Quando, nel 1985, Paul Halter scrisse La Maledizione di
Barbarossa,non lo conosceva nessuno, almeno come scrittore di romanzi
polizieschi. Ma lui voleva emergere. Gli piaceva pensare che come lui
aveva amato Carr, Christie e Rawson, così altra gente avrebbe potuto
innamorarsi dei suoi romanzi. E allora pensò bene che per farsi
conoscere senza ricorrere ad amicizie che forse non aveva a quel tempo,
era necessario vincere un concorso, non importa se grande, anche
piccolo, un concorso locale, ma bastevole a farlo conoscere in una
cerchia di estimatori. E così partecipò al “Prix de la Société des
Ecrivains d’Alsace et de Lorraine” nel 1986. E lo vinse. Da lì cominciò
la sua carriera, che poi ebbe un’impennata quando l’anno dopo vinse con
“La Quatrième Porte” il “Prix du Festival de Cognac” e due anni dopo con
“Le Brouillard Rouge” l’importantissimo “Grand Prix du roman
d’aventures”. Insomma, nel 1988, poteva dirsi arrivato al successo, che
poi non lo ha più abbandonato. Da allora ha scritto molti romanzi: nel
loro ambito, si possono riconoscere fondamentalmente due serie ben
definite, legate ai personaggi di Owen Burns (5 romanzi) e soprattutto
Dr. Alan Twist (più o meno venti, ad oggi); e anche alcuni romanzi,
senza personaggio fisso.
E’ stato tradotto principalmente in Italia e Giappone, e poi anche altrove.
Se
c’è una cosa che balza agli occhi subito, è che la fama di Halter è
legata ai romanzi che hanno come protagonista Alan Twist. Sono essi i
romanzi in cui lui si è sempre più cimentato, quel sottogenere di
whodunnit che i puristi chiamano “Locked Room”, a cui lui sin dal
principio ha affidato le sue energie migliori. Così, a dirla breve, si è
quasi sicuri di leggere un bel romanzo del genere, solo se c’è il Dr.
Twist, che assicura poi, nella maggioranza dei casi, anche l’impianto di
una bella camera chiusa, per la gioia di tutti gli estimatori.
Il
fatto è che, principalmente, Halter a sua volta si è sempre professato
estimatore di Carr, Christie (e anche Rawson). E così, accade (ed è
accaduto in passato) che parecchie volte egli abbia citato i suoi autori
preferiti. Io la penso così. In passato questa posizione l’ho esternata
parecchie volte a Igor Longo, che ho trattato per molti anni, e che è
il suo traduttore italiano ed un suo amico: più che una semplice
decantazione di espedienti inventati da altri, a me è sembrata da sempre
la consuetudine di un tributo ideale ai suoi miti. Per questo, leggere
un romanzo di Paul Halter, se è un piacere per l’appassionato, diventa
poi un piacere per il critico che potrà riconoscervi i molti influssi
mascherati. In parole povere, la semplice lettura di un romanzo,
diventa, nel caso di Halter, una meta-lettura.
Tuttavia, una domanda che ancor più balza agli occhi è la seguente: perchè Halter ha legato al suo successo quello di Twist?
Bella domanda!
Nel
caso italiano (non so se possa valere altrove), il successo è stato
dovuto principalmente all’anglofilia del cognome. L’Italia è stata sin
dal principio recettrice soprattutto di cultura poliziesca di tipo
anglosassone, e anche quando son stati massivamente tradotti autori
francesi, questi son stati relegati in una nicchia; tanto che, le
edizioni cui faccio riferimento, son diventate merce rara. Al di là del
collezionismo, l’Italia ha amato sin dal principio tutti i massimi
esponenti della cultura anglo-sassone e semmai tollerato quella
transalpina. Così è andato a finire che se il nome del personaggio fisso
principale richiama una provenienza dell’autore dalla Francia, il
successo è relativo, nel caso invece richiami l’origine anglosassone, si
ha l’opposto. Nel nostro caso, poi, anche il nominativo dell’autore può
indurre nell’errore, perchè, francese nella sostanza, in realtà Halter è
Alsaziano. E così, anche per una coincidenza di casi fortuiti (o
voluti: Halter non ha assunto uno pseudonimo), lo scrittore Alsaziano è
diventato l’idolo di molti.
Ma il successo dei romanzi che hanno il
Dr. Twist come personaggio principale, è dovuto anche ad altri motivi.
Innazitutto…l’aver scelto come “sua spalla”, un personaggio come
l’Ispettore Archibald Hurst, che nell’inventario romanzesco di Halter è
un po’ come l’Ispettore del CID Hadley di Carr, un poliziotto, la cui
sfortuna è quella di imbattersi sempre in casi che non hanno nè capo nè
coda e che sembrano appartenere all’impossibile e al sovrannaturale.
Meno male che alla sfortuna, si contrappone la fortuna di conoscere
proprio un criminologo come il dr. Twist, che, come il Merrivale o il
Fell di Carr, ha il pregio di riuscire a risolvere proprio i misteri più
impossibilmente intricati, e nel contempo risolvere i problemi del suo
amico Hurst. Del resto, la coppia di investigatori, dal tempo di Conan
Doyle, è sinonimo di successo: cosa sarebbe Holmes senza Watson? O
Hercule Poirot senza l’ingenuo e inguaribilmente romantico Capitano
Hastings? o Philo Vance senza Markham? O Ellery Queen senza Richard
Queen? O Drury Lane senza Thumm? Chiediamocelo. Senza dubbio, i romanzi
di questi autori che ci sono più cari son quasi sempre quelli in cui
figura il personaggio di primo piano e la sua spalla.
Così Halter ha
legato Twist, ad un certo punto della sua parabola letteraria, quando si
è reso indipendente rispetto ai Concorsi cui partecipava, al suo
entourage. Non mi sembra un caso, infatti, che i primi tre romanzi,
quelli con cui egli aveva partecipato ai tre concorsi del 1986-1987 e
1988, presentino Twist, in due vesti un po’ diverse: nel primo in
assoluto, La Malediction de Barberousse, che curiosamente non sarà il
primo ad essere pubblicato, ma lo verrà solo nel 1995, Twist è già
presentato come criminologo, mentre nel secondo romanzo ad essere
presentato in corcorso “La Quatriéme Porte”, che poi sarà il primo ad
essere pubblicato, Twist viene ancora presentato come ex-Ispettore di
Scotland Yard. In sostanza quindi, il primissimo suo romanzo viene posto
in un tempo indefinito, se non successivo, nel momento in cui
confeziona il suo secondo romanzo, in cui, avendo preso coscienza del
successo di Twist, in certo senso ne precorre l’avventura precedente.
Prendiamo il caso de La Malediction de Barberousse.
La storia si snoda in Alsazia, a Huguenau, città in cui lo stesso Halter è nato.
La
storia prende l’avvio, nel 1948 con una lettera inviata da Jean Martin
al fratello Etienne, in cui gli ricorda l’omicidio di Eva Muller
avvenuto in circostanze impossibili, sedici anni prima, nel 1932.
Etienne, qualche giorno dopo, viene terrorizzato a Londra dal fantasma
di Eva. Nel letto d’ospedale, racconterà la storia ad un certo Alan
Twist,criminologo, che ha fama di aver risolto casi difficili. E così
gli racconta di lui, di Jean, François e Marie, e del loro incontro con
Eva Muller, una ragazza tedesca, quella che definiremmo una ragazza di
facili costumi, che ben presto era diventata la musa ispiratrice delle
fantasie erotiche dei tre ragazzi: Jean, Etienne, e François. Invece,
Marie Biechy non l’aveva mai sopportata. Assieme alla sorella di
François, Marie Biechy, i cinque si erano riuniti nei ruderi del
castello di Huguenau per giocarci. I ruderi del castello si diceva
fossero infestati dal fantasma dell’Imperatore Federico Barbarossa, che
vi aveva dimorato prima di partire alla volta della Crociata. Il padre
di Jean e Etienne li aveva scongiurati di non recarvisi più, e comunque
li aveva pregati di sentire cosa aveva da dire il Commissario Sutter, un
poliziotto con l’hobby delle ricerche etniche e storiche, che aveva
fatto approfondite ricerchè sul Barbarossa nella loro regione: c’era una
vecchia leggenda secondo cui tutti coloro che avessero offeso la
memoria del Barbarossa o dei luoghi dell’Alsazia a lui cari, sarebbero
incorsi nella sua ira. E in effetti nei diversi secoli c’era stata una
serie di morti incomprensibili: tutte avevano una cosa in comune. Le
vittime erano state uccise mediante una spada.
L’indomani il
commissario Sutter racconta loro le varie morti sospette, attraverso i
secoli: il balivo ucciso nella sua camera chiusa dall’interno al tempo
di Federico II; un certo Sublon, soldato ai tempi della Guerra d’Olanda
nel 1675, che fu trovato ucciso con le mani tagliate ed una spada
piantata nella schiena in una via circondata dalle fiamme, senza
possibilità di fuga ma anche senza che altri al di fuori dei contadini
che volevano ucciderlo, lo potesse fare; un balordo tedesco,durante
l’occupazione dell’Alsazia, dopo aver insultato gli abitanti e la
cittadina , insieme ad un amico era stato braccato dagli abitanti del
villaggio che volevano fargliela pagare: per non essere preso si era
issato sulla tettoia del ponte sul fiume, da dove nessuno sarebbe
riuscito a tirarlo giù, ma, pur sorvegliando le due uscite del ponte,
nessuno era riuscito ad impedire che il tedesco fosse ucciso con un
colpo di spada.
A distanza di due settimane dal racconto aveva avuto luogo il delitto in circostanze impossibili.
La
costruzione in rovina era un’antica torre quadrata, con un’unica
vecchia porta di legno che introduceva ad un vestibolo che comunicava
per mezzo di una scala con un’unica stanza al primo piano.
Eva
Muller aveva deciso di sfatare la superstizione e si era chiusa al di
dentro della torre. Quando gli amici erano andati a trovarla, l’avevano
trovata nella torre, chiusa dall’interno, morta, raggomitolata, con gli
occhi cavati e delle ferite mortali nella schiena causate da una spada.
Al delitto non c’è alcuna spiegazione.
Come
non ci sarebbe spiegazione per la morte del padre di Jean e Etienne,
avvenuta in circostanze impossibili, a meno che non si accusasse della
morte Etienne. Ma Alan Twist, risolve la morte del signor Martin e anche
di Eva Muller, avvenuto sedici anni prima.
Questo è l’esordio di
Halter nella narrativa, però già possiamo identificarvi degli aspetti
che diverranno peculiari dei suoi romanzi successivi : la pazzia
(ricordare per esempio Nebbia Rossa) e i finali tristi. Inoltre,
protagonisti sono dei ragazzi, e quindi se vi è un assassino esso va
cercato nel loro gruppo. Il tema dei ragazzi, è un altro dei temi
ricorrenti di Halter. Inoltre già è presente quella è la caratteristica
principale del suo stile letterario: creare delle atmosfere uniche,
assemblando storia locale, caratteristiche del paesaggio e dei luoghi
storici ed architettonici, leggende. Qui, anche se l’atmosfera la si
respira, è però ancora acerba, come non al meglio è anche la spiegazione
finale: si sente tutto il fatto che sia un’opera prima.
Innanzitutto
per creare la leggenda di Barbarossa, si serve di una serie di
circostanze derivate da altrettanti lavori di altri scrittori: per es.
il soldato ucciso in strada, è chiaramente derivato da Chesterton, così
come il tedesco ucciso sul tetto del ponte cita “il secondo problema del
ponte coperto” di Hoch; a Carr si riallaccia per il luogo
dell’omicidio, una torre (He Who Whispers o The Case of the Constant
Suicides) e da esso trae, variando al contrario da The House In Goblin
Wood il tema del cadavere portato nella casa anziché l’opposto; dalla
Christie invece trae spunti per la soluzione da The Murder of Roger
Ackroyd, e da Evil under the Sun (la vittima che si mette d’accordo
col suo assassino volendo giocare uno scherzo ad altri, non sapendo che
la vittima sarà lei).
In questo primo romanzo, già notiamo un altro
dei caratteri di Halter: la sfida all’impossibile e anche a se stesso.
Talora Halter crea delle messinscene al limite dell’impossibilità,
riuscendo poi a soddisfarle pienamente. Ma ciò non accade però sempre.
Questo è uno di questi casi: se avesse creato una situazione in cui il
perno fosse stata la torre, la soluzione adottata sarebbe stata
magnifica: una ragazza uccisa da una spada nella schiena e con gli occhi
cavati, in una stanza di una torre, con l’unica porta sorvegliata da
una modella e un pittore e con la finestra, l’unica che da su un muro a
strapiombo sul fiume, per di più scivoloso in quanto coperto di muschio.
Il guaio è che ha cercato di strafare. Così il perno dell’azione non è
la torre, ma un delitto avvenuto altrove e poi ambientato nella torre:
il fatto che un ragazzo di quattordici anni possa portare un cadavere in
uno zaino, sulle spalle, attraversando un bosco e trascinarselo sino
alla stanza posta al primo piano della torre, mi sembra una cosa campata
in aria. E non certo cosa che un ragazzo possa portare a termine con
successo, a meno che non sia Hulk.
Ad Halter, poi, i dialoghi d’amore non interessano: ecco perchè sembra così scontato.
Insomma, un buon romanzo d’esordio, ma non certo un capolavoro.
Pietro De Palma
Nessun commento:
Posta un commento