Il narratore è James Stevens, Elizabeth Stevens è
sua sorella, Henry White è un loro vicino e amico, come pure John
Darnley: sono tutti poco più che adolescenti. Le famiglie di alcuni di
loro possiedono delle caratteristiche comuni: infatti sia John che Henry
sono orfani di madre. La madre di Henry è morta per un incidente d’auto
(causa di ricorrenti liti tra Henry ed suo padre, Arthur), mentre
quella di John è stata trovata morta in una soffitta della loro casa,
chiusa a chiave dall’interno, in un lago di sangue, coperta di ferite da
taglio, con un coltellaccio vicino: la sua morte è stata archiviata
come suicidio, e del resto è bastato il fatto che la porta fosse stata
trovata chiusa dall’interno a fugare ogni dubbio.
Tuttavia, siccome Victor Darnley, il padre di John,
ha bisogno di ricavare dei soldi, dopo la guerra cerca di affittare
alcune stanze della sua casa, ma sempre, dopo un po’ di permanenza, gli
affittuari vanno via a causa di quegli strani rumori che si sentono
provenire dalle soffitte di notte: rumori di passi, ed un’atmosfera
strana, misteriosa, malsana. Finchè un bel giorno, la fama della casa
infestata dallo spirito della defunta Sig.ra Darnley, non attira una
coppia un po’ strana, i Latimer, Alice e Patrick. Lei è una medium, e
ben presto questo avrà conseguenze.
I ragazzi oltre che amici, sono legati anche dalle
prime cotte adolescenziali: Elizabeth è innamorata di Henry, ricambiata,
ma né lei né lui fanno il primo passo, giacchè entrambi sono timidi:
lei vorrebbe che fosse lui a fare il primo passo, per non compromettersi
e non finire ad essere additata come una sgualdrina (i soliti miti
della provincia francese), lui non trova il coraggio per fare il primo
passo e quando è lì sul punto per fare qualcosa…pensa bene di fare
dell’altro; così alla fine, nonostante il narratore della storia, James,
finisca per fare il mezzano, anche contro la sua volontà e su richiesta
della sorella, la storia tra i due ragazzi non decolla, tanto che la
ragazza finisce per accettare la corte di John.
Un bel giorno, anzi una bella notte, il padre di
Henry nel boschetto intorno alle case vede dei movimenti sospetti:
qualcuno che trasporta quel che sembra un corpo. Poi più nulla, e quando
viene ritrovato sanguinante con una gran brutta ferita alla testa, già
si piange la sua morte. Tuttavia Arthur vivrà. Ma intanto, Henry
scompare e non se ne sa più nulla.
La scomparsa di Henry e l’aggressione quasi mortale
di Arthur, combinandosi ai rumori strani che ricominciano a sentirsi in
casa Darnley, provenienti dalle soffitte, nonostante John e il padre
(prima sospettato di essere lui a produrli, quando va nelle soffitte
cercando lo spirito della moglie) siano assieme accanto ad Alice Latimer
ed altri protagonisti, e alle minacce proferite dallo spirito della
Sig.ra Darnley, che ha parlato attraverso la medium Alice Latimer,
durante una seduta spiritica, infuriata contro chi l’ha uccisa e che
troverà pace solo quando l’assassino verrà trovato, formano una miscela
esplosiva.
Un bel giorno si combina un esperimento, nella
camera della soffitta che si dice essere infestata dallo spirito:
Patrick Latimer si offre di esservi rinchiuso, per incontrare lo spirito
e poter sapere chi l’abbia uccisa; per sicurezza maggiore, ogni mezzora
qualcuno si accerterà che lui sia vivo e vegeto, fino alla fine
dell’esperimento. E per evitare che la scena sia contaminata da altre
presenze, la manopola esterna della stanza viene sigillata e il sigillo
viene creato utilizzando una moneta antica, unica, che viene pressata
sulla cera calda.
Patrick si presenta poco dopo, avvolto in un
pastrano e con un cappellaccio: evidentemente crede di averne bisogno,
perché nelle soffitte fa freddo. Quando però allo scadere del tempo,
qualcuno non sente risposta dall’interno e decidono di aprire la porta
sigillata, ritrovano Patrick morto, con un pugnale conficcato nella
schiena.
Le finestre sono chiuse, la porta era stata
sigillata da loro, nella stanza non c’è nessun altro: sicuramente se è
stato omicidio ha avuto una causa sovrannaturale. Alice alla vista del
marito ucciso, sviene. Le sorprese non sono finite: infatti quando viene
scoperto il viso del morto, si capisce immediatamente che quello non è
Patrick ma Henry, e allora ci si ricorda di come la figura, prima di
entrare nella camera fosse avvolta troppo bene nel pastrano e nel
cappellaccio quasi a celare la propria identità.
Intanto, ecco che Patrick fa la propria comparsa:
racconta di essere stato aggredito mentre era giù ad indossare il
pastrano. Ma allora perché Henry, dopo esser stato creduto morto o
scomparso, dopo che è stato visto da due persone diverse in due posti
diversi alla stessa ora, è venuto a morire proprio allora in quella
casa?
Nessuno lo sa spiegare, finchè arriva la terza
sorpresa: qualche giorno dopo, suonano alla porta, ed ecco..Heny. Henry ?
Ma non era morto?
Due Henry, identici. Quale sarà quello giusto?
Pochi accenni della sua storia, e si capisce che il vero Henry è quello
che si trovano dinanzi, vivo; mentre il falso Henry, morto, è un suo
amico, Bob Farr, quasi un suo sosia.
Entra in scena l’Ispettore Drew: tuttavia, pur
facendo indagini, e interrogando le persone coinvolte, nessuno capisce
il perché quel giovane, Bob Farr, sia stato ucciso al posto dell’amico
Heny. E, nonostante Drew schiumi rabbia, Henry si rifiuta di parlare e
di raccontare la sua verità.
Fatto sta che proprio Drew, nel corso di una
riunione di famiglia, accuserà Henry di aver ucciso l’amico, e
ipotizzerà che egli possa essere se non la reincarnazione di Harry
Houdini, almeno un parente prossimo, visto che Harry Weiss, nome
originario di Harry Houdini, è quello anche di Arthur White, che
peraltro gli assomiglia come una goccia d’acqua. Henry, sarebbe
impazzito, credendosi Harry e comunque credendo di averne il sangue. Il
movente? La vendetta, non contro Farr, bensì contro suo padre Arthur
accusato da lui di essere il responsabile della morte della madre: il
suo delitto, dovrà essere collegato ai dissidi tra lui ed il padre, e
quindi Arthur sarà accusato dell’omicidio del figlio, anzi di Farr,
creduto Henry.
Ma come avrà potuto creare un trucco da Camera
Chiusa? Drew immagine una messinscena elaborata: Henry avrebbe ucciso
prima Bob Farr, accoltellandolo alla schiena, e lasciandolo in una
camera vicina, poi presentandosi e venendo chiuso dall’esterno, avrebbe
cosparso la giacca di un liquido rosso e poi si sarebbe piazzato sulla
schiena un pugnale da scena, retrattile: agli occhi di chi avesse aperto
la porta, sarebbe sembrato un omicidio, poi avvalorato dal successivo
trucco: una palla di gomma posta sotto l’ascella, poi stretta, così da
interrompere per pochi secondi il flusso sanguigno dell’arteria radiale,
e determinare il fallimento del rilevamento del flusso tastando il
polso. Nel momento in cui gli astanti sarebbero scesi per avvisare la
polizia, lui in fretta e furia avrebbe preso il cadavere di Bob Farr e
l’avrebbe messo al proprio posto. Determinando l’impossibilità
dell’omicidio. Tuttavia la soluzione di Drew scontenta proprio
l’accusato che dimostra come la sera dell’omicidio di Farr, lui era in
America, fornendo un alibi bomba.
Finito tutto? No. Perché tempo dopo, mentre gli
amici stanno trascorrendo una serata assieme, e sta nevicando, si
consuma un secondo omicidio, altrettanto impossibile: muore infatti per
una fucilata alla testa, che gli spappola un orecchio e conseguente
emorragia, il padre di Henry, Arthur. Solo che dopo la telefonata nella
quale il padre invoca l’aiuto del figlio, e parla di omicidio, accorsi i
presenti, trovano sì Arthur ormai morto, ma anche trovano attorno alla
casa una distesa di neve candida, senza alcuna impronta al di fuori
delle loro. La successiva inchiesta da parte dell’incavolatissimo Drew
non porta ad alcun risultato utile, eccetto il fatto che i coniugi
Latimer sembrano essersi dissolti nel nulla. Viene diramato l’ordine di
ricercare i latitanti, che risultano poi dalle indagini essere dei
lestofanti, dei truffatori; successivamente viene convocata a casa di
Henry una riunione nella quale il dirigente di polizia mette gli astanti
al corrente delle indagini: nel corso di essa, mentre alcuni dei
presenti sono seduti nella sala, chi su sedie, chi su un grande divano,
Elizabeth Stevens si lamenta che il suo fidanzato abbia la mano fredda, e
si lamenta tanto che lui sbottando le dice come le sue mani non siano
affatto fredde. E’ in quell’istante che la ragazza capisce che la mano
che sta tenendo non è quella del fidanzato ma spunta dal sedile del
divano: quando rimuovono il fondo trovano al suo interno i cadaveri
vecchi di due giorni dei coniugi Latimer. Il capitolo finisce e sorpresa
delle sorprese, il capitolo successivo comincia con quella che Todorov
avrebbe definito un’ “esitazione”.
Cosa accade? Non lo dico, come pure ovviamente non
rivelo come finisce la storia e chi alla fine venga inquadrato come
omicida. Tranne che a risolvere il tutto vi pensa l’ex ispettore Alan
Twist chiamato da uno scrittore di gialli, Ronald Bowers. Cosa c’entra
lo scrittore con la storia? Non lo dico. Ma quando si pensa di aver
capito tutto, si capisce invece di non aver capito nulla e due
rivelazioni finali si susseguono, la prima falsa, l’ultima vera. Le due
ultime parole del libro.
Romanzo straordinario, un autentico capolavoro,
come se ne trovano pochi oggigiorno. Direi, con la mano sulla coscienza,
uno dei migliori romanzi degli ultimi vent’anni, in assoluto.
Non a caso vinse “Le Prix du roman policier du festival de Cognac”, nel 1987.
Il successivo romanzo, Le Brouillard Rouge, vinse quello più importante in assoluto: Le Prix du Roman d’Aventures. Ma non si può dire che Nebbia Rossa sia migliore de La Quarta Porta:
sono due romanzi con tema diverso, con afflato romanzesco diverso,
entrambi capolavori, entrambi con camere chiuse. Se proprio volessi
trovare una caratteristica peculiare di entrambi, direi che se il primo è
un fuoco pirotecnico di invenzioni, di sorprese, di trovate, di
soluzioni, il secondo affascina con il respiro possente del romanzo.
Tra le due Camere Chiuse presenti ne La Quatriéme Porte, la prima è la migliore, la più spettacolare, come accade per esempio in Whistle Up The Devil
di Derek Smith, mentre la seconda è un corollario che serve a definire
l’identità del secondo omicida. Già, perché in questo romanzo vi sono
due o meglio tre colpevoli. Mannaggia..mi son tradito, Vabbè, ora lo
sapete: tre colpevoli diversi. Però non sapete i nomi, eh già.
E
vi posso assicurare che mai come in questo romanzo, anche il più
smaliziato dei lettori, non riuscirà ad indovinare il colpevole: ve lo
posso assicurare, giacchè a me capita spesso. Qui no. Avevo letto il
romanzo tanti anni fa. L’ho riletto tempo fa con estremo piacere, anche
perché se mi erano rimasti impressi dei particolari (i cadaveri nel
divano), il resto l’avevo dimenticato. Per cui la rilettura è stata
estremamente appagante.
Per il resto, cosa si può dire?
Incominciamo col fatto che il primissimo romanzo autoprodotto, La Malediction de Barberousse,
ha, con questo romanzo,una peculiarità comune: Paul Halter riversa
tutto se stesso, dà fiato a tutta la sua straripante fantasia; tuttavia
nel primissimo romanzo, il troppo stroppia, qui, invece, è congeniale al successo del plot.
Man mano che il plot si manifesta e l’azione si
distende, viene innestata una marcia trionfale che procede con sempre
maggior forza, fino al ritrovamento dei cadaveri nel divano e ancor di
più fino alla fine della Parte II. Nel passaggio dalla Parte II alla
Parte III, c’è una cesura nettissima, che si manifesta con lo sgomento
da parte del lettore, e con quella che Todorov chiamava “esitazione”, e
che altri invece definivano “estraniamento”, “sbalordimento”,
“confusione”.
La marcia trionfale, riprende nei capitoli
successivi, con sempre maggiore tensione, fino ad arrivare alle due
sorprese ultime, in un susseguirsi di colpi di scena. Possiamo dire che
se la tensione è avvertita sin dall’inizio del romanzo e non accenna a
sedarsi, essa procede sostanzialmente in due blocchi separati: il primo è
costituito dalle Parti I e II, il secondo comincia con la Parte III;
tra i due blocchi, ripetiamo, c’è una cesura nettissima, che coincide
con l’entrata in scena di Ronald Bowers.
Non è un romanzo solo poliziesco ma è anche un
romanzo fantastico. Lo è perché nel plot vi sono molti artifizi tipici
della letteratura fantastica: come dice giustamente Philippe Fooz, nel
romanzo vi sono Lieux hantés ou lieux maudits, luoghi infestati e maledetti; Réincarnation (“a réincarnation du célèbre magicien Harry Houdini”); bilocation,
la bilocazione, che si verifica quando Henry è visto in due posti
diversi, da persone diverse, alla stessa ora; ma c’è anche il tema del Doubler, del doppio ( i due Henry), della Résurrection (Henry suona alla porta, quando lo ritengono morto).
Ma è un romanzo fantastico, non solo perché
possiede caratteristiche riconoscibili e ascrivibili al romanzo
fantastico, ma anche perché ha la particolarità, che Todorov
identificava come la spia che inquadra un romanzo come fantastico, di
determinare nel lettore, al verificarsi di una determinato fattore X,
una certa esitazione. Il verificarsi di questa esitazione, alla cesura,
al passaggio dalla Parte II alla Parte III, è reale.
Todorov cita due romanzi polizieschi in quanto esempi di fantastico:The Murder of Roger Ackroyd, di Agatha Christie e The Bourning Court,
di John Dickson Carr, per cause diverse. Guarda caso, le maggiori
citazioni presenti nel romanzo di Halter, riguardano questi due autori, e
questi due romanzi. Ora è una cosa acclarata che Halter prediliga da
sempre questi due autori; tuttavia io credo che in questo romanzo, egli
abbia voluto citare questi due autori, per un’altra valenza: il fatto
che anche il suo romanzo è in certo senso fantastico ed inoltre in certo
senso è una sintesi dei due romanzi citati da Torov. Infatti La Quatriéme Porte è un tributo a Carr e Christie: lo dimostrano le citazioni disseminate nel romanzo.
Innanzitutto, l’azione è narrata in prima persona,
come nel capolavoro della Christie citato: nelle prime due parti, da
James Stevens, nella terza, da Ronald Bowers. A quel libro, si ricollega
anche per un altro particolare che non rivelo (ma che rispetto
all’originale della Christie è trasformato: non c’è la volontà della
menzogna, in un soggetto che il lettore identifica in sé, in conseguenza
del fatto che l’azione è raccontata in prima persona , ma se menzogna
c’è essa è del tutto non voluta).
Poi vi sono almeno quattro citazioni chiarissime
di Carr: il delitto in altro luogo rispetto a quello nel quale è stata
allestita la camera chiusa, deriva da The Crime in Nobody’s Room di Carter Dickson, cui precedentemente rispetto ad Halter, altri si sono ispirati: dall’Innes di Appleby’s Other Story a The Problem of the Phantom Parlor, di Edward D. Hoch, e così via.
Una seconda citazione carriana è ovviamente il ritrovamento dei cadaveri nel divano: il riferimento è qui a The Red Widow Murders di
Carter Dickson, romanzo in cui un cadavere è ritrovato piegato a
formare l’ossatura di una poltrona, sopra cui è seduto un personaggio,
che non è l’assassino.
L’entrata in scena di Alan Twist a romanzo inoltrato, può tranquillamente riferirsi a The Plague Court Murders, sempre di Carter Dickson, nel quale H.M. entra in scena in un secondo tempo, come pure ad un romanzo di Noel Vindry, Le Piège aux diamants,
in cui il giudice Allou, interviene in tempo per scoprire il colpevole.
Infine anche la reincarnazione di Henry White/Harry Houdini è
comparabile a quella di Maria/ Marchesa de Brinvilliers in The Bourning
Court.
Per tutto ciò, se Todorov avesse scritto il suo
saggio qualche anno dopo, dopo aver letto questo romanzo, forse avrebbe
potuto inserirlo, tra gli esempi di Letteratura Fantastica.
Non ci sono solo queste citazioni, evidenti, però;
ce n’è anche qualcuna che non lo è: mi riferisco a quella inversa, altra
caratteristica nei romanzi di Halter (la citazione originaria viene
trasformata e sovente capovolta), presente all’inizio della Parte III,
“Intermezzo”. E’ una citazione che è sfuggita a chi ha già recensito
(all’estero) questo romanzo:
“Un tipo si introduce in una vecchia
armatura…l’uomo è ancora dentro l’armatura ma ha perduto la testa…la
testa è stata tagliata ed è scomparsa” (La Quarta Porta, pag. 125). La citazione fa riferimento a Death of Jezebel,
“Morte di una Stega”, spettacolare romanzo con Camera Chiusa di
Christianna Brand, già recensito in questo Blog, in cui nel rodeo
medievale, c’è un cavaliere in armatura che monta un cavallo, al cui
interno non c’è il corpo, ma solo la testa mozzata.
E poi tante altre, che possono tranquillamente
riferirsi agli altri spunti presenti nel romanzo: il tema del doppio,
può esser stato preso da Ellen McCloy così come da Ellery Queen; la
falsa seduta spiritica, da Abbot o da Talbot; la stessa bilocazione da
Ellen McCloy.
Per non parlare della Camera Chiusa, la prima: si
tratta di una spettacolarizzazione rara nella sua efficacia. Un cadavere
che non ci sarebbe dovuto essere e c’è, e una porta chiusa non
dall’interno ma dall’esterno: la particolarità di questa messinscena sta
nella sottigliezza che l’azione non è la conseguenza di un’azione fatta
all’interno, ma all’esterno della camera, in cui chi sta dentro la
stanza svolge solo un ruolo passivo: il sigillo alla maniglia, lo
esclude dall’azione, che è invece una prerogativa di chi sta al di
fuori. Per un certo verso analizzando le due soluzioni proposte, quella
più semplice è la prima, quella che è sbagliata, ma solo perché
identifica il colpevole in un soggetto che non lo è; invece, la
soluzione giusta è quella più difficile, quella che si basa su una
modulazione delle proporzioni degli ambienti e che si rifà espressamente
a Carr, quando invece la prima è una riproposizione del trucco già
inscenato ne La malediction de Barberousse: il corpo che si
crede morto a prima vista, non lo è. Peraltro, il trucco inscenato per
allestire la Camera e che viene spiegato più tardi , è semplicemente
magnifico, anche perché, come le grandi Camere Chiuse, quelle
spettacolari, quasi sempre l’assassino/a gode di una copertura, di un
complice: il complice crea confusione, e appoggia l’azione dell’omicida.
Qui il trucco sta nel creare una illusione, che si appoggia sulla
rimodulazione degli spazi e degli oggetti: una tenda finale, dei pomelli
di porte, un corridoio tutto rivestito di pannelli di quercia dello
stesso colore delle porte, un corridoio che si accorcia o che si
allunga, senza che gli astanti se ne accorgano, tranne una variabilità
delle proporzioni del corridoio.
Non avete capito? Leggete il romanzo: rimarrete a bocca aperta.
Pietro De Palma
La quarta porta è veramente un capolavoro, concordo in pieno. Una soluzione sfavillante, un climax di tensione inenarrabile, il doppio colpo di scena finale... Di certo ha anche qualche punto debole ( che poi in Halter sono sempre gli stessi a mio parere, vedi alcuni dialoghi un po' banalotti e alcuni elementi tirati per i capelli) ma davvero tutto passa in secondo piano rispetto allo splendido gioco di magia che propone. Lo farei leggere nelle scuole :-)
RispondiEliminaMatteo