Nella prima, Jeff Marle e Sharon Grey sono assieme nella villa de lei.
Dapprima conversano: “
– Lewis Carroll..è fantastico! Io non avevo mai letto “Alice”! –
Raoul.. – esitò un attimo poi proseguì – ..un mio amico me ne doveva
portare una copia..Non è delizioso il ricevimento del Cappellaio Pazzo? E
quando portano in giro i fenicotteri, e lui dice: Taglia, taglia la sua
testa!..” (pag.136).
Si siedono su una panchina rustica, vicino al muro posteriore:
“..quando
passammo davanti alla panchina rustica, toccai il braccio di Sharon che
si sedette: nella poca luce che filtrava attraverso i rami dei
cipressi,, potevo scorgere il pallore del volto di lei, alzato verso la
luna: quel volto,eccettuati gli occhi, sembrava quello di una morta, e
anche il suo corpo sembrava morto” (pag.137). E ancora a seguire:
“–
Com’è gelida la vostra mano, sulla mia spalla!…le parole penetrarono
nel mio cervello…mi resi conto con orrore che le mie mani erano
intrecciate insieme, davanti a me. Proprio così…poi le sue parole
risuonarono nella mia mente in un rapido, tremendo sospetto. – Alzatevi –
dissi, udendo a malapena la mia stessa voce. – Alzatevi di lì un
secondo, per favore. – Perché? Cosa succede? Sembrate.. – Alzatevi di
lì. La trascinai via dalla panchina, dietro di me, poi mi precipitai di
nuovo verso il sedile. Fui sopraffatto da un senso di repulsione..il
chiaro di luna, attraverso i cipressi, rivelava la mano di un uomo che
sporgeva immobile dalla spalliera della panchina. Spostai il sedile e
vidi un corpo umano che si adagiò per terra, dandomi impressione quasi
di cosa viva..rimasi curvo,pervaso da un forte senso di nausea; la
fontana mandava un suono stridulo, come una risata…La sua testa quasi
staccata dal corpo. Adesso la sua faccia bianca e rigata di sporco era
rivolta verso la luna: Era Edouard Vautrelle; aveva le labbra rialzate
sui denti, in una smorfia di derisione, e il monocolo ancora fermo
nell’occhio senza più luce ”(pag. 137-138).
Noto
la successione dei vari momenti, che si rincorrono sempre con maggiore
tensione verso il catartico ritrovamento di Vautrelle: innanzitutto il
riferimento alla decapitazione in “Alice nel paese delle meraviglie”.
Poi il riferimento alle candele che man mano si spengono (ho saltato il
riferimento di pag.137). Poi la passeggiata nel parco della villa, soli,
al chiaro di luna, senza altre luci. Il riferimento ai cipressi (alberi
da cimitero) introduce un nuovo elemento di tensione. Ma la fontana col
suo rumore cristallino smorza la tensione, almeno..parrebbe che la
smorzasse. Poi..il pallore nel volto di lei, che sembra quello di una
morta. Ancora un riferimento macabro. Poi si siedono sulla panchina, e
ancora una volta sembrebbe che la tensione si svaporasse, quando..un
nuovo elemento di tensione ancora più acuto si affaccia: la mano gelida.
Che porta all’orrore di vedere le proprie mani conserte. E di chi è
allora quell’altra mano? La sua voce è inudibile, in preda allo
spavento. La luce della luna che attraversa i cipressi (ancora loro!)
rivela una mano umana appoggiata alla spalliera della panchina. Ora il
rumore dell’acqua della fontana non è più rilassante ma assomiglia al
suono di una risata aggiungerei..maligna. E poi ..un corpo con la testa
quasi staccata dal corpo. E infine la rivelazione che si tratta di
Vautrelle. Vautrelle? Ma se si era quasi stati portati a sospettarlo di
omicidio?
Faccio notare due cose:
innanzitutto
come gli stessi oggetti, a seconda dello stato emozionale in cui
vengono a trovarsi i soggetti, possono mutare diametralmente il loro
significato. Per es. la fontana della Villa di Versailles, prima ha un
suono cristallino, poi è come se ridesse (ma non è una risata allegra ma
beffarda, sardonica, che accompagna la scoperta dell’omicidio); e poi
come le stesse cose possano avere un significato diverso a seconda da
come le si usi: per es. la Villa di Versailles, che tenuta al buio e
rischiarata dalle candele ha un’aura romantica ma piena di presagi di
morte, dopo la morte, rischiarata dalla luce elettrica perde la propria
aura spettrale per ricavarne una più fredda.
Ancora
da notare è come il procedimento usato da Carr per generare tensione
sia quello cosiddetto accrescitivo, usato con estrema accortezza, molto
simile al sistema usato dai compositori dell’ottocento per accrescere la
tensione drammatica nella musica: se si fosse puntato infatti su
un’unica linea, procedendo dalla tensione minima alla tensione massima,
non si sarebbe potuto andar avanti per molto tempo; e dopo un poco la
tensione si sarebbe esaurita. Invece qui, per accrescere una tensione
drammatica e portarla a livelli insostenibili, Carr si ferma ogni tanto,
quasi seguendo delle tappe, e da ogni tappa riparte con una forza
maggiore e con elementi che pur essendo simili a quelli originari,
portano a situazioni più sconvolgenti.
La
seconda citazione non ha la tensione della tragedia, non ha il passo
del thriller alla Rufus King. E’ più diretta, ma molto più macabra. A
parlare è Gersoult, valletto di Saligny, mentre il suo padrone giace
nella bara, con la testa staccata dal corpo: “ –Lo so – disse. Lo
so, signore: voi andate a cercare le cose morte che camminano in
cantina: le ho sentite le cose morte, stropicciare i piedi, là sotto..”
(pag. 169). Brr…
Ma
in questo romanzo non c’è solo Poe, cioè non solo atmosfera e
tensione; c’è anche una consorteria di scrittori, tutti precedenti
all’entrata trionfale di Carr. In pratica lui si comportò, come chiunque
che non avendo ancora uno stile proprio, cercasse di attingere da chi,
prima di lui, aveva inventato qualcosa.
Tutti
o quasi mettono in rilievo Poe. Ma Poe è citato anche dallo stesso
Carr. Il discorso è che Carr prende a piene mani anche da altri: primo
fra tutti Gaston Leroux.
Non c’è dubbio infatti che il Leroux di Le mystère de la chambre jaune
deve aver esercitato un’influenza determinante su Carr. E lo si desume,
come giustamente rileva Nick Fuller, dalla trattazione che Bencolin fa
alla fine del capitolo undicesimo: lì viene confrontata la pratica
investigativa americana, fatta di terzo grado e di informatori, e di
indagini brutali, con quella francese in cui un corpo di polizia ha il
compito di investigare usando la ragione. Ma nello stesso tempo,
Bencolin mette in guardia contro la credenza che chiunque, dotato solo
di sagacia, e quindi senza esperienza o studio, possa improvvisarsi
investigatore: in una Francia degli anni ’20, quale altro confronto è
possibile se non con il Rouletabille di Leroux? Non solo.
A
Leroux ci porta anche il modo assolutamente trasformistico di creare e
ricreare la realtà a piacimento: Frédéric Larsan, il celebre poliziotto
di Leroux, in realtà è anche il criminale Ballmeyer, e allo stesso modo
Alexandre Laurent diventa Saligny. L’abilità trasformistica di
Ballmeyer ad impersonare il personaggio Larsan e a condurre il gioco
secondo la propria prospettiva è la stessa dell’assassino qui e del suo
complice, che orchestrano il delitto come un concerto. Ma più ancora che
al primo, Carr mi riporta al secondo Leroux, Le parfum de la dame en noir, dove la follia e la capacità di farsi beffe della realtà svia continuamente il lettore.
E
la polizia francese diversa da quella americana, a chi ci conduce? A
chi Carr voleva riferirsi? A me sembra che il riferimento possa essere
più che quello di Leroux piuttosto quell’altro di Monsieur Lecoq, il
celebre poliziotto di Gaboriau, il primo rappresentante di quella
schiera ( opposta al poliziotto non acuto tipo il Lestrade di Conan
Doyle), che rivendicò il proprio posto nella Letteratura poliziesca.
Ma al di là di questo, riscontro anche altre influenze, in questo primissimo Carr.
Soprattutto
Freeman e Crofts. Per delle cose che noto qui, ma non anche in altri
Carr successivi: qui per esempio c’è un eccessiva attenzione ai tempi.
Alle pagg. 67-68, cioè nelle ultime due pagine del quinto capitolo,
Bencolin riassume la situazione delle testimonianze e deposizioni,
consultando il suo taccuino in cui ha ordinato i vari tempi riferiti
alla situazione criminosa: ora, questa è una nota che ci avvicina
fortemente ai romanzi di Crofts, la cui principale caratteristica è
quella di esibire degli alibi a prova di bomba che poi vengono smontati
altrettanto sapientemente.
Invece
dal R.Austin Freeman del dottor Thorndyke, Carr prende la tendenza a
trattare gli indizi materiali come fondamento all’indagine
investigativa: per es.nel capitolo sesto, “Sette metri per sette”,
assistiamo ad un tipo di indagine scientifica, per quanto riguarda il
rilevamento di prove materiali: lo spargimento di polvere per le
impronte digitali, le fotografie della scena del delitto, il segno del
contorno del cadavere col gesso. E poi Bencolin che supera i suoi stessi
uomini e trova sotto le unghie della vittima un pezzo di filo, che solo
lui avrebbe potuto vedere, e che poi viene identificato, in un tipo di
filato . Poi si vedono uomini che esaminano il tappeto, tolgono la
copertura del divano, fotografano e rilevano impronte. Mike Grost indica
invece l’indagine scientifica che Bencolin attua coi suoi uomini nella
Villa di Versailles dove giace il cadavere di Vautrelle, nel capitolo
XIII, “Morte a Versailles” : il sangue, le coltellate alle spalle, le
tracce sanguinolente che partono dal cancello posteriore della villa,
indicano che l’assassino ha seguito Vautrelle che si trascinava fino
alla panchina, e quando lui si è accasciato, egli ha cominciato a
staccargli la testa dal busto. La mancata recisione della testa che
indica come non si sia utilizzata una spada ma piuttosto un coltello, un
lavoro da inesperti, un coltello grosso, forse americano, da caccia.
Tutte tracce che opportunamente interpretate da Bencolin gli
consentiranno di farsi un’idea precisa su quel che possa essere
accaduto. E non sbaglierà neppure in quest’occasione!
E
infine l’Hashish e l’oppio hanno una grande importanza in questo
romanzo. E chi ci ricordano oppio e hascisc? De Quincey, Balzac,
Baudelaire, Gautier. Noto come in determinati passi del romanzo si
trovino riferimenti a queste droghe, molto significativi: innanzitutto
tra gli autori preferiti da Laurent sono citati De Quincey e Baudelaire.
Laurent ed altri personaggi si drogano. In un passo, prima
dell’assassinio di Saligny, colui che l’ucciderà esclama: “– Questa musica maledetta..non posso sopportarla. Perchè stanno sempre suonando lo stesso motivo da mezz’ora?”. Ancora
una volta, un qualcosa cambia significato, a sottolineare un cambio
emotivo dei personaggi: prima l’orchestra jazz produceva un semplice
frastuono; ora la musica dell’orchestrina, sappiamo che viene percepita
come ossessiva. Anche perchè il soggetto che inveisce, intuiamo che è
drogato.
Quincey è ricordato per aver scritto Murder considered as one of the fine arts ,“L’assassinio come una delle belle arti”. Ma è anche ricordato per uno scritto molto più famoso all’epoca, Confessions of an English opium-eater,
“Le confessioni di un mangiatore d’oppio”. Non scordiamoci che il Carr
degli anni ’20 che aveva vissuto a Parigi, si era imbevuto di
letteratura francese: e quindi non potrebbe aver letto anche Théofile
Gautier, dedito all’oppio e all’hashisc, come lo stesso Balzac?
Tra
tante meraviglie, l’unica cosa che mi appare stonata è l’omicida: non è
un grande omicida, non è una persona di grande levatura, un genio come
in gran parte dei romanzi di Carr. Non è neanche un vigliacco, un
fetente. Piuttosto è una creatura debole, dedita alla droga, che ha
ucciso non perché desiderasse uccidere Saligny, ma perché glielo si è
chiesto, lo si è convinto a farlo. Ma poi il secondo omicidio e il
tentato terzo, sono il frutto della sua follia. E la pervicacia con cui
Bencolin lo accusa, lo distrugge psicologicamente, fa quasi pena:
Bencolin non ha nulla di Fell o Merrivale; è piuttosto un essere duro,
spietato con chi sbaglia. Perché non è solo poliziotto ma anche giudice.
E quindi è implacabile. Il suo compito non è solo quello di acciuffare
il reo ma anche di portarlo, come dice lui qui, alla ghigliottina
(pag.193).
Questo
modo di presentare Bencolin, con la sua aria sinistra e mefistofelica,
riesce quasi ad invertire i ruoli: il povero assassino da una parte, il
freddo poliziotto dall’altra. Del resto l’assassino ha eliminato dei
rifiuti della società: uno psicopatico, un imbroglione, e stava per
uccidere un ricattatore e spacciatore di hascisc.
Bencolin
non si accanisce contro l’assassino perché questi ha ucciso, quanto
piuttosto per come ha impedito che lui, Bencolin, che aveva dato la sua
parola a Saligny di proteggerlo, potesse adempiere alla sua promessa. E
per di più perché chi ha ucciso si è fatto beffe dell’ordine costituito,
servendosi di lui e di un suo uomo, François, per avere un alibi. Ecco
perché, secondo me. la giustizia di Bencolin assume ,qui, i contorni di
una vendetta personale; e solo questo spiega l’accanimento del
poliziotto nei confronti dell’essere debole che ha davanti, cosa che si
può evincere leggendo le pagine finali dell’ultimo capitolo. Accanimento
anche perchè deve capire se il suo ragionamento sia stato giusto, se le
cose siano andate veramente come lui abbia pensato. Serve cioè, perchè
la giustizia possa avere il suo corso, e forse anche, come lui
suggerisce all’assassino (vittima di tutta una serie di torti che ha
patito), perchè la giuria possa tenerne conto e non applicare la pena di
morte. C’è solo un momento, alla fine della storia, in cui si erge
l’assassino in tutta la sua figura. E’ quando rivendica la gioia che ha
provato quando ha ucciso Vautrelle, quando è stato bagnato dal suo
sangue: se l’anima può saziarsi, ecco, lui, l’assassino, si è saziato
dopo. Questo identificarsi con l’anima, fà sì che l’assassino
giustifichi la morte di Vautrelle con un bisogno di giustizia. Una
giustizia che non può essere solo terrena. Non sarebbe stato quindi un
assassinio ma un’esecuzione. E quindi è come se dicesse che dovrebbe
essere giudicato non per la seconda morte quanto per la prima (a suo
dire, ovviamente).
Insomma…un’opera
giovanile di Carr, ancora non perfettamente oliata, ma già capace di
avvincere e meravigliare: il plot e la soluzione sono meravigliosi, e
già richiamano certi altri meccanismi da Camera Chiusa che verranno
inventati successivamente.
Un
discorso a parte, merita la traduzione di Rossana De Michele che non è
che sia malvagia, diciamolo pure. Se alcune volte ho detto che
meriterebbe questo romanzo una nuova traduzione, è perchè le parti che
sono state tolte conferirebbero una luce diversa e accrescerebbero il
fascino: è un discorso di atmosfera, non di plot. Il plot e la
spiegazione ci sono tutte, e il romanzo finisce esattamente come finisce
quello originale. E inoltre la traduzione per l’epoca è molto buona.
Vedete e confrontate certe traduzioni odierne e traduzioni degli anni
’50 Mondadori, e sarete d’accordo con me nell’affermare che allora la
Mondadori prendeva i migliori traduttori (cosa che vale tuttora)
rispetto al resto. Di traduzioni molto buone, nella scelta dei vocaboli e
nella fluidità dell’insieme, ce n’erano anche altrove, ma poche: mi
ricordo quelle per Garzanti di Bruno Tasso per esempio.
Nella versione di Rossana De Michele, qua e là si
notano dei passi saltati, ma sono passi che riguardano l’atmosfera. Faccio un
esempio, pag. 4 del romanzo originale (la prima pagina è occupata dalla
piantina che nell’edizione Mondadori è rimpicciolita), Carr scrive : The
high lamps were blooming out over Paris as we went down the stairs to my car. He stopped in the doorway to light a
cigar, and he
stood for a moment looking up and down the blue-shadowed street—a tall figure
silhouetted against the light of the tall doorway, cloak flung over his
shoulder, leaning on his silver-headed stick.
Rossana De Michele traduce solo “The high lamps were blooming out over
Paris as we went down the stairs to my car” con “Parigi scintillava alla luce dei suoi mille lampioni quando
scendemmo le scale e ci avviammo verso la mia auto“. Ma salta il resto. Che si potrebbe tradurre:
“Si fermò sulla porta alla luce di un sigaro, e stette per un momento a guardare su e giù per la strada dalle ombre blu, una figura alta stagliata contro la luce della porta alta, il mantello gettato sulle spalle, appoggiato al suo bastone dalla testa d’argento“.Non toglie e non aggiunge nulla se parliamo di plot, ma l’atmosfera della scena risulta parecchio più suggestiva.
E siccome già lo è in gran parte, immaginiamo come lo sarrebbe stata se simili parti non fossero state espunte.
Immaginare non costa nulla: sarebbe stata magnifica!
Comunque sia..un primo capolavoro di Carr, che proprio con i suoi eccessi riesce a lacerare la trama dell’oblio e a far emozionare ogni qualvolta lo si legga.
Pietro De Palma
Esistono trasposizioni cinematografiche piu o meno fedeli della produzione carriana?
RispondiEliminaGrazie e auguri
The Man With a Cloak (1951) fu la trasposizione del racconto "The Gentleman from Paris" and Dangerous Crossing (1953) quella del radiodramma Cabin B-13. The Emperor's Snuffbox fu trasposta come That Woman Opposite (1957), e La chambre ardente (1962) fu un libero adattamento di The Burning Court. Ti ho già risposto: si tratta sempre o quasi di adattamenti che non possono rispecchiare esattamnente lo spirito originale, perchè le opere di Carr sono troppo classiche, per risultare la base fedele di una trasposizione cinematografica, che invece cerca sempre altre cose. Più fedeli furono gli adattamenti televisivi. In Italia, a parte La Dama dei veleni, uno sceneggiato molto libero realizzato, secondo il gusto anni '70, su The Burning Court, e presente su youtube (Pagliai, Bentivegna, et..), vennero realizzati degli sceneggiati molto carini, tra cui "Morte a passo di walzer" (con Gianni Garko) tratta da "Fire, Burn!"; e soprattutto due molto fedeli a romanzi di Carter Dickson: "Tre colpi di fucile" (tratto da "Un colpo di fucile"), con Rigillo, Lupo, Albertini, Izzo); e "L'Occhio di Giuda" (tratto dall'omonimno romanzo) con Adolfo Celi, Carlo Hintermann, Gianni Garko. Devo segnalare anche la serie britannica, tratta da racconti del Colonnello March, intitolata Colonel March of Scotland Yard, con Boris Karloff (riportati in Italia come Colonnello March). Mi ricordo vagamente alcuni episodi. Non posso asserire su una fedele trasposizione. Mi ricordo uno, quello del tavolino con trucco ottico, "The New Invisible man" tratto dall'omonimo racconto; Su internet qualcuno lo si ritrova ancora. Ce n'è uno addirittura doppiato recentemente con sottotitoli in italiano da un appassionato, su youtube. Altri su youtube, daily motion e altri canali. La serie si componeva di ventisei episodi di circa venticinque-ventisei minuti l'uno.
RispondiEliminaGrazie Pietro
RispondiEliminaHo letto i March..levata la stanza che non c'è gli altri sono soporiferi quindi non credo che i karloff siano chissà che..addirittura ha una benda sull'occhio perché il traduttore tradusse come blind/cieco un altro aggettivo..assurdo...
Sì, infatti. Tutto diverso dagli sceneggiati italiani che erano davvero fatti bene, con l'esclusione de LA DAMA DEI VELENI, MA CHE SI TROVA SU YOUTUBE (adattamento nel tempo presente, etc etc). Peccato che non siano stati ripresi nella serie della Fabbri di qualche anno fa incentrata sugli sceneggiati polizieschi della RAI. Mi ricordo in particolare quello su Adolfo Celi che fu ottimo, emolto gradito dal pubblico, che Adolfo Celi era all'opera per un'altra trasposizione da Carter Dickson pare, quando morì
RispondiEliminaParecchi sceneggiati di quella serie di Boris Karloff per di più in splendida resa visiva li trovi su ifood.tv, per esempio
RispondiEliminahttp://fawesome.ifood.tv/entertainment/10088889-colonel-march-of-scotland-yard-season-1-ep25-the-new-invisible-man
Lingua originale immagino o sottotitoli? Sono fedeli al testo carriano?
RispondiEliminaMi pare di averti risposto già. Mi ricordo quello del Nuovo Uomo Invisibile. L'azione è subito in una stanza, mentre manca tutta la parte introduttiva del racconto. Si punta sull'azione e non sulle descrizioni. Quindi..manca di atmosfera. Inoltre alcuni personaggi sono inventati. L'ispettore Ames in Carr non esiste proprio, almeno non in questo racconto, mentre in altri compare. Questa però è una cosa che si può capirte: dovendo realizzare una serie era meglio inserire dei personaggi fissi: March c'era e allora perchè non mettere un ispettore fisso in tutti i racconti, che il pubblico potesse seguire? Nel caso della soluzione è abbastanza fedele, ma non nella fine del racconto. E' addirittura inventato di sana pianta il rapimento di March ad opera dei due coniugi. Insomma,l mi hai capito: in mezzora dovevano catturare l'interesse del pubblico con qualcosa che avesse una tensione e quindi...non sempre viene rispettato l'iter del racconto. Qui..poco
RispondiElimina