su di te. Ti
confesso che questo sarà il mio diletto maggiore. Ricordo esattamente il
tuo stato d'animo nel leggere la prima serie: tu avevi una felice disposizione
a ricevere le impressioni piú immediate e meno complicate dai sedimenti
culturali. Non eri neanche riuscita ad
accorgerti che il Chesterton ha scritto una delicatissima caricatura delle
novelle poliziesche piú che delle novelle poliziesche propriamente dette. Il
padre Brown è un cattolico che prende in giro il modo di pensare meccanico dei
protestanti e il libro è fondamentalmente un'apologia della Chiesa Romana
contro la Chiesa Anglicana. Sherlock Holmes è il poliziotto «protestante» che
trova il bandolo di una matassa criminale partendo dall'esterno, basandosi
sulla scienza, sul metodo sperimentale, sull'induzione. Padre Brown è il prete
cattolico, che attraverso le raffinate esperienze psicologiche date dalla
confessione e dal lavorio di casistica morale dei padri, pur senza trascurare
la scienza e l'esperienza, ma basandosi specialmente sulla deduzione e
sull'introspezione, batte Sherlock Holmes in pieno, lo fa apparire un
ragazzetto pretenzioso, ne mostra l'angustia e la meschinità. D'altra parte
Chesterton è grande artista, mentre Conan Doyle era un mediocre scrittore,
anche se fatto baronetto per meriti letterari; perciò in Chesterton c'è un
distacco stilistico tra il contenuto, l'intrigo poliziesco e la forma, quindi
una sottile ironia verso la materia trattata che rende piú gustosi i racconti.
Ti pare? Ricordo che tu leggevi queste novelle come se fossero state cronache
di fatti veri e ti immedesimavi fino ad esprimere una schietta ammirazione per
padre Brown e per il suo acume maraviglioso, in modo cosí ingenuo che mi
divertiva straordinariamente”.
La riflessione dello storico
marxista, mi sembra perfettamente centrata, sia per il tempo in cui viene
creato Padre Brown (più o meno quello di Doyle) sia per il fatto che Padre
Brown si sostanzi in pratica in un alter Sherlock Holmes però cattolico. Mentre
infatti S.H. è un esempio della
società in cui il positivismo
meccanicistico impera (S.H. analizza un determinato fatto basandosi su indizi e
sperimentazioni scientifiche, e quindi risolve un problema basandosi
sull’induzione), Padre Brown è un esempio d introspezione psicologica e di
deduzione, e un connubio di fede e di ragione (una negazione quindi del
fideismo), oltre che di pensiero aristotelico applicato alla patristica.
Inoltre il modo di pensare di Padre Brown fa leva su un’elevata riflessione
psicologica che in S.H. manca del tutto: Padre Brown, siccome pretende di
andare in fondo al cuore dell’uomo per trovarvi il Male (o il Bene), finisce
per capire il reo in quanto riesce a pensare come lui. Inoltre, basa tutte le
sue azioni, su riflessioni teologiche applicate, che risultano sempre
estremante azzeccate per sondare il problema che gli si propone.
Pietro
De Palma
Bellissima analisi! Il candore di PB é una pietra miliare per gli appassionati di gialli..si divora in due giorni. Spero farai disamine anche di altri anche se non sono camere chiuse. Ricordo che AC riutilizzò l'artificio del pezzetto di carta strappato per far diventare SHE HE E quindi cambiare il sesso della persona interessata..
RispondiEliminaAlla prossima
Sì verranno analizzati anche altri, ma qui solo quelli con delitti impossibili. Altrove, cioè sull'altro blog analizzerò il bellissimo LA CROCE AZZURRA.
RispondiEliminaLì anche scriverò articoli sugli sceneggiati. Tra qualche giorno uscirà per es. l'articolo sull'episodio La forma errata, della serie interpretata da Rascel, che presenta delle differenze con l'originale per tutta una serie di cose
Ahimè...la lettura si Zangwill e del Mistero di Bow si prende la paternità sul sistema di uccisione..... Che qui é a suo modo riutilizzata. Bene ma non originale.
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