Connington fu un autore che cominciò a scrivere romanzi polizieschi,
come svago: c’era una voce che diceva che negli anni ’30, parecchi
professori leggevano gialli per svago..ma è anche vero che parecchie
menti illustri ne scrivevano: Dorothy Sayers, Nicholas Blake, Edmund
Crispin, Thomas Kyd, e appunto J.J. Connington, che in realtà si
chiamava A.W.Stewart ed era un famosissimo docente di chimica e
scienziato: Un cadavere fuori posto, è un romanzo del 1935.
Diciamo
subito che il lettore italiano che ha letto i romanzi degli inizi degli
anni ’30, potrebbe trovarsi spaesato: quella che è la caratteristica
principale di Connington, cioè l’atmosfera (le notti di luna piena,
l’oscurità, misteriosi passaggi segreti, per es.) qui non esiste. Il
romanzo infatti si presenta come un caratteristico Whodunnit di metà
degli anni ’30, un romanzo ad enigma, come tanti di quegli anni, anche
se sempre affascinante e costruito assai bene (anche se, ancora una
volta, l’assassino è, per il lettore esperto, molto facile da trovare:
io l’ho trovato almeno 150 pagine prima della conclusione. C’era una
voce che mi diceva che proprio lui doveva essere: ed in effetti non ho
sbagliato. Il fatto è che Connington è sempre troppo rispettoso del
lettore, e molto spesso dice troppo degli indiziati, quasi ne sbandiera
le peculiarità, per cui…ad un certo punto, chi abbia una memoria
analitica di quello che abbia letto e che sappia che 2+2 fa sempre 4,
non può non capire chi sia l’assassino, per quanto improbabile). In
questo caso abbiamo un poliziotto, William Danbury, che è desideroso di
mettersi in luce, ma per farlo avrebbe bisogno di qualcosa veramente
interessante, che neanche a farlo apposta, gli capita sotto il naso:
mentre è di ronda di notte, il signor Geddington che abita al civico
Grove N.5, lo prega di intervenire in uno stabile, perché si è sentito
uno sparo. Danbury trova, non cercandolo, un bel cadavere caldo caldo,
in un appartamento sfitto, dove sono in corso lavori di tinteggiatura
delle pareti: nel bel mezzo di una camera è il corpo di un uomo, col
volto sfigurato da un colpo di pistola sparato in faccia, in mezzo a una
barattolo di vernice rovesciato, macchie di sangue sul pavimento ed un
fazzoletto che ne è zuppo, e in una latta di vernice, una croce d’oro a
forma di Tau. Inoltre, il cadavere indossa guanti, delle scarpe di gomma
e ha in tasca uno sfollagente artigianale ma dall’aria assai efficace.
Le indagini si presentano subito difficili. Non c’è apparentemente
nessun vero indizio, tanto che persino gli abiti sono privi delle
targhette riconoscitive, e nessuno degli inquilini dello stabile, a
prima vista lo riconosce. Vi è un giornalista free-lance, invadente e a
perenne caccia di scoop, Barbican, che è stato il primo ad accorrere ed
il primo ad aiutare l’agente Danbury ed il suo collega a isolare la
scena del delitto; c’è l’architetto Barnard; c’è George Mitford, ex
impiegato d’ufficio che vive assai modestamente con una piccola rendita,
e che sogna i luoghi fiabeschi del Giappone; c’è una coppia che invita
sempre persone nel loro appartamento, di estrazione sociale elevata o
che almeno vuol far ritenere tale; c’è la signora Sternhall, che di
origini francesi dà lezioni della sua lingua originale in casa sua, e
suo cognato, un tipo deciso ma dall’aria poco raccomandabile: la donna è
sola, perché il marito, è sempre fuori per lavoro, ed al momento del
rinvenimento del cadavere, è lontano. Insomma una fauna variegata. A
questi tipi se ne aggiungono altri due, che assieme ad alcuni inquilini,
sono soliti frequentare casa Sternhall per imparare o affinare il
francese: c’è Ambrose Bracknell, un giovane ed aitante predicatore di
una setta cristiana, e Miss Huntingdon, una ragazza che ne è innamorata.
Fato sta che il cadavere, ricomposto,e soprattutto il viso pulito dal
sangue e reso presentabile, fanno sì che il cadavere sia riconosciuto e
associato al signor Sternhall che al momento della morte sarebbe dovuto
essere lontano, e che invece era vicinissimo a casa sua. Si scoprirà che
egli conduceva una doppia vita, perché aveva due mogli: quindi era
bigamo. Che aveva licenziato un povero impiegato e lo aveva
perseguitato, e che lui stesso era stato perseguitato a sua volta da un
ricattatore che conosceva i suoi segreti. Che Bracknell era quello che
aveva perso nella colluttazione con Sternhall il ciondolo a forma di
Tau, ma non ne era stato lui l’assassino; e che per allontanare da sé i
sospetti della polizia non aveva esitato a mettere in mezzo Miss
Huntingdon che di lui era infatuata: insomma un bel farabutto! E che la
signora Sternhall aveva taciuto molte cose a Sir Clinton Driffield, Capo
della Polizia e protagonista dei molti romanzi di Connington. Il
cadavere non sarà il solo nel prosieguo del romanzo ma sarà accompagnato
da un secondo, quello dell’impiegato (era lui quello che guarda caso
era stato licenziato da Sternhall) che impaziente di guadagnare i mille
dollari messi come taglia per chi avrebbe rivelato alla polizia dei
particolari utili ad acchiappare l’assassino, li sbandiera incautamente
facendo riferimento ad una lettera che intende inviare proprio
all’attenzione del Capo della Polizia: proprio questa avventatezza gli
costerà la morte. L’assassino, che se qualcuno non l’avesse già
individuato, si capisce lapallissianamente ora chi possa essere, lo
ucciderà simulando un suicidio in una Camera Chiusa. Che verrà invece
riconosciuto come omicidio quando intorno al cadavere si riconosceranno
due tipi diversi di sangue. Toccherà a Sir Clinton nelle ultime pagine,
con l’aiuto del suo amico Wendover (una specie di dottor Watson, ma
molto più acuto del compagno di Sherlock Holmes), inchiodare l’assassino
(casomai non si fosse ancora capito chi potesse essere) e spiegare i
punti oscuri del dramma, anche se le ultime pagine non precedono la
rivelazione finale, ma ne sono solo un riassunto ricapitolativo, giacchè
l’assassino vien rivelato già a pag. 215 ( ma io l’ho capito già
abbastanza presto, sulla base anche di un motivo che ricorre in tutti
gli assassini sia di carta che reali) cioè venti pagine prima che viene
arrestato. Se il romanzo, nella successione dei titoli di Connington,
perde parecchio in atmosfera e acquista nella creazione dell’enigma e
nella sua soluzione (ma quella della Camera Chiusa è alquanto criptica),
un carattere è riconoscibilissimo, in quanto è un vero e proprio
marchio della produzione di Connington: come abbiamo detto
J.J.Connington in realtà era un grande scienziato, e in tutti i suoi
romanzi, Stewart introdusse una qualche diavoleria elettronica, o una
qualche invenzione oppure un qualche espediente che avesse contatti con
la fisica o la chimica. In questo romanzo, particolarmente interessante è
l’analisi sanguigna dei vasi e degli organi del cadavere, ed il
confronto con il sangue trovato sul pavimento, partendo dal presupposto
notevole che se fosse stato sangue sgorgato dalla ferita, esso si
sarebbe dovuto coagulare tutto negli stessi tempi. Ed invece il fatto
che vi sia del sangue coagulato e invece del sangue fresco rinforza
l’ipotesi di una manomissione della scena del delitto. Inoltre vi è il
dato caratteristico dell’assenza di impronte, ottenuta utilizzando
polvere di licopodio. Il licopodio (Lycopodium) è un genere di piante
vascolari appartenente alla famiglia delle Lycopodiaceae., abbastanza
diffuso in tutto il mondo. Le sue spore, essendo altamente infiammabili,
vengono utilizzate per spettacoli pirotecnici e anche circensi.
Tuttavia in questo romanzo, A.W.Stewart sfruttò la capacità propria
della polvere di licopodio, di essere refrattaria all’acqua, in quanto
dotata di grandi proprietà assorbenti, e per questa sua proprietà,
specificamente utilizzata nell’industria farmaceutica: siccome il sudore
è in percentuale composto da una certa quantità di acqua, ricoperti i
polpastrelli di licopodio, essi non avrebbero lasciato impronte
digitali. Un’altra caratteristica saliente del romanzo, è che esso
comincia senza una introduzione (in uso di altri romanzieri britannici
del tempo: Christie, Marsh, Heyer) in cui venga anticipata la genesi del
delitto: in questo, il romanzo si avvicina molto a quello che è il
romanzo americano. Sostanzialmente, infatti, una delle differenze di
struttura del romanzo poliziesco americano, da quello anglosassone per
eccellenza, è l’assenza di una introduzione: il romanzo comincia col
delitto, e solo allora cominciano le indagini di cui è partecipe il
lettore: in altre parole il lettore viene assimilato al detective. Da
ciò, verrà originata la tendenza, per esempio in Queen, a indire una
tenzone tra scrittore e lettore, con la Sfida al lettore. Invece nel
romanzo poliziesco britannico, prima del delitto, vi è una introduzione
che introduce il lettore all’ambiente in cui avviene il delitto; cioè in
altre parole, il lettore viene assimilato al narratore.
Mi sembra una
differenza sostanziale. Perché se in quello britannico, il lettore è
avvantaggiato rispetto al detective perché ha assistito ad avvenimenti
di cui il detective non sa nulla, e quindi la soluzione finale sarà
ancora più una sconfitta del lettore, perché avvenuta per opera di chi
non sapeva nulla ed invece è riuscito ad arrivare primo, in quello
americano, il lettore è davvero sullo stesso piano del detective, e
quindi la tenzone è svolta con pari intensità dalle due parti e c’è
davvero la possibilità che il lettore pareggi la capacità del detective
di risolvere il problema. Nella sua sostanza, il romanzo sembrebbe un
archetipo di un procedural, in quanto, come in tutti i Connington, le
indagini sono svolte dalla polizia; tuttavia ad agire è il Capo della
Polizia, che si comporta come un vero e proprio investigatore,
supportato però da altri organi di polizia. Non è un caso unico:
infatti, più o meno negli stessi anni, nasceva nell’altra parte del
Globo, dalla penna di Anthony Abbot, un altro investigatore simile: Il
Capo della Polizia, Commissario Thatcher Colt. La curiosità è che in
questo romanzo vi è una Camera Chiusa, non conosciuta ai più. Scritta
nello stesso anno de Le tre bare di Carr , nel 1935, presenta
singolarmente parecchi caratteri che la collegano proprio a Carr, direi a
The Hollow Man, del 1935; e a The Gilded Man, romanzo di Carter Dickson
(John Dickson Carr) con Henry Merrivale, del 1942. Innanzitutto il
soggetto: il proprietario di casa che vien trovato mascherato, con
guanti di gomma e scarpe di gomma, ed uno sfollagente in tasca; lì il
padrone di casa veste i panni di un ladro in casa sua, con tanto di
guanti e scarpe di gomma,anche lì non si capisce che ci faccia nel luogo
dove viene trovato, e anche lui viene aggredito: la sola differenza è
che in quel caso viene ferito gravemente, mentre qui viene ucciso. Anche
lì come qui c’è una Camera Chiusa, ma quello che mi interessa far
notare è che ancora una volta, a me sembrerebbe che sia stato Carr a
prendere a modello Connington, e non viceversa. Le date di pubblicazione
sono infatti emblematiche: ma nella sua sostanza, il romanzo differisce
molto da altri più classici. Qui la messinscena del delitto avvicina il
romanzo molto ai più celebrati Carr (erano già apparsi parecchi romanzi
di Carr, con le sue caratteristiche, prima del 1935) : c’è la tipica
tendenza ad inscenare una situazione in cui più elementi appaiono
bizzarri, in cui ciascuno di essi propone a sua volta un sottomistero
che deve’essere spiegato. Interessante mi sembra inoltre la doppia
asserzione di Sir Clinton a riguardo delle Camere Chiuse. A pag. 197
afferma: “..Sono sempre un po’ scettico riguardo alle camere chiuse –
disse seccamente Sir Clinton – mi sono già venuti in mente sei modi in
cui sarebbe stato possibile eseguire il trucchetto di una camera chiusa a
chiave dall’interno. Giusto come esercizio intellettuale, sai?” Reitera
il concetto a pag.226: “…perché avevo pensato parecchio a quei casi di
camera chiusa, giusto per esercitarmi mentalmente”. Si tratta di un
altro esempio di introduzione alla Conferenza di Fell di Carr in The
Hollow Man, prima che fosse concepita: credo proprio, a questo punto,
che si renderà evidente un’ulteriore allargamento della mia Storia delle
Dissertazioni sulle Camere Chiuse, pubblicata sul Blog Mondadori.
Pietro De Palma
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