Nato nel 1896 nell’Alta Savoia e morto a Parigi nel 1954,
egli, avvocato e poi giudice, giudice istruttore, creò un personaggio in cui
trasfondere la propria attività, conferendogli una grande calma, riflessione e
capacità di analizzare a fondo un problema; una grande cultura, unita all’amore
per la buona cucina; e facendone un gran fumatore di pipa. In sostanza nel
giudice Allou si possono tranquillamente notare i caratteri di almeno sei
grandi detective, a lui precedenti in quanto ad apparizione (e a me pare
evidente che Alan Twist di Halter sia molto vicino, come caratterizzazione del
personaggio, ad Allou). Vindry consegnò alle stampe dodici romanzi, con il
giudice Allou, tutte Camere Chiuse. Di essi, pochissimi sono stati ristampati
in epoca moderna, e sul mercato dell’antiquariato librario e del collezionismo,
i Vindry essensdo difficili a trovarsi, sono anche piuttosto costosi.
Ecco la
serie originale:
- La Maison qui tue, Gallimard, « Chefs-d’œuvre du roman d’aventures », 1931
- Le Loup du Grand-Aboy, Gallimard, « Chefs-d’œuvre du roman d’aventures », 1932
- La Fuite des morts, Gallimard, « Chefs-d’œuvre du roman d’aventures », 1933
- Le Piège aux diamants, Gallimard, « Chefs-d’œuvre du roman d’aventures », 1933
- Le Fantôme de midi, Gallimard, « Chefs-d’œuvre du roman d’aventures », 1934
- La Bête hurlante, Gallimard, 1934
- L’Armoire aux poisons, Gallimard, 1934
- Le Collier de sang, Gallimard, 1934
- Le Cri des mouettes, Gallimard, 1934
- Le Double Alibi, Gallimard, 1934
- Masques noirs, Gallimard, 1935
- À travers les murailles, Gallimard, 1937
- Les Verres noirs, Gallimard, « Le Scarabée d’Or » no 16, 1938
Di Noel
Vindry, sono stati pubblicati solo tre romanzi in Italia, due in libro (La
Maison qui tue e Le Piège aux diamants ) ed uno sotto forma di
romanzo a puntate su rivista (Les Verres noirs).
E’ bene
subito dire che l’edizione GEM, tradotta da Alberto Tedeschi, direttore e alla
bisogna anche traduttore, fu massacrata. Perché ? L’interrogativo non riguarda
tanto la sostanza, perché i GEM erano pubblicazioni popolari, estremamente
ridotte, rispetto alle più lussuose e sovra-copertinate Palmine, romanzi che
venivano opportunamente tagliati nelle traduzioni e presentati in paperback.
L’interrogativo che mi pongo, che pongo e che rimarrà purtroppo senza risposta,
è perché mai proprio un romanzo di Vindry, l’unico poi di cui Mondadori avesse
acquisito i diritti, venne sottoposto a questa infame tosura e quindi non
pubblicato integralmente nelle Palmine ed invece lo furono altri romanzi, per
esempio i due di Marquand, con Mr. Moto, certamente meno importanti? Io penso
per una ragione. Tedeschi non amava Carr, e non amava i francesi. Aveva
pubblicato uno dei capolavori di Very nelle Palmine, e uno Steeman. Ma pur
essendo due Camere Chiuse, gli autori erano più conosciuti in Italia rispetto a
Vindry. Persino i due Marquand avrebbero potuto, immagino io, nelle aspirazioni
di Tedeschi, che gestiva con poteri assoluti quasi la collana, rendere di più,
perché Mr. Moto è affine a Charlie Chan, è un detective asiatico, e come tale
avrebbe potuto far ricordare al lettore attento il protagonista dei romanzi di
Biggers. Fatto sta che proprio per il taglio importante del romanzo e per aver
fatto più un lavoro di collage che non di vera traduzione, il romanzo è molto
difficilmente leggibile e non ha un grande respiro. Però il fascino
dell’atmosfera rimane tutta, perché è il tema del romanzo che le dona un
fascino tutto suo.
E’ bene
anticipare qui anche che il protagonista non è tanto il Giudice Allou,
protagonista dei dodici romanzi di Vindry, quanto il suo collega Dampierre,
incaricato delle indagini. Allou, compare in un secondo tempo, come accade nel
primo romanzo di Carter Dickson con H.M., e diventa quindi il “deus ex-machina”
della ricostruzione e della soluzione finale.
Gli attori
principali del dramma sono i tre soci delle “Gallerie del Porto”: Flavio
Dancour, suo fratello Paul e André Caroux. Il padrone originario è Flavio che
però ben presto, accortosi di aver intrapreso un’attività ben al di là delle
proprie forze, si consocia con un amico e con il fratello Paul. I due, per
arricchirsi alle spalle dell’ingenuo Flavio, fraudolentemente fanno in modo che
i suoi affari vadano alla malora e in più gli concedono un prestito che sanno
non potrà mai essere onorato. Insomma, ben presto, contro Flavio viene spiccato
un mandato di arresto per bancarotta fraudolenta. Solo in extremis il fratello
Paul si ravvede, e pure avaro e taccagno qual è, concede un sostegno di
settantacinquemila franchi a Flavio e la possibilità di fuggire in motoscafo,
giacchè per la legge francese il domicilio era inviolabile dal tramonto fino
all’alba e quindi Dalcour, a meno che non si consegni lui alle forze di
polizia, dovrà essere arrestato all’alba, e fino a quel momento il commissario
Laurent e degli agenti circonderanno la casa impedendo a qualsiasi persona, che
fosse in quella casa, di uscire senza essere da loro intercettato. Durante
l’assedio, Flavio verrà visto affacciarsi alla finestra e rispondere al
richiamo della polizia ad arrendersi e verrà scorto da un agente arrampicatosi
fin sotto alla finestra, prima seduto ad un tavolo, poi per terra. Il fatto è
che prima che venga visto per terra, si sente chiarissimo un colpo di pistola,
poi viene visto il corpo di Flavio per terra ed allora si è inclini a pensare
che si sia ucciso. In realtà non tutto va così.
Infatti,
nonostante lo sparo, la polizia non entra in casa perché la porta è dotata di
serratura particolare. Tuttavia vedono un’auto avvicinarsi sempre più: è il
dottor Rufare, amico della vittima, il quale era spaventato per dei rumori di
passi e per questo gli ha chiesto di venire subito. Tuttavia nessuno può essere
uscito, perché c’è il cordone di polizia tutt’attorno. Ma quando entrano, e
trovano Dacour riverso per terra, il dottore, visitandolo attesta che è stato
ucciso con un corpo contundente che gli ha fratturato il cranio. Mentre il
dottore visita il cadavere, i poliziotti e il commissario perquisiscono la
casa, mentre il figlio del dottore sta sulla porta di casa, non sopportando la
vista di un cadavere.
Non trovano
nessuno. E neanche la pistola. E non può essere scappato, perché l’uscita era
presidiata da Pierre, il figlio di Rufare. E allora? Come ha fatto l’assassino
a fuggire?
Al primo
mistero se ne aggiungono degli altri.
Il dottore
afferma di avere visto in casa di Dalcour 5 meravigliosi brillanti azzurri,
stimati trecentomila franchi, che evidentemente la vittima aveva sperato di
portare via con sé. Ma i 5 brillanti non si trovano: erano in una cassettina di
ferro, che si apriva con un congegno a scatto attivabile mediante un segreto.
Ma brillanti e cassettina non si trovano: il delitto è la conseguenza di un
furto? L’assassino è il ladro?
La polizia
mette gli occhi sulla ex domestica di Dalcour passata da pochi giorni a
servizio da Caroux: può esser stata lei a trafugare i brillanti. La polizia non
crede alle sue parole e l’arresta. Il fatto è che la polizia è convinta che ci
siano due responsabili: l’assassino e Giannina Arlaud, la domestica. Perché le
impronte rinvenute su un candelabro di argento, non appartengono ad alcuno dei
sospetti, tantomeno a Giannina.
Qualche
giorno dopo, viene trovato morto Paul Dalcour, fratello di Flavio: è stato
trovato nella sua povera stanza (non era povero, ma viveva da povero per non
spendere soldi ) chiusa dall’interno, asfissiato dal gas; sul tavolo una
lettera in cui si proclama assassino del fratello. Solo che le impronte sul
candelabro non sono le sue.
Emerge un
altro fatto importante ora: Flavio, otto giorni prima di morire, aveva ceduto i
brillanti a suo fratello Paul, in cambio di un assegno di duecentocinquantamila
franchi. Perché allora Rufare ha detto di averli visti a casa di Flavio? Mentre
Giannina dice di non vederli più almeno da due settimane, e il tempo
coinciderebbe con la vendita degli stessi? O Flavio non li ha venduti e allora
la notizia è falsa, oppure li ha venduti e Rufare ha mentito. Ma perché? Rufare
dev’essere estraneo al delitto: del resto la telefonata dal suo amico è stata
fatta. Per quale motivo Dalcour avrebbe chiamato proprio il suo assassino? Ma
poi come avrebbe fatto ad ucciderlo, se non c’era quando Dalcour è morto? No, è
un’ipotesi che non regge. Rufare dev’essere estraneo.
Come
insolita e fonte di dubbi è la faccenda di Paul Dalcour. Per quale motivo egli
si sarebbe dichiarato responsabile della morte del fratello se gli aveva dato
un assegno per duecentocinquantamila franchi a fronte dei cinque
brillanti? E ancora più strana è la questione dell’omicidio: per quale motivo
sarebbe stato ucciso se non aveva già più i diamanti? Forse l’assassino non lo
sapeva, un assassino ignoto ancora nella vicenda.
Un nuovo
colpo di scena esplode. La polizia riceve una telefonata anonima e intercetta
due ladri che hanno compiuto un furto in appartamento e la casa è quella di
Caroux: essi stanno portando via una cassettina, che viene riconosciuta da
Rufare, come quella dell’amico. Dopo averla fatta scassinare, vi trovano
dentro, immersi nella bambagia, cinque brillanti azzurri. Conseguenza
possibile? Se Caroux aveva i brillanti, è chiaro che egli è l’assassino. Si
pone sempre il problema: come avrà fatto? Caroux viene arrestato: ladro e
assassino sono la stessa persona. Almeno così parrebbe.
Ma un nuovo
sconvolgimento accade: i cinque brillanti, analizzati, sono falsi: per quale
motivo avrebbe ammazzato Dalcour? Per cinque brillanti azzurri falsi? Caroux
non lo sapeva? E perché Dalcour aveva 5 brillanti falsi, quando aveva venduto
quelli veri al fratello, ora scomparsi?
Si presenta
un gioielliere spontaneamente e consegna alla polizia un brillante, che è stato
da lui acquistato a casa di una vecchia megera, a lui presentatasi per la
vendita: essa viene identificata nella domestica di Paul Dacour. Insomma un
nuovo personaggio entra nella vicenda: che ruolo ha?
Come ha
fatto ad entrare in possesso dei brillanti? Possibile che il suo padrone, avaro
e taccagno anche in punto di morte (andava a letto presto per non consumare la
luce, e risparmiava sull’inchiostro e sui pennini, e utilizzava come carta da
lettera quella ricavata da altri fogli già utilizzati) gliel’avesse detto e si
fidasse tanto di lei?
Caroux prima
si dichiara estraneo alla vicenda, poi chiama in causa Rufare e Giannina.
Rufare, messo alle strette, rivela il vero fine di Dalcour, che lo aveva
“costretto” a rimanere invece di fuggire subito: tentare una truffa, vendendo
all’amico, ma anche socio di Caroux in operazioni finanziarie al limite della
legalità, i cinque pezzi di vetro abilmente contraffatti.
Le indagini
sono ad punto di stallo: perché se è vero che Caroux è stato arrestato con
l’accusa di furto, non c’è nessuna prova che egli abbia ucciso Dalcour, né la
polizia ha prove per dimostrarlo.
Entra in
scena a questo punto il giudice Allou, amico del cugino del giudice Dampierre,
il quale, non volendo umiliare il collega, preferisce che sia quello a dedurre,
dopo aver raccolto delle prove. Allou è già molto conosciuto per aver risolto
brillantemente dei casi insoluti di Camera Chiusa. Dopo aver posto sulla
bilancia delle domande che nessuno si era posto (Dalcour aveva un’assicurazione
sulla vita? Chi ha fatto la telefonata alla polizia che ha permesso di bloccare
i due ladri? Sono davvero i brillanti il movente dell’omicidio?), Allou provoca
l’azione del collega. Le indagini permettono di identificare il misterioso
informatore nella persona del dott. Rufare: come sapeva egli che Caroux aveva
rubato i diamanti? Rufare rientra nell’inchiesta, gli vengono prese le impronte
digitali, ed ecco..queste sono quelle trovate sul candelabro. Capovolgimento
della situazione: Caroux non è più l’assassino, ma solo il ladro; Rufare è
l’assassino. Ma come avrebbe mai fatto? E allora Paul Dalcour perché si è
dichiarato assassino del fratello?
Allou
propone la sua verità: Rufare non avrebbe ucciso ma solo tentato un’estorsione.
Ma allora chi è stato? E come ha fatto? In un pirotecnico susseguirsi di eventi
e rivelazioni, Allou identificherà l’assassino, il ruolo di un complice, il
mistero della pistola scomparsa, di quella degli altri quattro brillanti e
dell’assegno di duecentocinquantamila franchi.
Romanzo
pirotecnico, propone una continua inversione di ruoli e situazioni, giungendo
sul finire del romanzo a proporre una ipotesi sconvolgente: un omicidio che
diventa suicidio e un suicidio che diventa omicidio, riuscendo a ricostruire
esattamente la vicenda e il ruolo di ogni singolo protagonista. Il continuo
turbillon di avvenimenti, di rivelazioni e di controrivelazioni che annullano
le precedenti creano uno spaesamento del lettore che, avvinto dagli
avvenimenti, non riesce più a capire nulla. Confesso che persino il
sottoscritto, che ne ha letti tanti di romanzi, non avrebbe mai pensato alla
possibilità di invertire la sostanza delle morti dei fratelli. Veramente un
romanzo straordinario.
Del resto il
coinvolgimento di Rufare nella vicenda si estrinseca in una messinscena: i
passi che Dalcour aveva sentito, sono solo un depistaggio, per… Ma allora in
cosa c’entra? Come mai non è l’assassino se sul candelabro che ha provocato la
morte di Dalcour c’erano le sue impronte? Ma Dalcour è morto per la frattura
oppure no? E perché lui avrebbe attestato la morte di Dalcour? E perché
l’autopsia rivela la frattura effettivamente? Insomma di carne sul fuoco Vindry
ne mette tanta!
Ricordiamoci
che il romanzo, il terzo nella successione dei dodici di Vindry, è del 1933.
Nel 1941
Agatha Christie consegnerà alla storia un romanzo che farà epoca ed influenzerà
tutto il genere: Evil Under the Sun. Vi ricordate l’escamotage del
romanzo? Beh, è anticipato in questo, né più né meno. Possibile che la Christie
abbia copiato l’idea di Vindry? Possibilissimo direi, visto che stranamente
anche quella di un romanzo di Steeman, Six hommes morts, si ritrova nel
suo capolavoro Ten Little Niggers, e in quello di Bristow & Manning,
The Invisible Host. A mio parere bisognerebbe analizzare l’opera della
Christie alla luce anche dell’influenza del romanzo francese. Non a caso lei riconosceva
l’enorme influsso dato alla sua velleità di scrivere romanzi polizieschi, di Le
mystere de la chambre jaune di Gaston Leroux. In realtà l’accertamento della
morte nel romanzo di Agatha Christie porta ad una serie di conseguenze, perché
la morte non è ancora avvenuta; mentre nel romanzo di Vindry la morte è
avvenuta, ma l’accertamento di essa si esplica con un diverso iter
consequenziale. Tuttavia l’idea base è la stessa: un falso accertamento
effettuato su un corpo esanime e quello che compie l’accertatore nel momento in
cui ha allontanato i presenti.
E Vindry?
Indubbiamente già in questo romanzo troviamo un tema che ricorrerà in uno dei
suoi capolavori successivi, La Bête hurlante: il fatto che la casa sia
circondata da un cordone di polizia che determina l’impossibilità che
l’assassino sia riuscito a fuggire. Ma troviamo anche caratteristiche riconducibili
anche ad altri romanzieri francesi del periodo: il fatto che al centro della
trama non vi sia una caratterizzazione psicologica dei personaggi ma l’enigma.
E’ l’enigma, il centro di tutto, intorno a cui si muove la vicenda: in sé per
sé la caratterizzazione psicologica è nulla o quasi e anche l’esiguità degli
attori fa sì che l’azione si concentri esclusivamente sulla storia, un
procedimento che si trova concretizzato anche in Boileau. E’ evidente che
Vindry si ponga in maniera antitetica rispetto a Simenon, per cui invece
l’enigma non è il fulcro della vicenda ma solo un tassello ed il centro di
tutto invece è la psicologia dei personaggi: Vindry è molto più vicino a Carr,
anche se Carr in certi suoi romanzi caratterizza i personaggi in maniera più a
tutto tondo di quanto non faccia Vindry.
Per lo
specialista in letteratura poliziesca Roland Lacourbe, Vindry è l'equivalente
francese di John Dickson Carr. Io, tuttavia, la penso diversamente: a mio
parere, Vindry più che essere l'equivalente di John Dickson Carr, è
l'equivalente di Clayton Rawson. Come Clayton Rawson nella creazione
dell'atmosfera non è il massimo, così accade nei romanzi di Vindry, dove
tuttavia la qualità della trama e la soluzione sono di alta qualità, di estrema
virtuosità. Quasi in più rispetto al Carr, come accade ad esempio a mio parere
nei romanzi di Rawson.
Vindry è
vicino a Carr, ma il Carr di Bencolin. E non tanto per la struttura del romanzo
come abbiamo detto, ma per certi particolari che sono presenti in It Walks
By Night e qui si ripetono: Vindry comincia a scrivere nel 1931,
mentre il primo romanzo di Carr è del 1930; in ambedue, protagonista è un
giudice, ancor più juge d’instruction: è lui che risolve il mistero; in Carr il
primo Bencolin si trova dinanzi una Camera Chiusa, e guarda caso di quali casi
si occupa il giudice Allou? Di Camere Chiuse.
Tuttavia se
Vindry è vicino a Carr, lo è anche per un’altra faccenda: ambedue, ma in realtà
anche Boileau spesso, per arrivare alla soluzione, capovolgono la situazione:
quando il quadro delle prove non porta a nulla, provano a guardare il problema
da una diversa prospettiva, che spesso è opposta. Sia Bencolin o Fell (o H.M.)
sia Allou hanno la capacità di staccarsi dal mondo reale e guardare la
successione degli eventi come se il loro spirito si fosse librato astralmente,
staccandosi dalla materialità degli eventi terreni.
Così come in Hag’s Nook capovolgendo l’ordine
delle cose Carr riesce a individuare l’assassino tra il meno probabile, qui
Vindry riesce a dargli un nome, anzi a provare la sua colpevolezza, sovvertendo
l’ordine delle cose: un assassinio diventa suicidio ed un suicidio diventa
omicidio.
Tuttavia,
nel momento in cui accade questo rovesciamento di prospettiva, aumenta anche il
virtuosismo dell’indagine. Se infatti le cose così avrebbero un senso (Paul
Dalcour è stato trovato a letto come se volesse dormire; la lettera che ha
lasciato, dato la sua tendenza a utilizzare pezzi di lettera, sarebbe potuta
essere un frammento di una lettera più lunga, con un senso diverso rispetto a
quello che a prima vista si desumeva: la filiazione dal Chesterton di The
Wrong Shape, è chiarissima), gli interrogativi aumentano a dismisura: con
l’omicidio, si tende a conoscere l’identità dell’omicida ed il suo modus
agendi; con il suicidio, la scomparsa della pistola, dell’assegno, la frattura
del cranio, la strana constatazione di decesso di Rufare che collima con quella
del medico legale, le sue impronte sul candelabro, ma nello stesso tempo la sua
estraneità all’assassinio; e nel tempo stesso, il suicidio che diventa omicidio
di Paul, costringe gli inquirenti a confrontarsi con la soluzione di una Camera
Chiusa diventata tale. E il tutto, spiegando anche gli alibi.
Così, in
sostanza, il capovolgimento dell’ordine delle cose porta Vindry a capovolgere
il senso di due Camere Chiuse: spiegando la prima in modo che non lo sia, e
spiegando la seconda morte come in effetti una Camera Chiusa, al tempo stesso
dandone una soluzione assolutamente lineare.
E’ da dire
peraltro che Vindry, a differenza di Agatha Christie e apparentandosi ancora
una volta a Carr, non imbroglia per nulla il lettore: il quadro dei fatti è
assolutamente quello che è davanti agli occhi de magistrato, quella che cambia
è la prospettiva da cui viene guardato il problema e la capacità di immaginare,
allontanandosi dal reale.
E per certi
versi Vindry, realizza qualcosa di suo, una caratteristica assolutamente
personale, nel suo far diventare difficile il facile: diversamente da tutti i
comuni detective che cercano in tutti i modi di semplificare la successione
degli eventi, riducendo i fattori ai minimi termini, Vindry realizza un
absurdum: spiegare l’inspiegabile, facendolo diventare ancora più astruso e più
denso di implicazioni recondite, nel tempo stesso spiegandole e dando
all’insieme un suo significato.
Pietro De
Palma
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